I prezzi del greggio sono scesi dopo che il presidente americano Donald Trump ha posticipato la decisione sul sostegno bellico degli Stati Uniti a Israele. Durante una conferenza stampa del 19 giugno, la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, leggendo una dichiarazione del presidente, ha annunciato che una decisione verrà presa entro due settimane.
Il 20 giugno, il West Texas Intermediate, il prezzo di riferimento per il mercato petrolifero statunitense, ha registrato un calo di circa lo 0,2%, scendendo sotto i 75 dollari al barile sul New York Mercantile Exchange. Il Brent, riferimento mondiale per i prezzi del petrolio, è diminuito di circa il 3%, attestandosi sotto i 77 dollari al barile sull’Ice Futures di Londra. Nonostante ciò, sia il greggio statunitense che il Brent sono pronti a chiudere la settimana con un guadagno di circa il 2%. Dopo un andamento negativo per gran parte del 2025, i prezzi hanno invertito la tendenza e sono in rialzo del 2,5% dall’inizio dell’anno. I prezzi del gas naturale, invece, sono scesi di oltre il 3%, chiudendo la settimana di contrattazioni a circa 3,85 dollari per milione di British thermal units, ma registrando un incremento settimanale di quasi il 7%.
«Questo è un momento cruciale per l’andamento del mercato petrolifero», ha scritto Phil Flynn, stratega energetico di The Price Futures Group, in una nota. «Continuiamo a operare con strategie di trading a breve termine, mentre gli operatori di copertura sono nervosi per possibili interruzioni dell’offerta che potrebbero scatenare acquisti dettati dal panico».
Negli ultimi giorni, gli analisti di mercato hanno avanzato diverse previsioni sui prezzi. Goldman Sachs stima che un’escalation delle tensioni tra Israele e Iran potrebbe aggiungere un premio di rischio di 10 dollari al barile, con prezzi che potrebbero superare i 90 dollari in caso di interruzione delle forniture iraniane. Gli analisti di Citibank, in una nota, hanno previsto che, se il conflitto in Medio Oriente eliminasse 1,1 milioni di barili giornalieri di esportazioni di greggio da Teheran, i prezzi potrebbero salire del 20% rispetto ai livelli pre-conflitto, ma «la produzione mondiale potrebbe essere aumentata a sufficienza per compensare l’impatto dell’interruzione, specialmente se questa fosse prevista», dicono a Citi. Gli Stati Uniti producono attualmente circa 13,5 milioni di barili al giorno.
Mentre l’Opec, l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio, ha annunciato un aumento della produzione, nuovi dati indicano che un output effettivo inferiore agli obiettivi del cartello. Il Rapporto mensile sul mercato petrolifero dell’Opec, pubblicato all’inizio di questo mese, ha confermato un incremento della produzione di greggio di 180 mila barili al giorno a maggio, raggiungendo i 27 milioni, ben al di sotto del piano di 310 mila barili giornalieri annunciato il mese precedente. Intanto, gli strateghi di Barclays e Jpmorgan Chase prevedono che, nello scenario peggiore, i prezzi potrebbero superare i 100 dollari al barile, soprattutto in caso di chiusura dello Stretto di Hormuz.
Lo Stretto di Hormuz, un angusto passaggio marittimo tra Iran e Oman, collega il Golfo Persico al Mare Arabico e al Golfo di Oman, ed è un’arteria vitale per il commercio energetico globale. Definito un «punto nevralgico cruciale» dall’Agenzia per l’informazione sull’energia, gestisce enormi volumi di greggio e gas naturale liquefatto. Secondo i dati dell’Eia, circa il 30% del traffico marittimo mondiale di petrolio passa attraverso questo stretto, che trasporta anche oltre un quinto delle spedizioni globali di Gnl.
L’Iran produce circa 3 milioni di barili di greggio al giorno, e gli esperti del settore ritengono che altri grandi produttori della regione potrebbero rapidamente compensare un’interruzione della sua produzione. Tuttavia, la preoccupazione maggiore riguarda le minacce di Teheran di bloccare lo stretto, un’azione che renderebbe difficile colmare rapidamente le carenze e reindirizzare le forniture. Questa prospettiva ha generato allarme nei mercati energetici: «Qualsiasi interruzione causata da un’aggressione iraniana fermerebbe le spedizioni senza rotte marittime alternative praticabili, restringendo drasticamente i mercati globali del gas», ha scritto Henry Hoffman del Catalyst Energy Infrastructure Fund in una nota, «Anche una chiusura temporanea, della durata di poche settimane, bloccherebbe milioni di tonnellate di Gnl, rendendo i mercati più tesi e causando bruschi rialzi dei prezzi» con conseguente forte aumento dei prezzi in Asia ed Europa.
L’anno scorso, oltre l’80% del petrolio e del Gnl transitato attraverso lo stretto era diretto ai mercati asiatici. Cina, India, Giappone e Corea del Sud hanno rappresentato il 69% dei flussi di greggio diretti in Asia attraverso lo Stretto di Hormuz. Da fine 2022, la quasi totalità delle esportazioni petrolifere iraniane è destinata alla Cina, secondo i dati di Goldman Sachs. Ma anche «gran parte dell’Europa rimane fondamentalmente dipendente dagli idrocarburi importati, il che ha un impatto più profondo sulla loro economia, e non in un momento ideale», ha dichiarato Ben Jensen del Centro per gli studi strategici e internazionali, durante una conferenza Nato del 20 giugno.
Esistono rotte alternative e infrastrutture di gasdotti, ma, secondo l’Agenzia internazionale dell’energia, sarebbero poche poiché «l’Iran dipende esclusivamente dai suoi terminali nel Golfo per esportare verso mercati al di fuori della regione caspica». «Una crisi prolungata nello Stretto di Hormuz non solo interromperebbe le spedizioni dai principali produttori del Golfo – Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Iraq e Qatar – ma renderebbe inaccessibile la maggior parte della capacità di produzione di riserva mondiale, concentrata nel Golfo Persico», ha sottolineato l’Aie in un rapporto.
Ma secondo Simon Wong, analista di Gabelli Funds, è improbabile che l’Iran chiuda lo stretto, «ma può comunque perturbarne il traffico», e «in caso di interruzione delle forniture di greggio iraniano» dice Wong è probabile che l’Opec (che ha una riserva di 5-6 milioni di barili al giorno) aumenti la produzione limitando l’aumento dei prezzi del greggio. In ogni caso, eventuali perturbazioni dei prezzi, di breve o lunga durata, spingerebbero probabilmente i mercati asiatici ed europei a ricorrere alle loro riserve strategiche.