Tajani: Meloni ha annunciato alla Cina l’uscita dalla Bri. Manca solo la conferma del Parlamento

L’italia ha già annunciato alla Cina il ritiro dalla Bri. E potrebbe averlo fatto proprio in occasione del recente G20. Secondo quanto comunicato dal ministro degli Esteri Antonio Tajani alla Fox News infatti, “la premier Meloni ha parlato alla Cina dei piani dell’Italia per uscire dalla Via della Seta”. Manca solo l’ufficialità.

Una conferma sulla decisione era già arrivata implicitamente in una nota di Palazzo Chigi sul vertice del G20 di New Delhi del 9 settembre, quando Giorgia Meloni ha incontrato il Primo Ministro della Repubblica Popolare Cinese, Li Qiang. Nella nota si faceva riferimento solo alla “comune intenzione di consolidare e approfondire il dialogo tra Roma e Pechino sulle principali questioni bilaterali e internazionali”, ma non all’intenzione di rinnovare l’accordo sulla Bri.

Dal momento in cui l’Italia è entrata a far parte della ‘Nuova via della seta’ (Bri – Belt and road initiative) nel 2019, non si sono rilevati incrementi sostanziali sulle esportazioni, come fanno notare non solo la premier, il ministro della Difesa e degli esteri, ma anche i dati che giungono dall’Osservatorio Economico.

Invece, la Cina ha importato in Italia un quantitativo maggiore di merce, tale da rendere il contratto di adesione alla Bri oggetto di discussione, come lo era già prima di essere firmato.

I dati dell’Osservatorio Economico (infomercatiesteri.it)

Uno sguardo al 2022 denota un aumento delle esportazioni italiane rispetto all’anno precedente, ricaduto però nel 2023.

Gli articoli farmaceutici, chimico-medicinali e botanici sono in testa; seguiti poi da prodotti tessili e dell’abbigliamento, pelli e accessori. E in questo, come altri settori (presenti nella statistica in questione) l’Italia è famosa; tuttavia, le esportazioni rimangono inferiori a quelle cinesi verso il Bel Paese.

Dall’Osservatorio Economico, infatti, ci si accorge che la Bri è una strada a senso unico per la Cina.

Come si può notare anche dagli investimenti diretti: quelli dell’Italia sono di gran lunga maggiori. Mentre Pechino rimane molto indietro.

I dati dell’Osservatorio Economico (infomercatiesteri.it)

 

L’Italia, rispetto ad altri Paesi che non hanno alcun tipo di accordo, resta veramente a guardare in fatto di esportazioni verso la Cina.

I dati dell’Osservatorio Economico (infomercatiesteri.it)

La nuova via della seta non è più quella di una volta

Ai tempi dell’impero romano, gli scambi commerciali con la Cina avevano creato quella che secondo lo studioso Ferdinand von Richthofen era la ‘via della seta’.

Dalla battaglia di Carre i romani hanno conosciuto la seta, usata negli stendardi dei parti, un tessuto morbido al tatto e bellissimo anche nei colori e nell’aspetto. In seguito, le esportazioni cinesi di questo e altri prodotti sono aumentate, dato che gli imperatori e i nobili erano molto interessati a questo tessuto, che ha dato il nome alle rotte commerciali tra oriente e occidente. 

La Via della Seta comprendeva intorno agli 8000 km di percorsi fluviali, marittimi e terrestri.

Come si deduce dal nome, il prodotto principale interessato era la seta, al tempo prodotta solo in Cina.

Anche la giada, pietra preziosa e tenuta in grande considerazione in Cina, ha visto la sua comparsa in Occidente.

Inoltre, altre opere artigianali molto apprezzate in Occidente erano la porcellana e i lavori decorativi in bronzo, come gli specchi. Il riso e il miglio percorrevano l’Asia orientale per poi giungere in Europa. La via della seta attraversava anche l’Egitto e l’India.

Tuttavia, non si trasportavano solo beni commerciali. Gli scambi culturali, così come le invenzioni, fra cui la carta, le idee, e le tecnologie – ad esempio per produrre, appunto, la seta – viaggiavano lungo questa strada o via.

La via della seta, ha visto la Cina espandersi attraverso le sue flotte navali, con Zheng He come ammiraglio; figura nota anche per essere un esploratore, marinaio e diplomatico. Le flotte avevano a bordo soldati ed eunuchi di corte – di cui Zheng He era anche parte – che avevano il compito di esplorare altri territori e stringere alleanze.

Zheng, a capo di queste giunche imperiali (il materiale principale è il giunco – tipico legno presente in Cina) e navi mercantili (o ‘dei tesori’), era incaricato dall’imperatore a condurre delle spedizioni navali non solo di carattere commerciale, ma anche scientifico e diplomatico, nei mari dell’occidente.

La Cina a quei tempi non aveva intenzione e non ha adottato un atteggiamento di conquista e saccheggio; piuttosto quello di creare alleanze, stringere rapporti commerciali ed esporre quelli che erano i loro beni di lusso.

Nel presente

Secondo diversi osservatori politici ed economici, Pechino intende espandersi oltreoceano tramite l’influenza economica e politica della Bri, la nuova via della seta.

Vi sono anche delle contrarietà a riguardo, per via degli accordi opachi e che a detta di alcuni studiosi rappresentano una trappola del debito, in particolare per i Paesi in via di sviluppo.

Un esempio è il porto dello Sri Lanka, in Hambantota, che ha una concessione di 99 anni da parte di Pechino, in cambio di una riduzione del debito; il che ha portato a un controllo del porto da parte della Cina fino al 2116.

Decisione avventata?

Se da un lato si temono terribili conseguenze per l’uscita dell’Italia dalla Via della Seta, dall’altro non sembrano fattibili a causa dei potenziali interessi coinvolti da entrambe le parti, con Pechino che inoltre è intenzionata a lasciare buone impressioni.

Se fossero attuate veramente delle ritorsioni, queste non andrebbero poi solo ai danni dell’Italia, ma soprattutto per il regime cinese.

La perdita del soft power dato anche da un rapporto stabile con l’Italia, renderebbe il regime più esposto sulla scena internazionale, ma su una luce negativa – oltre a quella datogli già sulle violazioni dei diritti umani.

Inoltre invierebbe un segnale negativo: chi si dissocia dal Bri ne pagherà le conseguenze; un comportamento analogo a quello del crimine organizzato.

E anche sul fronte economico, tuttavia, alcuni prodotti italiani rimangono – comunque – molto apprezzati e difficilmente sostituibili.

Per quanto riguarda la decisione finale, nonostante potrebbero esserci timori di decisioni avventate o senza consulto – come nel marzo 2019 quando è stato firmato il memorandum con la Cina dal governo italiano – la premier ha informato che si rivolgerà anche al Parlamento.

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