Il caso dei Fratelli Musulmani in Giordania

La polizia giordana fuori dall'ufficio del Fronte d'azione islamico ad Amman, Giordania, il 23 aprile 2025
Photo: Alaa al Sukhni/Reuters
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La recente decisione del governo giordano di bandire i Fratelli Musulmani, accusati di aver orchestrato un complotto per destabilizzare il Paese, solleva interrogativi complessi sul delicato equilibrio tra sicurezza nazionale e libertà politiche in una delle nazioni più stabili del Medio Oriente. La misura, annunciata il 23 aprile dal ministero degli Interni, segna un punto di svolta nelle relazioni tra le autorità hashemite e una delle organizzazioni islamiste più influenti della regione, la cui ala politica, il Fronte d’Azione Islamica, rappresenta il principale blocco di opposizione nel Parlamento di Amman.
Secondo il ministro degli Interni, Mazin al-Farrayeh, alcuni membri dell’associazione avrebbero operato in segreto, compromettendo la sicurezza nazionale e l’unità del Paese. Le accuse, che includono la pianificazione di attacchi con razzi e droni, hanno portato all’arresto di 16 persone e alla scoperta di presunte strutture clandestine per la produzione di armamenti. Sebbene tali affermazioni non siano state corroborate da fonti indipendenti, il governo ha giustificato il divieto come una misura necessaria per preservare l’ordine pubblico. Di contro, i Fratelli Musulmani e il Fronte d’Azione Islamica hanno respinto con fermezza ogni accusa, ribadendo il loro impegno per la legalità e il perseguimento di obiettivi politici attraverso mezzi pacifici.
La vicenda si inserisce in un contesto regionale in cui i Fratelli Musulmani sono già stati banditi in numerosi Paesi arabi, spesso accusati di essrre come un’organizzazione terroristica. In Giordania, tuttavia, il Fronte d’Azione Islamica ha operato legalmente per oltre tre decenni, conquistando un significativo consenso popolare e una presenza strutturata in molte città. La chiusura delle sue sedi e la confisca dei beni rappresentano una mossa drastica, che potrebbe alimentare tensioni in un Paese che ospita milioni di rifugiati palestinesi e che si trova al crocevia di complesse dinamiche geopolitiche, come la vicinanza a Siria, Iraq e Israele.
Da un lato, il governo giordano, alleato storico degli Stati Uniti e custode di una stabilità invidiabile in una regione turbolenta, sembra determinato a prevenire qualsiasi minaccia alla propria autorità. La monarchia hashemita, guidata da re Abdullah II, ha sempre mantenuto un controllo saldo sul panorama politico, con un Parlamento in cui i deputati fedeli alla corona prevalgono numericamente. Dall’altro lato, il Fronte d’Azione Islamica, pur dichiarandosi indipendente dai Fratelli Musulmani, rappresenta una voce significativa per chi chiede riforme e maggiore rappresentanza, in un sistema che, secondo gruppi internazionali per i diritti umani, tende a limitare il dissenso attraverso normative restrittive.
Wael al-Saqqa di Fronte d’Azione Islamica ha sottolineato l’autonomia del partito e il suo rispetto per la Costituzione, tentando di smarcarsi dalle accuse di legami con attività sovversive. Tuttavia, la decisione di equiparare l’intera organizzazione a una minaccia per la sicurezza nazionale rischia di polarizzare ulteriormente il dibattito politico interno, specialmente in un momento in cui la Giordania affronta sfide economiche e sociali crescenti.
La questione centrale rimane come conciliare la necessità di garantire la stabilità con il diritto alla partecipazione politica. La repressione di un partito che, pur controverso, ha operato entro i confini della legalità per anni potrebbe avere conseguenze imprevedibili, sia in termini di consenso popolare sia di percezione internazionale. La Giordania, che nel 1994 ha firmato un trattato di pace con Israele e che ospita oltre 3.500 militari americani, è spesso vista come un baluardo di moderazione nel Medio Oriente. Tuttavia, le recenti critiche di organizzazioni per i diritti umani sull’uso di leggi per soffocare il dissenso suggeriscono che il margine per il pluralismo politico si stia restringendo.
In definitiva, il caso dei Fratelli Musulmani in Giordania invita a una riflessione più ampia sulla gestione delle opposizioni in contesti politicamente sensibili. La sicurezza nazionale è un imperativo ineludibile, ma la sua tutela non dovrebbe compromettere i principi di apertura e dialogo che hanno contribuito a fare della Giordania un modello di stabilità regionale. La sfida per Amman sarà dimostrare che è possibile contrastare le minacce senza sacrificare le libertà fondamentali, in un equilibrio che resta tanto necessario quanto fragile.
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