Perché un rapporto Durham è ora altamente improbabile

Di Lee Smith

Il probabile nuovo procuratore generale Merrick Garland, consentirà al consigliere speciale John Durham di proseguire le sue indagini sul caso «Crossfire Hurricane»? Si vedrà.

Quando lunedì i repubblicani del comitato giudiziario del Senato, per voce di Chuck Grassley, l’hanno chiesto al candidato procuratore generale, lui ha risposto: «Non ho motivo di pensare che [Durham, ndr] non dovrebbe rimanere al suo posto».

In realtà, se Garland fosse confermato, non permetterà a Durham di rimanere al suo posto, altro che rapporto Durham. La prospettiva che il procuratore generale di Biden possa consentire a Durham di incriminare gli ex funzionari dell’amministrazione di Barack Obama è ridicola. Bisogna ricordare che i documenti rilasciati nell’ultimo anno hanno dimostrato che, come vicepresidente, Biden non solo era a conoscenza dell’operazione di spionaggio contro i funzionari di Trump, ma vi aveva partecipato. Biden non solo sapeva che l’Fbi stava incastrando il nuovo consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn, ma aveva suggerito al Dipartimento di Giustizia di farlo con l’accusa di aver violato il Logan Act.

In altre parole, i funzionari dell’Fbi su cui Durham sta indagando, sono i co-cospiratori di Biden. Consentire loro di essere incriminati non solo indica la colpevolezza di Biden, ma mostra anche che l’uomo più potente del mondo non è in grado o non vuole proteggere gli alleati che hanno contribuito a far avanzare la causa del partito che ora guida. Ciò dimostrerebbe che Biden è debole. Garland capisce che il suo compito principale come capo delle forze dell’ordine di Biden non è quello di sorvegliare il trattamento giusto ed equo di tutti gli americani secondo la legge, ma di proteggere il presidente e il partito che serve.

L’amministrazione Biden ha già dimostrato che ha un animo molto diverso da quello di Trump. Durante i suoi quattro anni in carica, gli alleati di Trump si sono lamentati del fatto che il suo problema più grande fosse il suo comportamento personale. È vero che i punti chiave della sua amministrazione erano pieni di funzionari che si opponevano al suo programma America First. C’erano problemi con l’ufficio del personale, spiegano gli addetti ai lavori. Inoltre, a volte i membri della famiglia Trump premevano per avere amici senza l’esperienza o l’impegno per attuare la visione di Trump. Ma anche i meno esperti o i più contrari alla visione di Trump sarebbero stati messi in riga, se lui avesse dato loro motivo di temerlo.

In «Il principe», Machiavelli scrive che nel decidere tra guadagnarsi l’amore e il rispetto dei suoi sudditi, il principe di successo deve scegliere il sentimento pubblico, tra i due, che può controllare più direttamente. Invece, il 45° presidente degli Stati Uniti ha cercato l’amore. Forse l’esempio più chiaro di questo si trova nei racconti dell’ex direttore dell’Fbi, James Comey, dei suoi incontri e delle sue conversazioni con Trump. Dimostrano che Trump ha sollecitato l’aiuto e persino l’amicizia di burocrati esperti come Comey. Ma per lui, le suppliche di Trump segnalavano debolezza. Poi Comey si è reso conto che il nuovo presidente si era sentito frustrato quando il direttore non era riuscito a liberarlo pubblicamente da qualsiasi legame con la Russia. E Trump gli ha solo chiesto di nuovo di scagionarlo. Invece di licenziare Comey e di mandarlo in disgrazia, ha liberato Flynn e poi ha chiesto a Comey di andarci piano con il generale in pensione, l’uomo più fedele di tutti al presidente. Di conseguenza, Trump ha ottenuto l’indagine Mueller, che ha consumato due anni della sua presidenza, ma anche allora c’era ancora tempo perché Trump suscitasse il rispetto generato dalla paura.

William Barr può essere un uomo perbene, ma è un uomo di Washington e quindi soggetto ai venti del potere che attraversano la capitale. Ciò che rende fedele un uomo di Washington non è un senso astratto del dovere, ma la paura che se non serve il suo capo, sarà distrutto. Nella primavera del 2020, Barr ha consigliato al presidente di non licenziare il direttore dell’Fbi Christopher Wray, avvertendo che sarebbe stata presa come prova che la Casa Bianca era nel caos nel mezzo di un anno elettorale. Barr avrebbe potuto licenziare lo stesso Wray, e aveva motivo di farlo, per aver nascosto documenti ai pubblici ministeri del Doj, ma l’attorney general stava mettendo alla prova Trump. Accettando i desideri di Barr, Trump ha in realtà mostrato che non ci sarebbe stato alcun prezzo da pagare per chi gli andava contro. Barr si è quindi salvaguardato dinanzi alla potenziale vittoria di un candidato che aveva dimostrato (spiando la squadra di Trump) che, se fosse stato vittorioso a novembre, avrebbe reagito con forza contro il procuratore generale di Trump per averlo perseguito. Senza alcuna pressione su di lui da parte di Trump, invece, Barr non ha fatto pressioni sul suo pubblico ministero per scegliere tra emettere accuse entro la fine dell’estate, come era stato precedentemente promesso, o essere sostituito da qualcuno che l’avrebbe fatto. Per tutti gli scopi pratici, l’indagine di Durham era già terminata entro aprile.

Il procuratore generale di Biden ha un ulteriore incentivo a chiudere definitivamente Durham. Diciamo che l’avvocato speciale ha le prove per incriminare gli alti funzionari dell’Fbi su cui sta indagando. Ciò confermerebbe ciò che dal 2017 i repubblicani affermano su Crossfire Hurricane: l’Fbi non stava indagando sulle interferenze russe, stava spiando un candidato presidenziale e poi il comandante in capo. Dimostrare che il partito di Biden mentiva su questo, suggerirebbe che forse i Democratici mentivano anche su altre cose, forse mentivano su tutto. Hanno mentito sulla telefonata che ha fatto mettere in stato d’accusa Trump; hanno mentito sulle rivolte «per lo più pacifiche» a favore di George Floyd; hanno mentito sulle proteste del 6 gennaio definendole un’insurrezione armata; e, cosa più importante, hanno mentito sulla trasparenza e la legittimità delle elezioni del 2020.

I repubblicani potrebbero provare a combattere la nomina di Garland o almeno usare le udienze per portare avanti un caso sulla corruzione del Partito Democratico, ma non lo faranno perché temono la nuova amministrazione.

 

Lee Smith è l’autore del recente libro di pubblicazione «The Permanent Coup: How Enemies Foreign and Domestic Targeted the American President».

Le opinioni espresse in quest’articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente quelle di Epoch Times.

Articolo in inglese: Why a Durham Report Is Becoming Highly Unlikely

 
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