L’Italia potrebbe uscire dall’iniziativa Belt and Road della Cina

Per il ministro degli Esteri Antonio Tajani, la partecipazione alla Belt and Road Initiative (Bri) della Cina non ha portato all’Italia i benefici economici attesi.

«Il Parlamento italiano sta valutando la situazione. In questo momento, i Paesi senza la Belt and Road Initiative, i Paesi europei, stanno lavorando meglio di noi», ha dichiarato il 2 settembre alla Cnbc, in vista del suo viaggio di tre giorni a Pechino.

«Per questo, l’Italia deciderà se rimanere o meno nella Belt and Road Initiative. In Parlamento, molti partiti sono contrari».

Tajani, che è anche vice primo ministro italiano, ha dichiarato che l’accordo ha «deluso le aspettative italiane».

La Bri doveva collegare l’Asia, l’Europa e l’Africa mediante una «nuova Via della Seta», che richiede un’enorme spesa per le infrastrutture. I critici hanno però osservato che si tratta solo di un modo per il Partito Comunista Cinese (Pcc) di espandere il proprio potere geopolitico e la propria influenza economica.

«Il messaggio italiano è molto chiaro: vogliamo lavorare con la Cina, vogliamo essere presenti sul mercato cinese, siamo pronti per gli investimenti cinesi, ma come ho detto, è importante [avere] condizioni di parità», ha dichiarato Tajani, che in precedenza è stato presidente del Parlamento europeo e commissario europeo. «Vogliamo continuare a lavorare a stretto contatto con la Cina, ma dobbiamo anche analizzare le esportazioni: La Bri non ha prodotto i risultati che speravamo».

L’Italia è l’unico Paese del G7 che fa parte della Bri cinese, e il suo ritiro significherebbe una grave battuta d’arresto per la Cina.

Termine ultimo per la decisione

L’Italia dovrà decidere entro la fine dell’anno se rinnovare la sua partecipazione alla Bri. L’accordo Italia-Cina ha durata quinquennale e si rinnoverebbe nel marzo 2024 per altri cinque anni se nessuna delle due parti decidesse di concluderlo quest’anno.

Tajani non ha confermato quando l’Italia prenderà la sua decisione, ma non è la prima volta che dei politici italiani esprimono pubblicamente il loro disappunto nei confronti della Bri.

Dopo aver l’adesione iniziale nel 2019, il governo Draghi ha congelato l’accordo per due anni quando è entrato in carica nel 2021.

Di recente i funzionari italiani hanno dichiarato che ci sono altri Paesi che mantengono buone relazioni con la Cina senza la partecipazione nella Bri e ne hanno messo quindi in dubbio i benefici.

A luglio, il ministro della Difesa italiano Guido Crosetto ha dichiarato che la decisione iniziale di aderire all’accordo è stata un «atto improvvisato e scellerato». Ha precisato che l’accordo ha moltiplicato le esportazioni cinesi verso l’Italia, ma non ha aumentato in modo analogo le esportazioni italiane verso la Cina.

«Il tema oggi è: tornare sui nostri passi senza danneggiare i rapporti. Perché è vero che la Cina è un competitor, ma è anche un partner», ha dichiarato Crosetto al Corriere della Sera.

«Noi abbiamo esportato un carico di arance in Cina, loro hanno triplicato in tre anni le esportazioni in Italia. La cosa più ridicola di allora fu che Parigi, senza firmare alcun trattato, in quei giorni vendette aerei a Pechino per decine di miliardi».

In quel periodo, il primo ministro italiano Giorgia Meloni ha dichiarato ai giornalisti durante un incontro con il presidente Joe Biden alla Casa Bianca che l’Italia avrebbe preso una decisione entro dicembre. Ha sottolineato il «paradosso» per cui l’Italia è l’unico Paese del G7 a partecipare alla Bri, ma non è nemmeno il Paese del G7 con il maggior commercio con la Cina.

«Noi eravamo convinti che il libero commercio senza regole avrebbe distribuito la ricchezza, che avrebbe democratizzato nazioni meno democratiche delle nostre […]  ma le cose non sono andate così», ha affermato la Meloni.

«E la seconda cosa che è successa è che i sistemi che non erano democratici sono stati coinvolti dal punto di vista istituzionale e hanno guadagnato spazio nel mondo. Ora loro sono più forti e noi più deboli, perché non controlliamo le nostre filiere. Quindi, quello che dobbiamo fare è ripensare».

Affiliazione controversa

La decisione dell’Italia di aderire è stata molto criticata, poiché il Bri è un progetto controverso. Le infrastrutture per le rotte commerciali che attraversano tre continenti sono sostenute da finanziamenti cinesi e i critici sottolineano che questo ha lasciato i Paesi in via di sviluppo con debiti che non possono pagare, rafforzando al contempo l’influenza della Cina nei Paesi lungo la rotta.

Nel 2019, l’accordo è stato firmato in una cerimonia dalla quale Matteo Salvini, vice primo ministro italiano e ministro delle infrastrutture, si era assentato. Prima della cerimonia aveva apertamente criticato l’accordo, affermando che l’Italia non sarebbe stata «la colonia di nessuno» e che il libero mercato non esiste in Cina, mettendo in guardia gli imprenditori italiani.

Guglielmo Picchi, allora viceministro degli Esteri italiano, aveva dichiarato che era necessario «un esame più approfondito».

Anche il presidente francese Emmanuel Macron e l’allora cancelliere tedesco Angela Merkel hanno espresso preoccupazione. La Commissione europea ha pubblicato un rapporto che definisce Pechino un «rivale sistematico» da tenere a distanza. Un giornale tedesco ha pubblicato un editoriale in cui si affermava che l’accordo non era nell’interesse dell’Italia e che, di fatto, l’adesione dell’Italia serviva solo a conferire a Pechino legittimità al suo controverso progetto.

 

Articolo inglese: Italy May Exit China’s Belt and Road Initiative, Dealing Major Blow

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