Processo Angeli e Demoni. Il caso Bibbiano, la galassia affidi, il progetto sociale

Di Antonietta Gianola

La prossima udienza del processo Angeli e Demoni è fissata per il 25 febbraio. Il procedimento sui presunti affidi illeciti e abusi su minori avvenuti in val d’Enza, nel Reggiano, vede tra gli imputati il sindaco del Comune di Bibbiano, Andrea Carletti, l’ex responsabile dei servizi sociali dell’Unione val d’Enza Federica Anghinolfi, l’operatore correggese Francesco Monopoli, lo psicoterapeuta Claudio Foti. Più di cento i capi di imputazione, a vario titolo, contestati dalla pm Valentina Salvi, 155 testimoni e 48 persone offese. L’impianto accusatorio: i minori erano allontanati ingiustamente dalle famiglie d’origine per un tornaconto economico, attraverso perizie falsificate, disegni manipolati, storie inventate e sedute di psicoterapia finalizzate a condizionare i bimbi spinti ad accusare i genitori.

Oltre ad accertare le responsabilità, il caso Bibbiano – punta d’iceberg del sistema deviato degli affidi, fenomeno diffuso in tutto il Paese – rappresenta un’occasione per riflettere sulla galassia della protezione dei minori, come dichiarato da Patrizia Micai, legale ferrarese esperta in diritto di famiglia che segue diversi genitori coinvolti.

Segui i soldi

Come per anziani, immigrati, disabili, violenza, anche l’infanzia beneficia di abbondanti finanziamenti pubblici che finiscono, senza controllo, nelle casse private di enti e cooperative. Quando parte una segnalazione, il bambino ‘attenzionato’ viene allontanato dalla famiglia attraverso l’intervento dei servizi sociali e collocato in una struttura.

Tra comunità protette e case famiglia per minori, si stima che in Italia siano almeno 1800 le strutture in esercizio. La cifra però è ipotetica perché ogni anno nascono nuove realtà. Molto difficile stabilire il numero esatto dei bambini coinvolti perché non esiste un censimento, benché ogni comune sia dotato di assistenti sociali e professionisti incaricati di seguire famiglie e bambini fragili. La stima dei minori fuori casa si aggira su 30 mila bambini. Ogni minore alloggiato in comunità costa alla collettività tra gli 80 e i 150 euro al giorno, in caso di disabilità fino a 400 euro al giorno.

La gestione degli affidi muove una montagna di denaro, esentasse e senza rendicontazione

Le ‘rette’ passano come donazioni a supporto del nucleo famigliare o della casa famiglia ospitante, che può spendere o non spendere a piacimento quei soldi. Non è possibile sapere alcunché di preciso su quale sia il giro d’affari complessivo a totale disposizione dei titolari/affidatari, perché non sono tenuti a dichiarare niente a nessuno, e sovente i piazzamenti dei minori presso tali presìdi sono confermati da una semplice scrittura privata nemmeno comunicata al Tribunale dei Minori, men che meno all’Agenzia delle Entrate.

Ecco perché sorge il dubbio che l’alto numero di minori fuori casa sia provocato dagli interessi e non dalla volontà di aiutare: se infatti si togliessero i finanziamenti a chi gestisce le case protette – intestate tutte a soggetti terzi privati – e si riportasse il servizio in capo ad un ente pubblico, quanti si dedicherebbero a soggetti su cui non c’è nulla da guadagnare?

Sebbene il protocollo preveda la permanenza in struttura per un tempo determinato e limitato, moltissimi bambini entrano neonati ed escono alla maggiore età. Le rette ingrassano i titolari delle comunità e i bambini crescono orfani di genitori vivi.

Un dossier del 2013 che porta la firma dell’avvocato Cristina Franceschini rivelava che molti operatori che affiancano il magistrato togato presentavano conflitti di interesse perché impegnati a vario titolo nelle comunità destinate ad ospitare gli stessi bambini oggetto delle sentenze.

Business anche nel giro delle famiglie affidatarie le quali occupandosi di un bambino percepiscono una cifra mensile che diventa uno stipendio. A costituire questa rete sono amici degli assistenti sociali, degli avvocati degli psicologi e tutte quelle Associazioni che si prodigano per diffondere la mentalità dell’affido extra familiare. Una situazione paradossale: da una parte si contribuisce alla distruzione di un nucleo familiare, accettando l’idea che i bambini possano perdere il contatto coi genitori naturali, dall’altra si esaltano i benefattori dell’infanzia violata, persone estranee che vanno a sostituire il legame familiare. É lecito chiamare questo approccio traffico di esseri umani?

Come mai un Comune è disposto spendere fino a 400 euro al giorno per alloggiare un minore in una struttura privata, smembrare una famiglia, quando la metà di quella cifra potrebbe darla alla famiglia stessa o spenderla per affiancare figure di aiuto che non danneggino il soggetto più debole, ovvero, il bambino?

Costi sociali

Quando parliamo di bambini tolti ai genitori senza reali motivi ci troviamo di fronte a malagiustizia familiare. Nonostante la Costituzione, i diritti inalienabili dei Minori garantiti dalla Convenzione Onu, la Carta di Noto, il Codice Civile, normative e regolamenti, questi casi sono talmente tanti che i tribunali non riescono a seguire le pratiche che si accumulano nelle Procure in migliaia di fascicoli. I motivi che portano un bambino ad essere tolto alla famiglia sono i più disparati: presunti maltrattamenti, presunti abusi, povertà, separazione dei genitori, conflitti che creano situazioni alienanti e di questi tempi si può portare via un bambino perché qualcuno della famiglia ha il Covid. Basta una segnalazione di un medico, di un’istituzione scolastica e persino di un vicino di casa per far sì che una famiglia si possa ritrovare in casa i servizi sociali del Comune, una squadra legittimata ad accertare eventuali situazioni di disagio e prendere drastiche decisioni che travalicano le proprie competenze. Tra gli strumenti più utilizzati da questi esperti, il ricorso all’articolo 403 del codice civile, provvedimento che dovrebbe essere emesso in caso di abbandono del minore o quando si trova in una condizione di grave pericolo per la propria integrità fisica e psichica, che si utilizza in modo disinvolto e che dopo la modifica chiesta nel 2017 dal Pd, permette ad un’assistente sociale di portar via un bambino senza avere l’autorizzazione da parte della magistratura. La famiglia, nella maggioranza dei casi, è totalmente impotente di fronte a questo sistema che opera anche con l’ausilio della forza pubblica.

I bambini strappati ai genitori sono costretti a vivere in ambienti extra familiari (qui la storia di Anna per 16 anni in comunità) i genitori vivono un incubo. Se hanno dei soldi, una casa, un’eredità la spendono in avvocati e ricorsi. La prima notte in comunità per un bambino è spaventosa, come ha raccontato bene Erik Papi, educatore pluridecennale in servizio presso il comune di Reggio Emilia, esperto e profondo conoscitore del ‘sistema’. Nessun bambino è felice di vivere chiuso in una struttura, una specie di casa con le sbarre alle finestre, a parlare con papà e mamma (quando sono fortunati) solo al telefono ai quali ogni volta gridano tutto il loro dolore: «Mammaaa voglio tornare a casaaa, vienimi a prendere. Adessooo». Così raccontava nel 2013 la Dott.ssa Chiara Cuccaroni, professionista con numerose esperienze lavorative presso comunità, case famiglia, case protette, in una lettera che strazia il cuore, indirizzata all’allora Garante per l’infanzia Vincenzo Spadafora e Presidente Unicef, sempre tenuto informato sul funzionamento di questo servizio attraverso registrazioni audio strazianti, video di violenze psicologiche e fisiche su bambini da parte degli operatori, ricorsi e faldoni, il quale sollecitato a rispondere alle numerose denunce sulla malagiustizia familiare aveva concluso che «tutto sommato il sistema regge». Eh sì, regge, con le solite modalità come l’ultimo caso scoperto poche settimane fa in Lunigiana.

Alla base dell’odio viscerale per la famiglia, motore degli affidi forzati, c’è l’ideologia

È l’odio verso la Famiglia Naturale, la motivazione che consente al sistema degli affidi di provocare tanto sconquasso, distruzione e violenza. Il sistema è formato da una galassia di onlus, enti e cooperative accreditate presso le istituzioni che arriva agli affidi coatti con la convinzione che certe famiglie siano del tutto inadatte e incapaci di crescere i bambini e che lo Stato debba intervenire. Quante volte abbiamo sentito dichiarare da intellettuali, attori, registi, politici e saltimbanchi che i figli non sono di papà e mamma? Ragionamento familiare anche per Federica Anghinolfi, la psicologa del servizio della val d’Enza: il giudice Ramponi a pagina 253 dell’ordinanza aveva scritto che la responsabile era convinta che «all’interno della famiglia si consumano atroci abusi e che bisogna creare nei bambini un sentimento respingente verso di loro».

Il sistema degli affidi forzati è dunque un progetto sociale che veicola l’idea che lo Stato può intervenire se la Famiglia viene giudicata non idonea a svolgere il suo compito. Un progetto ideologico che abbiamo visto applicato dalla Cooperativa agricola ‘Il Forteto’ dove violenza e perversione stavano dietro la falsa tutela dei minori e delle loro famiglie.

Il Metodo

La narrazione intorno agli affidamenti extra familiari gira intorno al concetto che nella famiglia si consumino violenze, abusi e maltrattamenti. Il mostro è quasi sempre il padre verso il quale si concentrano tutte le accuse. Secondo questi esperti l’abuso sessuale sui minori è un «fenomeno diffuso» e «in grande prevalenza sommerso», secondo loro gli adulti non vanno ascoltati perché quasi sempre negano, e l’abuso va sempre rintracciato anche in assenza di rivelazioni del minore. É il famoso metodo Cismai, gruppo di professionisti in campo da decenni specializzati nella prevenzione, il riconoscimento e la valutazione delle varie forme di maltrattamento a danno dei bambini, per individuare e diffondere le procedure adatte a intervenire nelle famiglie e offrire agli operatori coinvolti gli strumenti di tutela e sostegno. Una catechizzazione che avviene attraverso convegni e corsi di formazione per psicologi, giudici, avvocati, assistenti sociali ed educatori insomma centinaia di professionisti che trovano poi impiego nei Tribunali, nei comuni, negli enti pubblici e religiosi, formati come segugi per intercettare i segnali di ipotetici abusi sessuali anche quando non ci sono e stanare i genitori inadatti a svolgere il loro compito. Questa metodologia, non è mai stata riconosciuta valida dalla comunità scientifica, ma si è diffusa in tutto il Paese, sostenuta dalla politica, contribuendo a diffondere false e allarmanti notizie del tipo che in Italia un bambino su 5 è vittima di abusi e che in ogni città esista una setta satanica. I nomi degli psicologi, degli esperti e delle onlus che fanno parte del network si trovano in Lombardia, Piemonte, Liguria, Veneto, Emilia Romagna, Lazio, Toscana, Sardegna, Campania, Puglia.

Tutto torna

Dopo l’abolizione della definizione padre e madre sui documenti sostituti da Genitore 1 e Genitore 2, la possibilità di scegliere il cognome della madre cancellando il ramo paterno dalla storia del figlio con la scusa di mettere parità fra uomini e donne, recentemente il Partito Democratico, nel documento di riforma sanitaria del Friuli Venezia Giulia, ha sostituito la parola famiglia con «rete formale e informale della persona» una perifrasi per aggirare il superato concetto di famiglia composta da padre madre e figli. La cellula fondante della civiltà è da tempo minacciata da manovratori che hanno in mente un modello preciso: quello socialista atomizzato: uomini e donne senza relazione con la cura dei bambini delegata allo Stato. E i fatti degli ultimi 12 mesi dove è lo Stato a organizzare tutto, a partire dalla salute, sembra un progetto ben avviato.

 

L’autrice dell’articolo, Antonietta Gianola, lavora attualmente per il Gruppo Multiradio nella redazione locale di Radio Bruno, emittente radiofonica con sede a Carpi (Mo) e collabora con la testata Primato Nazionale. Giornalista professionista dal 1992 ha lavorato per il gruppo Rizzoli/Hachette, Gruppo Italia Oggi e Giorgio Mondadori. 

Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista dell’autore e non riflettono necessariamente quello di Epoch Times.

 
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