Washington — Secondo degli osservatori dei diritti umani, il regime cinese potrebbe essersi involontariamente auto-incriminato per il prelievo forzato di organi nel suo tentativo di screditare il primo sopravvissuto in Cina ad essersi fatto avanti.
In una rara risposta pubblica, una serie di organi di stampa statali cinesi e uffici di polizia hanno infatti pubblicato un lungo articolo che attacca un praticante del Falun Gong, ora negli Stati Uniti, che si era fatto avanti alcune settimane prima raccontando pubblicamente la sua storia riguardo al prelievo forzato di parti del suo fegato e polmone durante la sua reclusione nel sistema penitenziario cinese.
Cheng Peiming, 59 anni, ha subito sei anni di torture mentre era in prigione nella Cina comunista per aver praticato il Falun Gong, una tradizione spirituale che promuove i valori di verità, compassione e tolleranza, e che Pechino ha cercato di eliminare attraverso una combinazione di propaganda, minacce e torture negli ultimi 25 anni.
Cheng ha riferito che in prigione le guardie lo hanno costretto a ingerire acqua salata ad alta concentrazione, gli hanno attaccato delle catene alle estremità e lo hanno quindi allungato quasi fino al limite, sottoponendolo a sessioni di scosse elettriche continue sulle parti intime. Gli stessi abusi sono stati denunciati da molti altri praticanti del Falun Gong detenuti.
È documentato che i praticanti del Falun Gong detenuti costituiscono la principale fonte di organi per l’industria di prelievo forzato di organi gestita dallo Stato cinese, secondo le indagini condotte dal China Tribunal con sede a Londra.
La sopravvivenza improbabile di Cheng
Nel novembre 2004, a metà della sua condanna di otto anni, Cheng ha deciso di intraprendere azioni drastiche per protestare contro gli abusi incessanti: afferma di aver ingoiato un chiodo spuntato e una lama arrugginita di un centimetro e mezzo.
Le guardie carcerarie sono corse immediatamente nella stanza, lo hanno gettato a terra e portato in ospedale, dove Ie guardie carcerarie gli hanno chiesto di firmare documenti che consentissero l’intervento chirurgico. Quando ha rifiutato, sei guardie, tenendolo fermo lo han sedato.
Quando Cheng ha ripreso conoscenza tre giorni dopo, era incatenato a un letto d’ospedale con un taglio di 35 cm attorno al torace sinistro. Poi è stato rimandato in prigione.
Sedici mesi dopo, nel marzo 2006, è stato improvvisamente portato di nuovo in ospedale, dove gli è stato detto che doveva sottoporsi a un intervento chirurgico ad alto rischio con un’alta mortalità, poiché aveva ingoiato un’altra lama, cosa che però non era avvenuta.
Cheng sostiene che a quel punto era certo che questa volta volessero ucciderlo e ha cercato di sfuggire. Ha colto un’opportunità quando le guardie si sono addormentate ed è riuscito a scappare.
Si è scoperto che questo è avvenuto solo pochi giorni prima che i primi informatori si facessero avanti con Epoch Times, raccontando di prelievi di organi che avvenivano in segreto nelle strutture mediche statali cinesi. Cheng ha ricordato che, quando ha sentito questi resoconti, ha tremato, pensando a cosa sarebbe potuto succedergli.
Dopo la fuga dalla Cina, ha subito numerosi esami fisici. Tre esperti medici provenienti dagli Stati Uniti e da Taiwan hanno confermato che una parte del suo fegato e del suo polmone era stata rimossa chirurgicamente. Essendo il primo noto sopravvissuto a questi crimini, Cheng ha deciso quindi di essere pronto a raccontare la sua storia.
Ammissioni involontarie
L’articolo ampiamente diffuso con la risposta del Partito Comunista Cinese (Pcc) alle accuse di Cheng non affronta ciò che lui aveva subito. Invece, descrive la sua conferenza stampa di luglio come svolta in una stanza «bassa e angusta», negando categoricamente il prelievo forzato di organi e definendolo una «diceria» perpetuata da «forze anti-Cina occidentali»; sostenendo inoltre che l’intervento chirurgico di Cheng fosse avvenuto per rimuovere la lama e il chiodo.
Nonostante tutte le negazioni, il regime potrebbe aver ammesso più di quanto intendesse.
Nina Shea, direttrice del Center for Religious Freedom presso l’Hudson Institute, sostiene che l’articolo del regime ha fornito prove cruciali per la storia di Cheng che precedentemente mancavano: «Come potevo sapere che fosse stato prigioniero? Non lo sapevo. Non avevo prove di ciò. Non credo che lui avesse prove di ciò, ma loro hanno fornito prove», ha dichiarato a Epoch Times.
Ha affermato che l’articolo ha anche aiutato a confermare che Cheng è stato mandato in prigione per le sue idee, che è stato effettivamente portato in ospedale e che l’intervento chirurgico è effettivamente avvenuto e ha portato alla cicatrice.
Inoltre, il Pcc si è discostato dal suo modello di semplici negazioni generiche: un segno del fatto che considerano il caso abbastanza serio da giustificare un commento specifico, secondo Robert Destro, che ha facilitato la fuga di Cheng negli Stati Uniti, quando era sottosegretario di Stato per la democrazia, i diritti umani e il lavoro: «Sono stupito che ci sia una narrazione ufficiale. Come diremmo noi avvocati, è un’ammissione contro il proprio interesse», ha aggiunto, riferendosi a quando qualcuno fa una dichiarazione in tribunale che può essere utilizzata contro di lui come prova.
Shea ha affermato che l’articolo dimostra che le autorità cinesi sono «sulla difensiva». È significativo, ha aggiunto, che le negazioni siano state presentate dalla sicurezza pubblica, piuttosto che dalle autorità sanitarie, e che l’intervento chirurgico sia stato effettuato contro la sua volontà: «È quasi un’ammissione che fossero coinvolti in questa faccenda. Avere questa risposta strana, davvero piuttosto compromettente […] che lui fosse in effetti un prigioniero, che fosse in effetti in ospedale, che fosse in effetti soggetto a un intervento chirurgico senza il suo consenso, è compromettente».
Come è tipico in questi articoli, esso non porta il nome di un autore, né vi è stata una citazione diretta di qualcuno che fosse a conoscenza del caso di Cheng. L’unica fonte citata nell’articolo relativa a Cheng è un «reparto pertinente» non specificato.
David Matas, un avvocato canadese per i diritti umani che indaga su prelievi forzati di organi in Cina dal 2006, ha dichiarato che l’articolo non era altro che una «ricircolazione della loro vecchia propaganda». «Ci sono ben poche frasi in esso che siano accurate o abbiano senso», ha detto a Epoch Times. «Non c’è nulla di sostanziale».
Matas ha fatto notare che l’articolo si basa principalmente sulla cattiva caratterizzazione del Falun Gong e sulla diffamazione delle persone che si fanno avanti. Per esempio, Sir Geoffrey Nice, un illustre avvocato e giudice che ha presieduto il China Tribunal, e che ha anche indagato sugli abusi dei diritti umani contro gli uiguri nello Xinjiang, è diventato, nell’articolo, un esperto «agente speciale britannico» che ha trascorso la sua carriera a «creare false accuse basate sugli obiettivi geopolitici occidentali».
Matas ha definito l’attacco al carattere di Nice «ridicolo». «Realisticamente, il Partito Comunista è molto più dannoso per la Cina di quanto non lo siano le persone che dicono la verità sulla Cina. È il Partito Comunista ad essere coinvolto nella carestia di massa, nella Rivoluzione culturale e nel Massacro di Piazza Tiananmen, nella repressione del Tibet, dello Xinjiang e di Hong Kong.
«Il Partito Comunista è anti-Cina, e copre i propri misfatti accusando gli altri delle proprie colpe».
Intervento chirurgico inutile
Secondo Torsten Trey, direttore del gruppo etico medico Doctors Against Forced Organ Harvesting, le procedure mediche che Cheng ha subito hanno messo in dubbio la narrazione cinese. «Puoi dire che è una grossa bugia», ha dichiarato a Epoch Times. Trey ha spiegato che quando qualcuno ingerisce oggetti estranei, i medici comunemente eseguono un’endoscopia per esaminare l’interno del corpo. È comune anche in Cina. Per esempio, un ospedale nella città di Xi’an, nella Cina centrale, ha trattato circa 600 pazienti tra il 2011 e il 2020 per rimuovere oggetti estranei ingeriti: l’endoscopia ha avuto successo nel 99,5% dei casi, inclusi alcuni che comportavano lame o altri oggetti affilati.
Un’endoscopia, in uno scenario simile a quello di Cheng, sarebbe la prima scelta, ha affermato Trey. «Perché dovrebbero rimuovere parte del polmone? Perché dovrebbero rimuovere parte del fegato? Non ha senso».
Anche se avessero ritenuto di fondamentale importanza aprire il suo addome per rimuovere gli oggetti, ha aggiunto, lo avrebbero fatto dalla parte anteriore, non dal lato. «Non passi per l’area del polmone per estrarlo».
Rimane ancora poco chiaro perché i medici cinesi abbiano rimosso solo parti degli organi di Cheng durante il primo intervento e lo abbiano lasciato vivere. Ciò che di solito accade in Cina è che il prelievo forzato di organi è anche una forma di esecuzione, motivo per cui non c’è mai stato un sopravvissuto che potesse testimoniare.
Trey ha suggerito che l’ospedale potesse stare esperimentando o formando i medici nel campo. Potrebbero aver esplorato una tecnica chirurgica diversa o condotto ricerche sui tessuti organici.
Wendy Rogers, professore di etica clinica e presidente del comitato consultivo per la Coalizione Internazionale per Porre Fine agli Abusi di Trapianto in Cina (Etac), ha dichiarato in precedenza che un prelievo parziale del fegato può avvenire quando il ricevente è un bambino.
Matas ha detto su EpochTv ad American Thought Leaders che tutte queste sono possibilità, ma alla fine, «è davvero compito del governo cinese o dell’ospedale spiegare cosa stessero facendo».
Trey, notando il tempismo, si è chiesto se le autorità cinesi potessero aver sentito parlare del tentativo degli informatori di rendere pubblici i crimini e «volessero chiudere i conti» riportando Cheng in ospedale per ucciderlo.
Cosa succede ora?
Oggi, Cheng cammina e parla normalmente, ma dice di non essere mai stato lo stesso da quando ha subito l’orrore in ospedale. «La cicatrice di 35 centimetri sulla mia gabbia toracica sinistra pulsa con ogni battito del mio cuore», ha detto durante un evento stampa il 3 settembre, aggiungendo che fatica a respirare di notte.
Ha esortato la comunità internazionale a fare pressione su Pechino affinché apra prigioni e ospedali a indagini indipendenti dal mondo esterno. Gli organizzatori dell’evento hanno condiviso un messaggio di supporto del rappresentante Gus Bilirakis (R-Fla.), che ha dichiarato che la «pratica abominevole» del prelievo forzato di organi è stata a lungo nascosta «sotto il tappeto» e merita azioni più energiche da parte degli Stati Uniti. «Nessuna persona dovrebbe mai essere intimidita, costretta a lasciare la propria terra ancestrale, imprigionata o uccisa a causa delle proprie credenze».
Matas stima che il Pcc potrebbe guadagnare fino a 9 miliardi di dollari all’anno dal commercio di organi forzati.
Per l’ex parlamentare Frank Wolf, che ha servito 34 anni nel Congresso degli Usa e ha ricoperto due mandati nella Commissione degli Stati Uniti per la Libertà Religiosa Internazionale (terminati a maggio), la questione è orrenda, indipendentemente dalla diffusione: «Se una persona deve passare attraverso questo… Puoi immaginare che a qualcuno come tuo fratello, tua madre o tuo padre […] venga rimosso il cuore o la cornea o il rene? È una questione grossa e deve finire».
Sentire cosa sia successo a Cheng è «sconcertante», ha affermato Shea. «Ha attraversato l’inferno e oltre». Ha inoltre aggiunto che Cheng è stato «fortunato ad essere scappato e ancora in vita», poiché un numero sconosciuto di altri non lo è stato.
Shea e Destro trovano entrambi incoraggiante vedere i membri del Congresso prendere misure per fermare gli abusi. A giugno, la Camera dei Rappresentanti ha approvato il Falun Gong Protection Act per chiedere la fine della persecuzione del Falun Gong e imporre sanzioni a coloro che sono complici nel prelievo forzato di organi. Con pochi giorni rimasti nella sessione legislativa del Congresso, Destro spera che anche il Senato possa accelerare per approvarlo. «Abbiamo bisogno di un po’ di coraggio morale e di farci avanti».
Versione in inglese: CP Implicates Itself by Attacking Survivor of Forced Organ Harvesting: Human Rights Watchers