Quale sarà l’atteggiamento della Cina al G20 di Osaka?

Al G20 di Osaka, la Cina rischia di chiudersi a riccio. Ma non le conviene

Di Zhou Xiaohui

Un articolo pubblicato dalla rivista politica ufficiale del regime cinese ha offerto uno spaccato su quale potrebbe essere l’atteggiamento della Cina in occasione dell’incontro tra il leader cinese Xi Jinping e il presidente americano Donald Trump, la prossima settimana al G20 di Osaka. In sintesi, se l’articolo riflettesse effettivamente le intenzioni di Xi, è pressoché certo che i due leader non raggiungeranno alcun accordo.

Il lungo editoriale sulla guerra commerciale tra Usa e Cina è apparso su Qiushi in dieci sezioni, ed è stato ripubblicato il 17 giugno anche dal Quotidiano del Popolo.

Dal momento che Qiushi rappresenta le più importanti posizioni politiche del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, l’articolo ha fondamentalmente definito le linee guida a cui Xi Jinping dovrebbe attenersi durante l’incontro con Trump al G20 di Osaka.

Oltre a sfoggiare la consueta retorica – secondo cui gli Stati Uniti starebbero facendo i prepotenti con la Cina nell’ambito dei negoziati commerciali, che però non si arrenderà mai – l’articolo prevede che gli Stati Uniti diventeranno sempre più isolati nella comunità internazionale, dal momento che continuano a sfidare e infrangere i regolamenti internazionali, mentre la Cina sarà presto capace di trasformare le crisi in opportunità.

In una sezione intitolata ‘La posizione e l’atteggiamento della Cina riguardo le frizioni economiche e commerciali tra Cina e Stati Uniti’, l’articolo sostiene che la differenza fondamentale tra Stati Uniti e Cina sia che i primi hanno scelto «la vecchia strada dell’egemonia», mentre la Cina ha imboccato «una nuova strada volta a costruire una comunità per il bene comune del genere umano».

Se l’articolo di Qiushi rappresentasse veramente il pensiero di Xi, è certo che qualora i due leader si incontrassero non raggiungerebbero alcun accordo.
D’altronde, se l’articolo fosse opera degli integralisti del Partito o della fazione dell’ex leader Jiang Zemin, il suo intento sarebbe quello di fissare una linea guida, e dei paletti, in vista dell’imminente colloquio tra Trump e Xi.

Finora Xi ha collaborato con questi integralisti, che lo hanno spinto in una situazione molto pericolosa. Se non riuscirà a superare le resistenze e realizzare le riforme che aveva promesso agli Stati Uniti – con un’altra tornata di dazi che minaccia l’economia cinese – persino la sopravvivenza dello stesso Xi sarà messa a rischio.

La crisi dell’economia cinese

L’editoriale, d’altronde, esagera nei suoi elogi dell’economia della Cina, affermando che il miracolo economico cinese è il risultato «della perfetta integrazione tra il socialismo e l’economia di mercato». E che per questo «la Cina è sicura di sé e perfettamente in grado di gestire ogni genere di sfide e pericoli in ambito economico».

In realtà, sotto la pressione della guerra commerciale, lo sviluppo economico della Cina ha mostrato pienamente la sua natura anormale. Il governo di Trump ha ancora molte carte da giocare in questo conflitto commerciale, ma sembra che sia riuscito ad assestare un duro colpo all’economia cinese con la sola imposizione dei dazi e la messa al bando di Huawei e Zte.

Negli ultimi mesi sia le esportazioni che le importazioni della Cina sono calate drasticamente, il mercato azionario cinese ha assistito alla più grande fuga di capitali stranieri di sempre, un ampio numero di imprese private hanno chiuso i battenti o trasferito la produzione nel sud-est asiatico, il tasso di disoccupazione ha raggiunto nuove vette, i prezzi degli alimenti stanno aumentando e la valuta cinese, lo yuan, sta affrontando le conseguenze della forte svalutazione.

Le sei stabilità menzionate da Xi a luglio del 2018 – stabilità di impiego, stabilità finanziaria, stabilità nei commerci internazionali, stabilità degli investimenti stranieri, stabilità degli investimenti e stabilità delle aspettative – attualmente sono tutte a rischio. Persino i funzionari del Pcc si stanno già preparando per la caduta del regime, e stanno infatti trasferendo all’estero i propri beni e le proprie famiglie.

Sun Liping, professore di sociologia presso l’università di Tsinghua, nonché vecchio mentore di Xi, ha pubblicato l’anno scorso un articolo sulla guerra commerciale su WeChat, in cui ha dichiarato apertamente che la Cina non può permettersi di controbbattere, in quanto «la Cina dipende pesantemente dalle importazioni, come nel caso dei prodotti ad alta tecnologia provenienti dagli Stati Uniti. La maggior parte della valuta straniera che arriva in Cina proviene dagli Stati Uniti. Senza questa valuta estera, prodotti indispensabili come il cibo, il petrolio e i mircochip, non possono essere importati».

Diverso il caso degli Stati Uniti, che secondo Sun dispongono delle risorse naturali necessarie al sostentamento della popolazione all’interno del proprio territorio. Inoltre, hanno molti alleati nel mondo con i quali potrebbero fare affari, anche se il mercato cinese sparisse.

Sun ha concluso la sua analisi affermando che «la Cina non può permetterselo. Se la guerra commerciale prendesse una brutta piega, potrebbe danneggiare seriamente l’economia americana, ma per la Cina è una questione di vita o di morte».

 

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la visione di Epoch Times.

Articolo in inglese: Beijing’s Top Political Journal Sets Tone for New Trade Talks Between Xi, Trump

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