Lo statista ateniese che per primo affermò il valore della democrazia era un poeta prolifico. I suoi versi rivelano un legame affascinante tra poesia, politica e l’inizio di un sistema di governo del popolo nel mondo occidentale.
SOLONE DI ATENE
Scrivendo due secoli dopo la morte di Solone, avvenuta nel 560 a.C., il filosofo greco Aristotele notò che Solone «era per nascita e reputazione uno dei cittadini più importanti, ma per proprietà e affari uno della classe media». Discendeva da Codro, ultimo re di Atene, ed era probabilmente un antenato del filosofo Platone. Nonostante le origini aristocratiche, Solone si guadagnò da vivere con il commercio, una professione che l’élite ateniese considerava non aristocratica.

Dal V secolo a.C., Solone è considerato uno dei Sette Savi Greci, venerati dalle popolazioni del Mediterraneo orientale per la loro virtù. Le sue riforme politiche gettarono le basi della democrazia ateniese, cambiando per sempre il mondo. Tuttavia, pochi sanno che il successo di Solone dipendeva principalmente dalla sua capacità di scrivere poesie e di recitarle in pubblico.
LE RADICI DELLA DEMOCRAZIA
Nel VI secolo a.C., Atene era governata da una classe aristocratica nota come Eupàtridi (cioè di buon padre). Gli Eupatridi possedevano la maggior parte delle migliori terre, governavano per favorire i loro interessi privati ed erano regolarmente coinvolti in faide familiari. Spesso spingevano i cittadini più poveri a indebitarsi, offrendo prestiti a fronte di gravose garanzie, e se non erano in grado di ripagarli, potevano diventare servi a contratto o, in casi estremi, essere venduti come schiavi.
Proprio come gli ateniesi più poveri, anche la classe media degli artigiani e dei mercanti non sopportava di essere esclusa dal processo decisionale, sebbene nessuno dei due avesse i mezzi per opporsi alle élite al potere. L’instabilità sociale derivava quasi sempre dalle tensioni tra aristocratici che governavano e aristocratici che volevano usurpare il potere. La popolazione subiva gli andamenti della Storia e non aveva altra scelta che accettare il proprio destino.
Solone apparteneva a una crescente minoranza di cittadini che riteneva che non dovessero esistere disparità sociali e politiche così marcate ma, per avviare il cambiamento, doveva prima conquistare il potere.
CHIAMATA ALLE ARMI

Intorno al 600 a.C., gli Ateniesi subirono una tragica sconfitta contro Megara, una città-stato vicina e persero il controllo dell’isola di Salamina, una roccaforte strategica e commerciale vicino ad Atene. Per evitare ulteriori perdite, il governo ateniese vietò a chiunque di proporre che Atene rivendicasse nuovamente l’isola.
Solone, patriota nell’animo, rifiutò questa posizione disfattista. L’antico storico greco Plutarco riferisce che Solone scrisse in fretta e furia un poema, lo memorizzò, poi «corse sulla piazza del mercato con un berretto in testa e, radunata la gente intorno a lui, salì sul palco degli araldi e cantò quell’elegia, che inizia così: Io stesso vengo araldo dall’amata Salamina, e ho composto/ un canto, ornamento di parole, anziché un discorso».
La poesia, associata a racconti epici, eroi mitici e divinità invincibili, si rivolgeva al popolo in generale in modo più efficace del discorso, con il quale Solone intendeva il gergo giuridico artificioso delle assemblee e delle aule di tribunale.
Gli Ateniesi ne furono persuasi: tornarono alle armi e sotto la sua guida sconfissero i nemici e riconquistarono Salamina. Questa vittoria accrebbe la reputazione di Solone, ponendo le basi per il successo delle sue riforme politiche.
LE RIFORME

Nel 594 a.C., Solone fu eletto arconte, o magistrato capo, carica che gli permetteva di introdurre emendamenti alla costituzione esistente. Scrive Aristotele: «Le leggi furono iscritte su tavole di legno, e tutti giurarono di rispettarle».
Per prima cosa, cancellò tutti i debiti e liberò tutti gli schiavi debitori, riducendo il controllo degli Eupatridi sul popolo di Atene. Inoltre, divise la popolazione ateniese in quattro gruppi di reddito, in base al profitto annuale ricavato dal grano, dall’olio e dal vino.
Le posizioni amministrative di rilievo erano ancora riservate agli appartenenti ai primi due gruppi, ma tutti i cittadini ateniesi avevano il diritto di partecipare alla gestione della Città.
Per promuovere la partecipazione dei cittadini al governo, Solone istituì l’Assemblea generale, rimasta da allora come modello sia per la Camera dei rappresentanti americana che per altri parlamenti delle moderne democrazie. Durante le riunioni dell’Assemblea si discuteva sulla formulazione delle leggi, si eleggevano i rappresentanti e vi si trattavano le controversie giuridiche.
A differenza delle moderne democrazie rappresentative, Atene era una democrazia diretta, poiché la partecipazione era considerata il dovere civico più importante. Continuarono a essere eletti i rappresentanti per le campagne militari, le iniziative diplomatiche e gli incarichi amministrativi speciali, ma i cittadini erano direttamente responsabili di ogni decisione e ogni cittadino poteva partecipare all’Assemblea. Tuttavia, solo gli uomini liberi potevano essere considerati cittadini.
LA DEMOCRAZIA IN VERSI
Per conservare il consenso alle sue riforme radicali, Solone continuò a servirsi della poesia che gli aveva fatto guadagnare potere e rispetto. Il suo tono era spesso prescrittivo e i lettori moderni potrebbero chiedersi se quelle composizioni siano da considerarsi poesia. Tuttavia, egli scriveva seguendo la metrica, spesso arricchendo i suoi commenti dottrinari con immagini poetiche tipiche della buona poesia.

Una delle poesie più lunghe sopravvissute di Solone inizia ricordando alla gente che non si possono attribuire le turbolenze politiche a poteri soprannaturali:
Mai, per decreto di Zeus o per volere degli dèi beati,
immortali, la nostra città cadrà in rovina
………….
I cittadini, con le loro stoltezze, vogliono distruggere,
proprio loro, la grande città, corrotti dal denaro.
Solone si riferisce probabilmente al debito, per il quale lottò duramente affinché fosse abolito. Ma era anche preoccupato per la corruzione, le cui ripercussioni erano più gravi per i non aristocratici:
Così il male pubblico [la corruzione] si abbatte su ogni uomo
e i cancelli del cortile non riescono più a trattenerlo,
ma salta oltre l’alta barriera e sicuramente lo sorprende,
anche se si rifugia in un angolo recondito della sua stanza.
Pronunciati su palcoscenici pubblici con enfasi e cadenzati, questi versi presentavano un’immagine terribile, soprattutto per chi teneva alla proprietà.
Allo stesso modo, Solone esortava i suoi concittadini a rinunciare agli interessi privati e a seguire la legge, due principi del suo programma democratico: «L’illegalità causa alla città innumerevoli mali, mentre la legalità mostra tutto ciò che è ordinato e giusto, e spesso incatena gli ingiusti».

Prendeva spunto dalla natura per mettere in guardia gli ascoltatori dal sottovalutare l’autorità incontrollata: «Da una nuvola viene la forza della neve e della grandine, da un lampo il tuono, da uomini potenti la distruzione di una città».
Per evitare la catastrofe, diceva agli Ateniesi che avrebbero dovuto controllare la classe dirigente. E come potevano farlo? Sostenendo le riforme di Solone.
AVIDITÀ E AUTOCONTROLLO
Avendo conosciuto sia l’opulenza che la povertà, Solone capiva l’importanza dell’autocontrollo. Alcune sue poesie sottolineano la necessità di tenere a freno l’avidità, con riferimento soprattutto ai ricchi: «Tu che hai avuto più che a sazietà molte cose buone, calma il cuore severo che hai in petto e modera la tua ambizione». Se la prendeva anche con le classi medie e basse, il cui «eccesso genera insolenza, ogni volta che una grande prosperità arriva a uomini non sani di mente».
Aristotele lo descrisse come «il primo paladino del popolo». Ricordando agli aristocratici che il benessere di Atene aveva la precedenza sugli interessi privati e dicendo al popolo che i nuovi privilegi comportavano nuove responsabilità, Solone impartiva sia principi etici che incoraggiamento verso comportamenti che riteneva necessari per la prosperità della democrazia.
POESIA O PROPAGANDA?
Per quanto si esprimesse in versi, Solone era comunque un politico: si differenziava dagli altri aristocratici in quanto sosteneva le cause del popolo, ma era consapevole del “gioco” politico, che ruotava intorno alla reputazione e all’autopromozione – proprio come avviene oggi.
Gli aristocratici non lo vedevano di buon occhio perché pensavano che assecondasse le masse, che comunque lo criticavano ritenendo che alcune sue riforme favorissero ancora gli Eupatridi. Solone era orgoglioso di questa reputazione controversa, che dimostrava preoccupazione per il benessere di Atene più che per il proprio. Tuttavia, descrivendosi come un guerriero che si erge «con un potente scudo alzato su entrambi i lati» per evitare di dare «una vittoria ingiusta» all’élite o al popolo, stava in ogni caso facendo il tifo per se stesso.
George Forrest, ex professore di Storia antica presso l’Università di Oxford, lo ha descritto come «un po’ egocentrico, moralista e un po’ pomposo». Solone aveva tutte le ragioni per presentarsi come un salvatore ed è difficile valutare i suoi meriti solo dalle sue doti poetiche.
PARLARE AL E PER IL POPOLO
Solone si era reso conto che Atene richiedeva un cambiamento e che tale cambiamento richiedeva misure drastiche. Non era uno scrittore di talento e anch’egli cercava potere e gloria, ma aveva anche intuito la necessità di comunicare in termini comprensibili sia per le élite e per i funzionari governativi che per i cittadini che hanno il diritto di sapere cosa stia succedendo. La Poesia, mestiere di pochi dotti e gioia degli ateniesi comuni, si prestava benissimo al suo scopo.