Riciclaggio dei chip rapido e a basso inquinamento
La fine del ricatto cinese delle terre rare
Inventato in America il sistema per azzerare subito il monopolio cinese sulle terre rare

Una fiala contenente i metalli estratti attraverso il metodo "flash joule heating", in un laboratorio della Rice University. Foto: Laboratorio di James Tour/Rice University, Jeff Fitlow/Rice University
Uno dei problemi che afflige maggiormente gli Stati Uniti al momento – e che normalmente richiederebbe molti anni per essere risolto – è il dominio del regime cinese sulle terre rare. Ma per il chimico e nanotecnologo della Rice University, James Tour, esiste una rapida soluzione scientifica al problema. Tutto ciò che serve è l’enorme quantità di rifiuti elettronici che l’America produce. É proprio da questi scarti che lo scienziato ha sviluppato un metodo per estrarre rapidamente i metalli delle terre rare: «possiamo isolare un metallo dopo l’altro [da questi materiali di scarto ndr]. É semplicissimo», ha dichiarato il chimico alla nostra consociata statunitense.
Ma come funziona esattamente? I rifiuti elettronici vengono ridotti in polvere fine e inseriti in un reattore di quarzo. Un impulso elettrico ad alta intensità – della durata di pochi millisecondi – porta la temperatura a migliaia di gradi, vaporizzandoli istantaneamente. L’aggiunta di gas cloro infine trasforma i vapori in cloruri che, avendo punti di ebollizione diversi, fuoriescono separati uno dopo l’altro. In pochi secondi, da questi materiali di scarto si ottengono quindi i metalli puri (tra cui le terre rare) con un consumo energetico ridotto fino all’87 % e rifiuti praticamente nulli. In pratica, un singolo “lampo” trasforma la spazzatura elettronica in risorse fondamentali.
Il flash joule heating, questo è il nome del metodo di Tour che, dice lo scienziato, si applica con una velocità estrema: «basta un singolo “flash” e sei a posto». E la velocità è proprio il fattore che gli Stati Uniti stanno rincorrendo di più al momento, spinti (soprattutto) dalla minaccia del regime cinese di ridurre drasticamente l’accesso alle terre rare. E con una tregua di un anno in mano, Washington non ha molto tempo per colmare il divario, visto che per avviare una sola miniera in genere ci vogliono fino a 15 anni. É ovvio, quindi, che questa tecnologia rimischierebbe le carte in gioco a favore degli Stati Uniti, «rendendoli indipendenti» con una spesa di «poche decine di milioni di dollari. Molto poco per questo tipo di produzione», ha sottolineato lo scienziato.
La Cina detiene ormai il monopolio sulla produzione di terre rare e produce oltre il 90% dei magneti del mondo, secondo i dati dell’Agenzia Internazionale dell’Energia. E all’ascesa del regime cinese (che storicamente ha sempre ignorato norme ambientali e di sicurezza per massimizzare i guadagni) in questo campo hanno contribuito paradossalmente proprio gli Stati Uniti. Fino al 1991 infatti, l’America era al primo posto nella produzione di minerali di terre rare: la miniera Mountain Pass in California riforniva praticamente tutto il mondo. La miniera poi era stata chiusa per problemi ambientali proprio mentre la Cina, in quel periodo, cresceva economicamente. Nel 1995 la Magnequench – allora colosso indiscusso nei magneti di terre rare – era stata venduta a una organizzazione cinese, cedendo di fatto tecnologia e produzione americana alla Cina. Va poi aggiunto il fatto che la Cina Il risultato? Oggi gli Stati Uniti (così come l’Europa) dipendono troppo dai minerali cinesi.
DA RIFIUTI A TERRE RARE
Attualmente, quello elettronico è il tipo di rifiuto che cresce più velocemente: solo gli Usa hanno prodotto 7 milioni e 200 mila tonnellate di rifiuti elettronici nel 2022: circa un ottavo del totale mondiale, secondo l’Onu. E il metodo di Tour potrebbe sia risolvere il problema rifiuti «trasformandoli in un tesoro» sia risolvere il fattore tempo.
Il progetto infatti ha già attirato l’attenzione della Darpa, l’agenzia di ricerca avanzata del Pentagono, che ha chiesto di portarlo in produzione il prima possibile. Fino a oggi il riciclo dei metalli dai rifiuti elettronici avveniva in due modi: o immergendo i componenti in acidi, con produzione di tonnellate di sostanze tossiche, oppure scaldandoli in grandi forni attraverso un processo costosissimo e (soprattutto) lentissimo. Questa tecnologia invece salta tutti questi passaggi, riducendo all’osso i consumi energetici e completando il processo – che normalmente richiederebbe ore o giorni – in pochi secondi, come dimostrato in uno studio di Tour pubblicato a settembre su Proceedings of the National Academy of Sciences. In pratica il flash joule heating prende “tre” piccioni con una fava: previene le guerre, abbatte tempi e costi e trasforma rifiuti in terre rare.
Il Pentagono ha già finanziato il progetto per estrarre il gallio dai rifiuti, e il primo impianto a Houston partirà a inizio 2026 con 1 tonnellata al giorno di schede elettroniche da processare. Questa nuova tecnica non è solo un rivoluzionario salto tecnologico, ma ha anche un peso politico enorme. Secondo alcuni generali Nato, infatti, potrebbe soprattutto «prevenire le guerre», dato che la maggior parte dei conflitti «nasce per acqua, petrolio o minerali».







