Nella giornata dei Diritti Umani, Free China torna a scuotere Padova

Giovedì scorso Free China: il coraggio di credere è tornato a Padova per scuotere nuovamente le coscienze degli spettatori. Nella Giornata Mondiale dei Diritti Umani 2015, l’assessorato alla Cooperazione Internazionale del Comune veneto ha voluto proiettare per la terza volta in sei mesi l’opera del pluripremiato regista Michael Perlman e coprodotta dall’emittente statunitense Ntd Television.
Il documentario racconta di come il regime cinese ha perseguitato il suo ex membro Jennifer Zeng e l’imprenditore sino-americano Charles Lee in quanto praticanti del Falun Gong, una pratica meditativa pacifica profondamente radicata nell’antica cultura tradizionale cinese.

Il film, attraverso la storia di Jennifer e Charles, ha svelato anche la brutalità con cui il Partito Comunista cinese si è scagliato contro milioni di persone, imprigionandole illegalmente nei campi di lavoro (Laogai, ndr) disseminati in tutta la Cina, e constringendole a lavorare gratis dalle «cinque del mattino fino a oltre la mezzanotte», senza pause e in condizioni disumane.

In Cina il Pcc infligge abusi e torture ai prigionieri di coscienza – per la maggior parte praticanti del Falun Gong, ma anche uiguri, tibetani, cristiani ‘indipendenti’ e avvocati per i diritti umani – e, cosa ancor più grave, preleva in modo coatto gli organi dai detenuti per venderli a ricchi cinesi o a ‘turisti del trapianto’.

È «una realtà che non tutti conoscono (e che nemmeno io conoscevo) – ha commentato, dopo aver visto il film, Flora Grassivaro (presidente della Federazione delle donne per la pace nel mondo) – penso si debba fare qualcosa, perché è assurdo che le persone non vengano trattate come esseri umani, sia fisicamente che spiritualmente».

«È così brutto vedere come una persona non possa esprimere la propria spiritualità, il proprio credo. Penso sia la cosa che più colpisce», ha aggiunto.

Nella sala Giotto del quartiere 6 Ovest, sede dell’evento, al termine della proiezione, Enrico Terenzani – presidente del mediapartner di Ntd Tv EpochTimes – ha aperto il dibattito approfondendo le problematiche esposte dal film.

Ad esempio, secondo Amnesty International, in Cina «le persone che vengono giustiziate ogni anno sono 1700. Il ministro della sanità cinese ha dichiarato che ci sono 7 mila trapianti [di organi] all’anno, e che il 90 percento di questi proviene da persone morte. C’è qualcosa che non torna», ha sottolineato Terenzani. «E questo sistema avviene su persone vive» ha aggiunto.
Molte altre prove del traffico di organi sistematico organizzato dal regime cinese, emerse durante l’indagine indipendente dell’avvocato per i diritti umani David Matas e dall’ex membro congresso canadese David Kilgour, sono state raccolte nel loro rapporto Bloody Harvest, ha ricordato il relatore.

Questo film «mi ha fatto ragionare sul cambiamento di valori che è in atto nella società cinese, ma non solo. Non è che avessi una gran opinione dei cinesi, devo essere sincero. [Intendo, ndr] della società cinese, non dei cinesi come esseri umani. Però questo mi fa riflettere ulteriormente», ha dichiarato l’imprenditore Claudio Cagnin.

Spettatori al termine della proiezione di FreeChina: il coraggio di credere, proiettato in occasione della giornata dei Diritti Umani, a Padova, raccolgono materiale informativo e firmano la petizione indirizzata all’Alto Commissariato delle Nazioni per i diritti umani. (Marius Iacob/EpochTimes)

Prima di lasciare la sala gli spettatori hanno avuto la possibilità di raccogliere del materiale informativo e firmare una petizione indirizzata all’Alto Comissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani.
La petizione, indetta dall’associazione medica Dafoh, ha l’intento di richiamare la Cina a porre immediatamente fine all’espianto forzato di organi, di avviare ulteriori indagini che portino di fronte alla giustizia gli autori coinvolti in questo crimine contro l’umanità, e di fare pressione sul Governo cinese affinché ponga immediatamente fine alla brutale persecuzione del Falun Gong, la causa principale dell’espianto forzato di organi dai praticanti stessi.

«In questi casi bisognerebbe cominciare a seguire l’esempio di Ghandi. Ghandi è riuscito a vincere gli inglesi quando ha detto: “Basta, non comprate più le cose inglesi”. Ho pensato questa sera: “Smetterò di comprare le cose cinesi”», ha detto Maria Chiara Forcella, presidente dell’associazione IGEA contro la violenza verso le donne.

Il Falun Gong è stato fondato nel 1992 in Cina, per diversi anni è stato praticato liberamente e nel 1998 il regime cinese ne stimava circa 70 milioni praticanti. La persecuzione è iniziata il 20 luglio 1999, su ordine dell’allora leader del regime, Jiang Zemin, dopo un ultimatum di tre mesi di tempo per sradicare completamente la pratica.

Ma, contro le previsioni del regime comunista, la pratica è sopravvissuta, con i praticanti all’estero che continuano a opporsi alla persecuzione partecipando a manifestazioni pacifiche in tutte le città del mondo – come quella della veglia, filmata in Free China, alla quale hanno partecipato anche Jennifer e Charles – con lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica,.

«Mi ha commosso molto il discorso dei lumini – ha dichiarato Biancamaria Beccari, di professione farmacista – questa lotta silenziosa, etica, e coerente con la pratica che esercitano. È stato bellissimo. Ritornerò in Cina, spero».

 
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