Taiwan mostra alla Cina che la ‘società aperta’ è il futuro

Peter Zhang è un esperto di economia politica cinese e asiatica. Si è laureato presso gli istituti Beijing International Studies, Fletcher School of Law and Diplomacy e Harvard Kennedy School.

 

Nell’Odissea di Omero si parla del celebre cavallo di Troia, un grandioso regalo offerto ai troiani dai greci. In seguito, il poeta latino Virgilio (70-19aC) scrisse nell’Eneide (II, 49), «Timeo Danaos et dona ferentes», che in italiano significa «Temo i greci anche quando portano doni». L’espressione ‘dono greco’ nell’odierno gergo scacchistico si riferisce al regalare un pezzo al proprio avversario al fine di danneggiarlo.
Similmente in Cina esiste un antico proverbio: «Se una donnola fa gli auguri di buon anno a una gallina, ha sicuramente un secondo fine».

Il 2 gennaio 2019, in occasione del 40esimo anniversario dalla ‘lettera ai compatrioti di Taiwan’, il segretario del Partito Comunista Cinese (Pcc) Xi Jinping, con il suo lunghissimo discorso per convincere Taiwan ad accettare la riunificazione, si è comportato esattamente come la donnola del proverbio cinese.

Nel 1992, la Cina comunista e Taiwan hanno raggiunto un ‘consenso’ in cui si dicevano d’accordo sul fatto che esistesse un’unica Cina, ma in disaccordo su quale fosse la vera Cina, se Taiwan, o la Repubblica Popolare Cinese.

Nel suo lungo discorso Xi Jinping ha dichiarato che il tanto dibattuto ‘consenso del 1992’, consiste in realtà nella stessa politica di ‘un Paese, due sistemi’, che è valida ad Hong Kong (Hong Kong è una democrazia, quindi ha un sistema di governo diverso dalla dittatura comunista cinese, ma è di fatto parte del territorio della Cina). Inoltre, Xi ha emanato cinque ‘direttive’ nei confronti di Taiwan, che comprendono: 1) la realizzazione della riunificazione pacifica; 2) la riunificazione nell’ottica della politica ‘un Paese, due sistemi’; 3) fermezza per quanto riguardo la politica di ‘una sola Cina’; 4) promozione di una maggiore cooperazione e sviluppo bilaterale; 5) promozione dell’apprezzamento per la riunificazione pacifica da entrambi i lati dello stretto.

La riunificazione è stato il suo ‘regalo’ di buon anno a Taiwan, Paese che secondo Xi nutrirebbe il forte desiderio di tornare a far parte della Cina continentale.

La presidente di Taiwan Tsai Ing-wen, tuttavia, sembra pensarla in maniera del tutto diversa, fino a prendere in giro lo slogan di Pechino, ‘che le persone dai due lati dello stretto siano unite come un’unica famiglia’.
«Come potrebbe essere possibile – si è chiesta la Tsai – dal momento che non sono stati nemmeno capaci di gestire adeguatamente la questione della peste suina africana con noi?»

Infatti lo scoppio dell’epidemia mortale di peste suina africana in Cina ha spinto Taiwan a bandire le importazioni di maiale dalla Cina; tuttavia sembra che i prodotti cinesi contenenti maiale infetto stiano continuando a essere contrabbandati all’interno dell’isola.

Il ‘Consenso del 1992’

Sembra che sia stato Su Chi, un politico del Partito Nazionalista di Taiwan (Kmt) a coniare il termine ‘Consenso del 1992’ dopo un incontro tra delegati semi ufficiali della Repubblica popolare cinese e della Repubblica di Cina (Taiwan).

Il Kmt riconosce l’esistenza del ‘consenso del 1992’, ma insiste sul fatto che l’espressione ‘una sola Cina’ indichi il primato della Repubblica di Cina (cioè Taiwan), che considera la Cina continentale come parte del proprio territorio, mentre Pechino sostiene che solo la Repubblica Popolare Cinese (la Cina comunista) rappresenti la vera Cina e che Taiwan sia parte di essa.

Invece, il partito d’opposizione al Kmt, il Partito Progressista Democratico (di cui fa parte l’attuale presidente Tsai), nega in toto l’esistenza del ‘consenso del 1992’; lo negava anche Lee Teng-hui, il presidente della Repubblica di Cina nel 1992, che al tempo faceva parte del Kmt, sebbene in seguito sia stato espulso. Sembra infine che nel 2006 Su Chi abbia ammesso di aver coniato il termine.

La versione attuale della presidente Tsai è chiara: «Non abbiamo mai accettato il ‘consenso del 1992’». La lady di Ferro asiatica ha inoltre chiesto sostegno internazionale all’indipendenza de facto di Taiwan, dopo che Xi Jinping ha minacciato di ricorrere alla forza, se necessario, per riunire l’isola con la Cina.
Nonostante le profonde divisioni politiche tra il Kmt e il Partito Progressista Democratico di Taiwan, la stragrande maggioranza dei taiwanesi preferisce mantenere lo status quo e la sovranità di Taiwan, piuttosto che soccombere alla repressiva dittatura comunista di Pechino.

Persino il parlamentare del Kmt Chiang Wan-an, pronipote di Chiang Kai-shek (storico leader del Kmt dal 1928 al 1975), ha parlato in favore dell’audacia della presidente Tsai nell’opporsi alla pretesa di Pechino per ‘un Paese, due sistemi’. Chiang ha infatti sottolineato: «Taiwan non è Hong Kong e gran parte dei taiwanesi considerano inaccettabile la proposta di Pechino di ‘un Paese, due sistemi’».

Sebbene Chiang riconosca il ‘consenso del 1992’, ha specificato che la politica ‘una sola Cina’ si riferisce unicamente al primato della Repubblica di Cina (Taiwan), e non a quello della Repubblica Popolare Cinese.

In risposta alla pressione di Pechino, la presidente Tsai, il 2 gennaio 2019, ha replicato con «quattro condizioni indispensabili» affinché le relazioni tra i due lati dello stretto possano migliorare: 1) Pechino deve riconoscere l’esistenza della Repubblica di Cina/Taiwan: 2) Pechino deve rispettare la volontà dei 23 milioni di taiwanesi che hanno scelto la libertà e la democrazia; 3) Pechino deve risolvere le dispute bilaterali in maniera pacifica e considerandosi un partner alla pari; 4) Pechino deve negoziare con il governo di Taiwan o con un’entità incaricata da esso.

Il fallimento del modello ‘un Paese, due sistemi’ a Hong Kong

Nel 1979 Deng Xiaping ha avanzato per la prima volta l’idea di ‘un Paese, due sistemi’ per Hong Kong. ‘Riunificazione pacifica’ e ‘un Paese, due sistemi’ sono da allora diventate le posizioni ufficiali di Pechino anche nei confronti di Taiwan.

Il primo agosto 2017, durante un evento per il 90esimo anniversario dalla nascita dell’Esercito di liberazione del popolo, Xi ha mandato un segnale di avvertimento: «Nessuno, nessun organizzazione o partito politico ha il diritto di cedere una parte qualsiasi del territorio cinese, in nessuna occasione e in nessuna forma».

Dal momento che in gioco c’è un ‘posto nella storia’, Xi potrebbe ambire, come ha suggerito un editoriale del New York Times, a prendere Taiwan con la forza durante il suo regime, specialmente ora che è necessario un diversivo per distogliere l’attenzione dalle forti crisi interne.

Nel 2017 la Rand Corporation aveva previsto che Pechino avrebbe potuto intraprendere un’azione militare per riprendersi Taiwan intorno al 2020, e che probabilmente sarebbe riuscita nell’impresa. In realtà l’esito dipenderà, in grande misura, da quanto gli Stati Uniti vorranno intervenire in caso di un conflitto armato.

Ad ogni modo, la cosiddetta politica ‘un Paese, due sistemi’ si è rivelata fallimentare a Hong Kong già un decennio dopo il passaggio di Hong Kong dall’Inghilterra alla Cina (1997), secondo Chris Patten, che è stato l’ultimo governatore britannico di Hong Kong.
Secondo un sondaggio dell’Università di Hong Kong, attualmente il 50 percento dei giovani di Hong Kong sta valutando la possibilità di emigrare all’estero, probabilmente perché la libertà di espressione e associazione, sotto l’occhio di Pechino, non è più quella di una volta.

L’Economist Intelligence Unit ha classificato Hong Kong al 73esimo posto nell’indice per il livello di democrazia 2018: è scivolata così a sette posizioni dietro Singapore. Taiwan, invece si è piazzata al 32esimo posto, mentre la Cina si trova a un tetro 139esimo posto.

In seguito alla ‘rivoluzione degli ombrelli’, avvenuta nel 2014 a Hong Kong, quando migliaia di studenti hanno organizzato una serie di sit-in per protestare contro l’interferenza di Pechino nei confronti della politica interna, la repressione delle voci ‘fuori dal coro’ da parte del governo è aumentata costantemente. Le indagini hanno inoltre confermato che, in diverse occasioni, gli agenti dei servizi segreti cinesi hanno varcato il confine e rapito alcuni residenti di Hong Kong, inclusi alcuni editori, per poi prenderli in custodia in Cina.

Attualmente, l’aumento dell’autocensura nella stampa, la limitazione della libertà accademica, il danneggiamento dell’indipendenza giudiziaria e le incerte prospettive economiche, sono tra le principali preoccupazioni dei residenti di Hong Kong, che lo rammentano costantemente a Taiwan tramite alcuni slogan: «l’Hong Kong di oggi sarà la Taiwan di domani».

La fiorente società aperta di Taiwan

Per decenni i cosiddetti ‘abbracciatori di panda’ (attivisti politici o funzionari che sostengono le politiche del Pcc fuori dalla Cina), che includono dirigenti di Wall Street, accademici e parlamentari, sono stati ricompensati in vari modi dal Pcc per aver contribuito a legittimare la sua dittatura nella Cina continentale. Questi personaggi citano spesso il cosiddetto ‘modello asiatico’ e la tradizione confuciana per sostenere che la democrazia ‘non è di casa’ in Cina.

Se le storie di successo della democrazia in Corea del Sud e in Giappone (entrambe di tradizione confuciana) non sono abbastanza convincenti per questi apologeti, l’esistenza stessa di Taiwan, in qualità di società aperta dove vige lo Stato di diritto, ha efficacemente smentito le loro false premesse.
La prosperità di Taiwan, in veste di società aperta, dimostra che la democrazia non è affatto incompatibile con il popolo cinese o con la tradizione confuciana.

Sebbene Taiwan abbia relazioni diplomatiche con solo 16 Paesi membri dell’Onu e con la Santa Sede, i titolari di un passaporto taiwanese possono viaggiare liberamente in 149 Paesi senza bisogno di un visto (rispetto ai 74 Paesi visitabili con il passaporto cinese), secondo l’Indice dei passaporti Henley pubblicato il 9 gennaio 2019.

Inoltre, benché la popolazione della Cina sia 58 volte quella di Taiwan, il suo prodotto interno lordo è solo 10 volte superiore rispetto a quello dell’isola. Quanto al Pil pro capite, nel 2018 è stato rispettivamente di 22.452 euro a Taiwan, e 8972 euro in Cina. E nel Golbal Competitiveness Index (indice di competitività globale), Taiwan è al 15esimo posto, mentre la Cina è 27esima.
Ancora più importante, Reporter senza frontiere ha posizionato Taiwan al 42esimo posto nell’Indice mondiale della libertà di stampa, mentre la Cina si trova al 176esimo posto, seguita soltanto da Siria, Turkmenistan, Eritrea, e Corea del Nord.

Nonostante molte tradizioni culturali e religiose vengano represse in Cina, sono invece protette dalla legge e rimangono vibranti a Taiwan: tra queste ci sono i caratteri tradizionali cinesi, le pratiche buddiste e taoiste, il Falun Gong e l’eredità culturale tibetana.

Nel corso di 5 mila anni di storia, il popolo cinese non ha mai provato la democrazia fino al 1996, quando si sono svolte a Taiwan le prime elezioni presidenziali dirette. Inoltre nel 2000 è cambiato per la prima volta il partito politico al governo tramite libere elezioni, cosa che ha segnato la maturità della democrazia taiwanese.

Mentre consiglia a Taiwan di non addentrarsi in un «vicolo cieco», Pechino non comprende che quella è esattamente la direzione in cui sta andando la dittatura comunista, poiché il popolo cinese, se gli venisse data l’opportunità, sceglierebbe una società libera e aperta. Come ha scritto in un tweet la presidente Tsai: «Chiedo alla Cina di intraprendere dei passi coraggiosi verso la democrazia, cosi che possano veramente comprendere le persone di Taiwan».

Il Romanzo dei Tre Regni, uno dei quattro più grandi romanzi cinesi, inizia con la seguente osservazione: «Il mondo sotto il cielo, dopo un lungo periodo di divisione, tende ad unirsi; dopo un lungo periodo di unione, tende a dividersi di nuovo. Così è stato sin dall’antichità».

Forse la riunificazione della Cina con Taiwan è solo questione di tempo; ma solo se le persone su i due lati dello stretto raggiungeranno la stessa comprensione, potrà esserci un lieto fine per entrambi.

Di sicuro non spetta alla dittatura comunista decidere come, al giorno d’oggi, debbano vivere oltre un miliardo di persone. Il popolo cinese vuole essere libero, come anche le persone di Taiwan.

 

Le opinioni in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente quelle di Epoch Times.

Articolo in inglese: Taiwan Shows China Open Society is the Future

 
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