Socrate e la libertà di parola

Di tanto in tanto la storia regala al mondo un individuo dotato di quel tipo di genialità che influenza la civiltà per i secoli a venire. Socrate, vissuto ad Atene in Grecia, circa 2.500 anni fa, fu una di queste persone.

Ciò che sappiamo di Socrate deriva principalmente da Platone, uno dei suoi studenti. Socrate era una figura controversa: molti di coloro che parlavano personalmente con Socrate non potevano fare a meno di amarlo e rispettarlo. Nonostante ciò, fu odiato a livello politico e alla fine condannato a morte. Perciò viene da chiedersi: chi era Socrate? E in che modo la sua vita può offrire ancora saggezza al mondo di oggi?

Socrate, il più saggio

Dopo aver sconfitto la Persia, Atene divenne la città-Stato più potente della Grecia. Guidata da Pericle, Atene iniziò a eccellere militarmente, politicamente e culturalmente. In un periodo molto breve, la città-Stato avrebbe creato una cultura che sarebbe stata ricordata per millenni.

Una delle caratteristiche più importanti di Atene in questo periodo era il libero flusso di idee, incoraggiato da Pericle; Atene infatti perseguiva e incarnava l’ideale della libertà di parola. Dopo aver servito nell’esercito ateniese, Socrate avrebbe beneficiato di questa libertà di parola, dialogando con alcuni dei più grandi pensatori del suo tempo e interrogando molti cittadini ateniesi alla ricerca della saggezza.

Per Socrate, l’unica cosa che contava era la virtù etica. Credeva che «la vita non esaminata non vale la pena di essere vissuta» e che le domande sulla virtù etica – non le nozioni preconcette e assolute – fossero l’inizio della saggezza umana. Socrate presumeva di non sapere nulla e questa idea portò l’Oracolo di Delfi a confermare che Socrate era la persona più saggia di Atene. La dichiarazione dell’Oracolo spinse Socrate a iniziare una vita di filosofia.

Socrate attribuiva la sua saggezza in parte anche al suo «daimon», che Cicerone tradusse in «qualcosa di divino», che lo accompagnava fin da bambino. Socrate descrive il suo daimon nell’Apologia di Platone come «una specie di voce che viene a me, e quando viene mi trattiene sempre da ciò che sto pensando di fare, ma non mi spinge mai avanti». Il daimon, o guida divina, fungeva da guida etica per Socrate e gli impediva di agire in modi che avrebbero potuto causare danni.

Socrate camminava per le strade di Atene e coinvolgeva i suoi cittadini in dialoghi etici con domande del tipo: «Che cos’è la libertà? Che cos’è la giustizia?. Che cos’è il coraggio?». Molti di questi dialoghi si concludevano con gli interlocutori che di fronte a Socrate cambiavano le loro risposte preconcette grazie al metodo di interrogazione tipico di Socrate, un dialogo che spesso metteva in luce la loro mancanza di reale saggezza.

Socrate corrompe i giovani

Molti di coloro che avevano del tempo libero per confrontarsi con Socrate erano giovani e ricchi. Alcibiade, per esempio, nipote di Pericle, era un giovane promettente: era bello, ricco, politicamente ambizioso e fu eletto come uno dei generali di Atene. Socrate venne a conoscenza delle sue ambizioni politiche e cercò di dialogare con lui. Socrate voleva dimostrare ad Alcibiade che non sarebbe stato pronto a realizzare le sue ambizioni finché non avesse considerato e riflettuto profondamente sull’essenza della giustizia.

Nel 1776, l’artista francese François-André Vincent dipinse Alcibiade che viene istruito da Socrate. Sul lato destro della composizione, Vincent raffigura un Socrate di mezza età accompagnato dal suo daimon, che si prepara ad impedire a Socrate di dire o fare qualcosa di dannoso. Socrate parla ad Alcibiade, posizionato sul lato sinistro del dipinto. Vestito con un elegante abito da generale, Alcibiade sembra ascoltare Socrate: fissa infatti in modo molto diretto Socrate in viso, ma il suo corpo invece si gira dall’altra parte.

‘Alcibiade viene istruito da Socrate’ di François-André Vincent. Olio su tela, 1776 circa. Musée Fabre (Dominio pubblico)

Lo scudo di Alcibiade è appeso alla parete sullo sfondo e la sua mano sinistra sembra voler nascondere la spada allo sguardo di Socrate. Il gesto di Alcibiade di nascondere la spada indica la sua promessa di considerare la giustizia nella realizzazione delle sue ambizioni, oppure è un tentativo di nascondere le sue vere ambizioni politiche prive di giustizia?

La storia ha dato la risposta: Alcibiade perseguì le sue ambizioni politiche senza una profonda considerazione di quella giustizia che Socrate gli voleva trasmettere. Alcibiade progettò di conquistare la Sicilia, ma, prima di salpare, alcune statue religiose vennero mutilate, il che fu considerato dalle masse un cattivo presagio. Gli avversari politici di Alcibiade lo incolparono di questi atti di blasfemia e chiesero che fosse processato. Per evitare questo destino, decise di non tornare ad Atene e di schierarsi addirittura con Sparta, danneggiando enormemente la propria patria.

Non passò molto tempo prima che Alcibiade venisse condannato anche dagli spartani, per aver avuto una relazione illecita con la regina spartana. Alla fine fuggì in Persia, che aiutò come nemico della Grecia. Prima di morire assassinato in Persia, Alcibiade in definitiva aveva combattuto su tre fronti diversi la stessa guerra; chiaramente sembrava davvero poco attento alla giustizia e più preoccupato di ciò che era politicamente conveniente per se stesso.

È per questo che il dipinto raffigura il suo corpo che si allontana da Socrate? Questo linguaggio del corpo suggerisce una mancanza di piena attenzione da parte di Alcibiade? In seguito Socrate sarebbe stato accusato di empietà nei confronti degli dei di Atene e di corruzione dei giovani. Si presume che uno di questi giovani corrotti, anche se non viene mai nominato per nome, sia stato considerato proprio Alcibiade. Socrate sarebbe stato processato e condannato a morte per questi reati.

Il processo a Socrate

Gli ateniesi erano orgogliosi del loro ideale di libertà di parola. La possibilità di esprimere e scambiare liberamente le idee era fondamentale per la cultura e il successo ateniesi. Tuttavia, dopo che il piccolo esercito spartano sconfisse Atene, molti ateniesi iniziarono ad ammirare la struttura di potere dominante e militare di Sparta.

Socrate fu chiamato in giudizio poco dopo la sconfitta di Atene da parte degli spartani nella Guerra del Peloponneso. Fu accusato di non aver riconosciuto gli dei di Atene, di aver introdotto nuove divinità e, naturalmente, di aver corrotto i giovani. I suoi accusatori tirarono in ballo il suo daimon o guida divina, che non era una delle divinità riconosciute da Atene e fecero notare che molte delle persone che attaccavano la democrazia ateniese erano, almeno a volte, giovani associati a Socrate.

Socrate si difese, affermando che queste accuse erano false. Perché allora tanti ateniesi le credevano vere? Perché tanti ateniesi lo odiavano? Socrate sostenne che il motivo per cui gli ateniesi arrivarono a disprezzarlo, nonostante i suoi sforzi per servirli, fu a causa di quelli che si potrebbero definire i media dei suoi tempi. Per esempio la commedia teatrale di Aristofane Nuvole dipingeva Socrate come un empio buffone che corrompeva i giovani e non doveva essere preso sul serio.

Socrate ammetteva di perseguire la saggezza attraverso l’indagine con coloro che lo ascoltavano, per lo più giovani uomini ricchi che avrebbero praticato con lui una linea di indagine simile alla ricerca della saggezza. Egli sosteneva che ciò non corrompeva, bensì giovava alla democrazia di Atene.

In democrazia, la maggioranza al potere impone ai cittadini le sue virtù ma anche i suoi vizi. Sta quindi a pochi ‘devoti’, non ai molti, perseguire la virtù etica e trasmetterla alla generazione successiva. Questo, ovviamente, richiede anche la messa in discussione degli stessi vizi che la maggioranza ritiene essere la verità assoluta.

Socrate sosteneva inoltre di non essere empio: aveva dedicato la sua vita all’obbedienza del dio di Delfi e del suo daimon o guida divina, che lo aveva guidato eticamente per tutta la vita nel tentativo di servire il mondo pubblico ateniese. Voleva che gli altri, così come lui stesso, arrivassero a una comprensione sempre più profonda della virtù, in modo che Atene potesse raggiungere il suo pieno potenziale e prosperare.

Il processo a Socrate fu un caso in cui un ateniese fu perseguito per il presunto danno indirettamente causato dallo scambio di idee. Il popolo di Atene, che un tempo apprezzava l’ideale della libertà di parola, gli impose di denunciare le sue convinzioni o di morire avvelenato. Socrate scelse il veleno.

La morte di Socrate

La Morte di Socrate fu dipinta nel 1787 dall’artista neoclassico Jacques-Louis David (1748-1825). Raffigura il momento in cui Socrate, circondato dai suoi seguaci e dalla sua famiglia, riceve un calice di cicuta da bere, che accetta volontariamente poiché la sua guida divina o daimon non cerca di impedirglielo. Socrate non solo accetta il calice di cicuta, ma prima di bere indica il cielo e parla dell’immortalità dell’anima. È raffigurato con una veste bianca e con la muscolatura di un giovane ideale, che suggeriscono il suo carattere forte e puro. Di tutte le figure raffigurate, egli è maggiormente illuminato dalla luce che proviene dalla parte superiore della composizione.

Socrate discuteva delle forme ideali che esistevano dietro le forme superficiali che vediamo nella vita quotidiana. Suggerì che esisteva una verità più grande che illuminava tutte le altre cose e che questa verità era accessibile solo a coloro (i «re filosofi») che vivevano la loro vita in accordo con le verità superiori.

Nella famosa «Allegoria della caverna» della Repubblica di Platone, Socrate suggerisce che la realtà per noi è come essere incatenati in una caverna e costretti a guardare una parete su cui si proiettano le ombre di una fiamma alle nostre spalle. Tutti noi scambiamo le ombre per la realtà, senza renderci conto che la verità vera e propria inizia con la fiamma alle nostre spalle e che c’è un altro mondo, più vero, al di là di questo.

Il «re filosofo» diventa colui che si libera dalla caverna e vede la fiamma come fonte delle ombre e la realtà del mondo oltre i confini della prigione. La domanda rimane: Quanti dei precedenti prigionieri (della caverna) hanno potuto comprendere la verità dell’esistenza della caverna mentre erano ancora incatenati al suo interno?

Nel dipinto, Jacques-Louis David ha raffigurato Socrate come il re filosofo che è sfuggito alle catene che lo tenevano confinato nell’ombra delle pareti della caverna; si possono vedere le catene a terra. Socrate vide la verità, cercò di comunicarla e fu punito con il veleno.

Nell’angolo in alto a sinistra della composizione, c’è una lampada a olio che si è quasi esaurita; una lampada a olio spenta è spesso usata nell’arte come simbolo dell’effimero della vita e della morte imminente. David ha rappresentato la lampada a olio come l’unico oggetto che proietta un’ombra sulla parete, il che si allinea al discorso finale di Socrate, in cui afferma che l’anima è immortale e la morte è un’illusione.

C’è anche una lira sul letto accanto a Socrate, che era spesso considerato un esempio di logica e ragione; tuttavia Socrate aveva un sogno ricorrente che lo incoraggiava a fare musica, ma pensava che il sogno si riferisse alla musica della filosofia e solo dopo il processo ritenne che il sogno si riferisse alla musica vera e propria, e cercò di imparare una melodia mentre aspettava di morire.

Si ipotizza che la scelta di Socrate di dedicarsi alla musica alla fine della sua vita suggerisca che la logica e la ragione non siano assolute e possano portarci solo fino a un certo punto nella comprensione di ciò che significa essere umani. L’esperienza umana completa richiede sia la scienza che l’arte e la libertà di parlare alla ricerca della vera essenza di entrambe.

 

L’autore dell’articolo, Eric Bess, è un artista rappresentativo e dottorando presso l’Institute for Doctoral Studies in the Visual Arts (IDSVA).

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Articolo in inglese: Socrates and Freedom of Discourse

 
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