Più di ogni altra stagione, l’autunno ci ricorda il passare del tempo e la nostra caducità. Tutto intorno a noi è in movimento: le foglie che cadono, il rapido susseguirsi dei colori e l’arrivo del freddo evocano il passare del tempo e la mortalità. Allo stesso tempo, esiste un delicato equilibrio tra il periodo dell’abbondante raccolto e quello del declino e dell’avvicinarsi della decomposizione.
La bellezza della natura in questa stagione è quindi un’occasione per riflettere sul nostro posto nel tempo. Tra le numerose poesie che vedono nell’autunno una manifestazione della nostra mortalità, quelle che seguono si soffermano sul nostro rapporto col tempo mostrandoci come anche la bellezza della natura intorno a noi possa sollecitare l’anima alla contemplazione di cose più elevate.
Ognuno di questi poeti, in modi diversi, parla dell’autunno rievocando in modo tangibile e visibile il percorso della nostra vita, in cui gioia e dolore sono a confronto e sempre entrambi fortemente presenti.
Autunno di Henry Wadsworth Longfellow
Tu arrivi, Autunno, annunciato dalla pioggia,
Con stendardi, sventolati incessantemente da grandi venti,
Più luminosi delle sete più brillanti di Samarcanda,
E maestosi buoi aggiogati al tuo carro!
Tu stai, come l’imperiale Carlo Magno,
Sul tuo ponte d’oro; la tua mano regale
Tesa con benedizioni sulla terra,
Benedici le fattorie attraverso tutto il tuo vasto dominio!
Il tuo scudo è la rossa luna del raccolto, sospesa
Da lungo tempo sotto la grondaia del cielo;
I tuoi passi sono accompagnati dalle preghiere dei contadini;
Come fiamme su un altare brillano i covoni;
E, seguendoti, nella tua splendida ovazione,
Il tuo elemosiniere, il vento, sparge le foglie dorate!
Il sonetto italiano di Longfellow (un’ottava di 8 versi e un sestetto di 6 versi) personifica l’Autunno nelle vesti di una figura regale che fa un’entrata maestosa nel tempo presente, proprio come fece Carlo Magno nei tempi antichi. Il linguaggio religioso della poesia dipinge l’Autunno come una figura dotata di autorità sia temporale che spirituale, che ascolta le preghiere dei contadini e riceve i frutti del raccolto come sacrifici su un altare. Le sue ricchezze consistono nella bellezza naturale, che egli dona generosamente a chi non ne possiede: le sue foglie dorate sono elargite come elemosina alle anime assetate di bellezza.
Attraverso questa rappresentazione dell’Autunno visto dall’uomo come una divinità, Longfellow sottolinea la dipendenza dell’umanità dalla Natura, che fornisce nutrimento sia fisico che spirituale. In contrasto con la figura grandiosa e regale dell’Autunno, i suoi sudditi appaiono di umili condizioni mentre egli stende la mano sulle terre in segno di benedizione. Il suo regno dura molto più a lungo di quello di qualsiasi sovrano umano.

Ottobre di Robert Frost
O silenziosa mattina di mite ottobre,
Le tue foglie sono mature per l’autunno;
Il vento di domani, se sarà impetuoso,
Le spazzerà via tutte.
I corvi sopra la foresta chiamano;
Domani potrebbero in stormo volare via.
O silenziosa mattina di mite ottobre,
Inizia lentamente le ore di questo giorno,
Fa’ che ci sembri meno breve.
Cuori non avversi all’essere sedotti,
Seducici nel modo che conosci.
Lascia cadere una foglia allo spuntar dell’alba;
A mezzogiorno lascia cadere un’altra foglia;
Una dai nostri alberi, una lontana.
Ritarda il sole con una leggera nebbia;
Incanta la terra con l’ametista.
Lento, lento!
Per amore dell’uva, se non altro,
Le cui foglie sono già bruciate dal gelo,
I cui grappoli altrimenti andrebbero persi…
Per amore dell’uva lungo il muro.
Frost descrive la fragilità della vita con l’immagine delle foglie che pendono precariamente dagli alberi, sensibili alla minima brezza. Allo stesso modo, la vita umana corre verso la propria fine, che può arrivare improvvisamente e inaspettatamente. Implorando il mattino di ottobre di indugiare, il poeta manifesta il desiderio universale di evitare di affrontare la realtà della nostra mortalità. Coltiviamo ardentemente l’illusione di avere tempo in abbondanza, preferendo le illusioni e gli incantesimi a una realtà difficile.

Frost rallenta persino lo svolgimento della poesia costringendo il lettore a soffermarsi sul verso Lento, lento! (Slow, slow!) prima di infondere alla poesia un senso di urgenza, manifestata negli ultimi quattro versi, che alludono all’inverno ormai praticamente alle porte e al lavoro ancora da fare per la vendemmia. In delicato equilibrio tra ozio e premura, la poesia ci narra che la fugace bellezza dell’autunno serve a ricordarci di agire e di non sprecare quello che il momento presente ha da offrirci.
Primavera e autunno (a una bambina)
di Gerard Manley Hopkins
Margaret, stai soffrendo
per la caduta delle foglie a Goldengrove?
Le foglie sono come le cose degli uomini, tu
con i tuoi pensieri freschi te ne prendi cura, vero?
Ah! Man mano che il cuore invecchia
diventerà più freddo di fronte a tali spettacoli
e non sprecherà nemmeno un sospiro
anche se ci saranno mondi di foglie secche sparse ovunque;
eppure piangerai e saprai perché.
Ora non importa, bambina, il nome:
Le sorgenti del dolore sono le stesse.
Né la bocca, né la mente hanno detto
ciò che il cuore sentiva, e il fantasma intuiva:
la rovina per cui l’uomo è nato,
è per Margaret che piangi.
Il gioco di parole ingegnoso nella poesia di Hopkins si fonde bene con la percezione infantile del mondo che comprende solo vagamente perché l’autunno possa essere motivo di tristezza. Il gioco di parole su “unleaving” (perdere le foglie) allude agli alberi che perdono le foglie, sottolineando il fatto che il “Goldengrove” non sta affatto perdendo le foglie in senso permanente. La causa della morte in natura è la caduta dell’uomo: Le sorgenti del dolore sono le stesse in quanto il male nel mondo, secondo Hopkins, deriva dal peccato originale.

Il titolo della poesia non si riferisce solo alle stagioni, ma al momento in cui nel Giardino dell’Eden l’uomo cade in disgrazia, e da quello scaturisce il dolore. Il vero freddo in questi versi deriva dalla perdita dell’innocenza infantile, che piange così dolorosamente le foglie morenti, anche se la crescente consapevolezza della causa principale dovrebbe suscitare in noi un dolore più profondo. Intuitivamente, in ogni momento di lutto per la morte o il declino della bellezza nel mondo che ci circonda, piangiamo per noi stessi, sentendo che tale destino è anche il nostro.
Autunno
di Rainer Maria Rilke
Le foglie cadono, cadono da lontano,
da giardini lontani che sfioriscono nei cieli;
cadono come rifiutando la caduta.
E nelle notti, attraverso il firmamento solitario,
pesante la terra cade, lontano da ogni stella.
Stiamo cadendo, ognuno di noi.
Questa mano cade,
E ogni altra mano che tu vedi.
Ma ogni cosa che cade, Qualcuno
con mani infinitamente gentili la accoglie.
Vale la pena esplorare le numerose traduzioni della poesia di Rilke Autunno (o Caduta) per i diversi aspetti che ognuna riesce a cogliere, ma io preferisco questa perché conserva il linguaggio melodioso dell’originale. Passando dalla semplice immagine di foglie che cadono a una più ampia scena cosmica della terra che cade nello spazio, Rilke arriva a esprimere in modo semplice ma eloquente la verità universale della condizione umana: Stiamo cadendo, ognuno di noi: Questa mano cade /E ogni altra mano che tu vedi.
Allo stesso tempo, anche se ognuno di noi cade, non siamo senza speranza: c’è Qualcuno che ci accoglie nel nostro cadere, in modo che la nostra discesa non sia più violenta della danza di una foglia che indugia mentre cade sul morbido terreno sottostante.