La fragilità dell’impero cinese

James Gorrie è uno scrittore texano, autore del libro ‘The China Crisis’

 

Bisognerebbe chiamare la Cina per quello che è: non una ‘repubblica democratica’ o un Paese normale, ma piuttosto un ‘impero’.

Si tratta di un impero regionale, è vero, ma controlla pur sempre persone di nazionalità ed etnie diverse, che parlano lingue diverse. Questo senza considerare le tensioni che esistono in regioni come il Tibet o lo Xinjiang, dove la popolazione si oppone al dominio dei cinesi di etnia Han.

Il grande piano di Xi Jinping

Di sicuro la Cina intende diventare un impero globale. Per farlo dovrebbe innanzitutto prendere il posto degli Stati Uniti, cosa che sta cercando di fare da tempo. Ma nonostante gli accordi bilaterali sulla valuta, le partnership globali con le grandi multinazionali, e l’immenso mercato interno, il leader cinese Xi Jinping e il Partito Comunista Cinese (Pcc) potrebbero essersi resi conto che creare un impero economico globale è più complicato di quanto avessero immaginato.

Ci sono molte ragioni dietro. In primo luogo sono poche le persone che vorrebbero vivere in un mondo in cui è la Cina ad avere l’ultima parola, men che mai il cittadino cinese medio. La Russia potrebbe essere un eccezione, ma non si tratterebbe comunque di un appoggio pienamente convinto. La Cina s’immagina un impero basato sull’economia, forse sulle conquiste militari, ma non sulla cooperazione e su relazioni reciprocamente vantaggiose. Per esserne certi, basta chiedere ai partner commerciali regionali della Cina, o guardare a come il Pcc tratta la propria gente.

Diversamente, l’‘impero americano’ generalmente non è stato costruito sulla repressione o sulla conquista. Piuttosto, in linea di massima, è un sistema in cui i partner commerciali traggono benefici in termini economici e di sicurezza dal loro rapporto con gli Stati Uniti. Naturalmente ci sono delle eccezioni, ma nel complesso il sistema globale dominato dagli Usa è diverso da tutti gli imperi del passato.

Naturalmente non tutti amano lo scenario attuale, ma chi vorrebbe sostituirlo con uno in cui a dominare è il Pcc?

L’Impero del male 2.0

In ‘casa propria’ il Pcc ha già costruito un impero del male.

Sorto grazie al sostegno dell’Unione Sovietica, il regime cinese, con l’aiuto dell’Occidente, è passato dall’essere un brutale Stato totalitario comunista, al divenire un brutale Stato totalitario fascista controllato dal Partito Comunista. Le imprese commerciali sono pesantemente controllate e spesso sono statali, sebbene la proprietà privata sia almeno parzialmente ‘garantita’ dalle leggi del Paese. L’intera stampa è controllata, i cittadini vengono sorvegliati, il dissenso represso con la violenza, l’incarcerazione e la tortura, mentre la libertà di espressione esiste solamente nelle forme approvate dal Pcc.

Nella provincia occidentale dello Xinjiang, ad esempio, sono attualmente detenuti circa 2 milioni di mussulmani uiguri, che sono stati separati dalle loro famiglie, torturati, privati della propria libertà religiosa, e sottoposti al cosiddetto processo di ‘rieducazione’, oltre ad essere utilizzati come cavie per la sperimentazione umana. Essere uiguro è letteralmente un crimine contro lo Stato. Ma non finisce qui: sono perseguitate anche tutte le persone che praticano la disciplina spirituale chiamata Falun Gong e coloro che professano qualsiasi forma di cristianesimo o buddismo non approvata dal Partito.

Naturalmente questo non significa che le persone che vivono in Cina siano intrinsecamente malvagie, o che non siano abbastanza intelligenti per costruire un impero globale. Infatti la Cina è il leader mondiale nei settori dell’intelligenza artificiale, dell’aeronautica ipersonica, e della bioingegneria, solo per citarne alcuni. L’antica cultura cinese ha moltissimo da offrire al mondo, ma decenni di dominio del Pcc hanno corroso la sensibilità dei cinesi: la saggezza millenaria del confucianesimo è stata spazzata via dalla Rivoluzione Culturale. Detto questo, l’immagine del giovane che sta coraggiosamente in piedi di fronte a una colonna di carri armati, scattata nel 1989 nei pressi di piazza Tiananmen, dovrebbe ricordarci di tutte le brave persone che vivono in Cina.

La celebre foto dell’Uomo del carro armato di Piazza Tienanmen. Immagine iconica dell’opposizione pacifica al brutale regime comunista cinese (foto di Jeff Widener, Associated Press).

La repressione aumenta: è un segnale di forza o di paura?

Come risultato delle sopracitate brutalità, il primo ostacolo che Xi Jinping e il Partito Comunista Cinese devono affrontare per trasformare la Cina nella principale superpotenza globale, è la crescente insoddisfazione nei confronti del Pcc da parte della popolazione cinese stessa. Insoddisfazione che si manifesta in diversi modi.

Ad esempio la reazione di Xi ai dazi statunitensi è stata quella di stringere il controllo sull’economia interna, il che ha trasformato molte imprese private sane in imprese statali corrotte e inefficienti, che sono destinate al fallimento. Con questa mossa, Xi ha rinforzato la sua leadership all’interno del Partito, ma ha anche danneggiato il settore delle imprese e la produttività.

In parole povere, una recessione economica priverebbe il Pcc di ogni residua legittimazione. Infatti la crescita economica è il principale mezzo che dà legittimità al governo del Pcc dal 1989. Tuttavia, ora che l’economia è in difficoltà a causa delle politiche commerciali di Trump, degli enormi sprechi pubblici, della campagna anti-corruzione e della crisi del debito, Xi Jinping è consapevole che rischia di essere ripudiato dal popolo cinese, e di dover fronteggiare la crescita delle spinte separatiste in diverse regioni.

Una stabilità politica evanescente

Sebbene il primo obbiettivo di Xi sia proprio la stabilità politica, appropriarsi di un grande numero di aziende private produttive, senza la corrispettiva crescita economica, potrà fornirgli un beneficio soltanto temporaneo. Con l’aumentare dei ‘furti di Stato’, e lo stallo o addirittura la recessione dell’economia, è ben prevedibile che aumentino i problemi sociali.

Sicuramente Xi ne è consapevole, il che spiegherebbe perché sta incrementando la repressione e le pene per i dissidenti, sta facendo trasferire molte persone di etnia cinese nella provincia dello Xinjiang e in Tibet, e sta continuando ad aumentare il budget destinato alla sicurezza interna.

La verità è che il Partito Comunista Cinese ha accumulato troppe malefatte, e adesso è Xi l’uomo al comando, sebbene in realtà non sia direttamente responsabile per i decenni di brutalità, inquinamento, e cattiva gestione economica.

I livelli disumani di inquinamento dell’aria, dell’acqua e della terra sono a livelli critici in tutta la Cina. Le decine di milioni di persone che hanno perso il proprio lavoro non godono di alcun sussidio, per i lavoratori che stanno invecchiando non esiste un adeguato sistema di assistenza sociale; inoltre la corruzione endemica, e il fallimento delle imprese statali, non possono che accrescere l’insoddisfazione politica e l’instabilità.

Se poi si considerano anche i dazi imposti da Trump e la possibilità che la Cina perda molte delle sue relazioni commerciali con Stati Uniti, Europa e Giappone, è evidente che la situazione potrebbe degenerare rapidamente. La Cina potrebbe dover presto fronteggiare una grande crisi economica, la prima di questa portata dopo gli anni ‘70. Probabilmente questo è uno degli obbiettivi dietro la politica economica di Trump.

La nuova via della Seta: un grande rompicapo

Attualmente il progetto più importante della Cina per divenire un impero globale è la ‘nuova via della seta’ (Obor). Un sistema intercontinentale di infrastrutture per il commercio che dovrebbe collegare la Cina, sia fisicamente che finanziariamente, con molte nazioni dell’Asia, dell’Europa, dell’Africa e dell’Oceania. Tuttavia anche i problemi abbondano. L’enormità del progetto richiede delle spese esorbitanti, e in molti casi è previsto un ritorno dell’investimento nullo o negativo. Infatti, molti dei Paesi coinvolti semplicemente non hanno un economia abbastanza grande da fornire alla Cina i rendimenti che spera di ottenere.

Ad ogni modo, che la ‘nuova via della seta’ venga realizzata o meno, il Pcc non riuscirà a mantenere lo sviluppo economico di cui hanno goduto i circa 300 milioni di cinesi che appartengono alla classe media negli ultimi anni, come anche gli oltre 1 miliardo di cinesi che continuano a vivere in povertà. Infatti la crescita del Pil è già diminuita molto, rispetto alla crescita in doppia cifra degli scorsi anni. E, sebbene gli investimenti interni siano tra i più alti al mondo, il ritorno sugli investimenti è molto inferiore rispetto agli Stati Uniti e ad altri Paesi sviluppati.

Come l’Urss degli anni ‘80 o il Giappone del 1938?

Il motivo per cui Xi Jinping si sta impegnando per aumentare il proprio controllo potrebbe essere legato alle cosiddette ‘politiche di glasnost’ che hanno portato alla dissoluzione dell’Unione Sovietica. A quel tempo Gorbachev decise di allentare le restrizioni e di concedere maggiori diritti ai cittadini, ma come risultato il Partito andò verso la distruzione. Xi vuole evitare di fare la stessa fine.

Ma la Cina assomiglia anche all’impero giapponese prima dell’inizio della Secondo guerra mondiale. Come il Giappone, la Cina è una potenza economica asiatica cresciuta rapidamente, ricca di persone molto istruite e brillanti. Entrambe le nazioni hanno assimilato velocemente le conoscenze tecnologiche, finanziarie e militari acquisite dall’Occidente. Entrambe hanno (o avevano) poche materie prime a loro disposizione, ed entrambe contano (o contavano) su un personaggio carismatico (l’imperatore Hirohito in Giappone, e Xi Jinping in Cina) che le spinga (o spingesse) in avanti. Infine, come il Giappone imperiale degli anni ‘30, anche la Cina si è ora dedicata al colonialismo e al commercio ‘conflittuale’.

Tutti sanno che fine hanno fatto l’Urss e il Giappone, quando hanno tentato di costruire un impero, e non sembra che la Cina sarà un’eccezione.

 

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la visione di Epoch Times.

Articolo in inglese: The Fragile Chinese Empire

 
Articoli correlati