I ministri degli Esteri del cosiddetto Terzetto (Germania, Francia e Regno Unito) e l’Alto rappresentante dell’Unione Europea per la politica estera, Kaja Kallas, hanno intrattenuto un colloquio telefonico mercoledì con il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi a seguito del quale il ministero degli Esteri tedesco ha annunciato che l’Iran non ha mostrato di meritare «il prolungamento della risoluzione 2231» (ossia la sospensione delle sanzioni) aggiungendo che «l’Iran deve riprendere i negoziati, consentire ispezioni nei siti sensibili e affrontare le scorte di uranio altamente arricchito», e concludendo che «il Terzetto ha ribadito l’urgenza e la ferma volontà di procedere con il ripristino delle sanzioni, in assenza di passi concreti nei prossimi giorni». Un ultimatum insomma, benché di formulazione barocca e burocratese.
La risoluzione 2231 è stata approvata all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nel luglio 2015, a sostegno dell’accordo denominato “Piano d’Azione Globale Congiunto” con l’Iran, che prevede un meccanismo di reintroduzione immediata delle sanzioni Onu nei confronti di Teheran (il cosiddetto “snapback”) in caso di mancato rispetto degli impegni previsti nel Piano stesso. Tale meccanismo entrerebbe in vigore nel giro di poche settimane, salvo che il Consiglio di Sicurezza non deliberi per bloccarlo. E Russia e Cina, entrambe membri permanenti del Consiglio, non dispongono dell’autorità per porre il veto a questo dispositivo.
In una nota separata, la Kallas ha affermato che il tempo per pervenire a una soluzione diplomatica si sta esaurendo rapidamente: «mancano settimane al ripristino delle sanzioni internazionali – ha precisato la Kallas – L’Iran deve manifestare passi credibili per rispondere alle richieste di Francia, Regno Unito e Germania, il che implica una piena collaborazione con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica e l’autorizzazione immediata di ispezioni in tutti i complessi nucleari». Poche ore più tardi, Araghchi ha replicato in un comunicato che il ritorno delle sanzioni Onu manca di «qualsiasi fondamento giuridico o razionale».
Qualora le sanzioni Onu venissero reintrodotte, i beni iraniani all’estero verrebbero congelati, scatterebbe un divieto sulle transazioni di armamenti con Teheran e si adotterebbero ulteriori provvedimenti mirati a ostacolare lo sviluppo del programma missilistico balistico iraniano.
La questione è gestita dal Terzetto (con la partecipazione dell’Ue) perché Donald Trump ha ritirato unilateralmente gli Stati Uniti dal Piano d’Azione Globale Congiunto nel 2018.
Trump, attualmente impegnato in viaggio di Stato nel Regno Unito, dovrebbe affrontare il tema iraniano nel corso dell’incontro con il primo ministro britannico Keir Starmer, in programma oggi.
Il 26 agosto, il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Esmaeil Baghaei ha riferito che una delegazione di Teheran ha avvertito i negoziatori del terzetto europeo che l’attivazione del meccanismo di reintroduzione immediata delle sanzioni avrebbe comportato non meglio precisate “ripercussioni”(ossia rappresaglie). Baghaei ha precisato che Teheran ha contestato al Terzetto il diritto di attivare tale meccanismo.
I colloqui tra il Terzetto e la delegazione iraniana si sono tenuti a Istanbul, mentre ulteriori vertici si sono svolti a Ginevra il mese scorso. Il 28 agosto, il Terzetto ha inoltrato una lettera al Consiglio di Sicurezza in cui affermava che, «sulla base di prove fattuali inequivocabili», l’Iran era «gravemente inadempiente» rispetto agli obblighi del Piano d’Azione Globale Congiunto, dando così luogo all’avvio della procedura per il meccanismo di reintroduzione immediata.
Il mese scorso, l’ayatollah Khamenei ha respinto ogni dialogo diretto con gli Stati Uniti sul programma nucleare del suo Paese, definendo la congiuntura attuale «irrisolvibile», probabilmente per via dell’attacco americano che aveva distrutto i siti nucleari iraniani. L’Iran, che detiene una tra le maggiori riserve mondiali di petrolio e idrocarburi, ha sempre sostenuto di perseguire unicamente lo sviluppo dell’energia nucleare civile, senza alcuna aspirazione a scopi bellici. Il sito web dell’Organizzazione per l’Energia Atomica dell’Iran riporta una dichiarazione dell’ayatollah Ali Khamenei che recita: «La Repubblica Islamica dell’Iran considera l’impiego di armi nucleari e chimiche un peccato imperdonabile e capitale. Noi abbiamo lanciato lo slogan di un “Medio Oriente libero dalle armi nucleari” e restiamo fedeli a tale principio».
Ma evidentemente nessuno all’interno della comunità internazionale ci crede. E considerato che il regime degli ayatollah, da quasi mezzo secolo, invoca il totale annientamento di Israele e Stati Uniti (dopo i quali con ogni probabilità toccherebbe all’Europa e al resto dell’Occidente), è evidente per quale ragione non solo l’amministrazione Trump e il governo Netanyahu, ma anche l’Onu (in questa fase capitanata dal Terzetto) consideri del tutto inaccettabile che l’Iran disponga della tecnologia nucleare.