Per affrontare la Cina servono etica e coraggio

Peter Zhang è un esperto di economia politica cinese e asiatica. Si è laureato presso gli istituti Beijing International Studies, Fletcher School of Law and Diplomacy e Harvard Kennedy School.

 

Per Benjamin Franklin, uno dei Padri fondatori degli Stati Uniti d’America, non bisogna «mai rovinare delle scuse con una scusante».
Gli sforzi occidentali per portare la democrazia in Cina mediante i cosiddetti rapporti diplomatici e commerciali costruttivi sono regolarmente falliti per decenni; e ora, chi ha sostenuto questo metodo potrebbe sentirsi obbligato a dare spiegazioni. A trovare, cioè, la «scusante».

In How the West Got China Wrong, l’Economist ha confessato: «È stato un sogno degno […] l’Occidente ha perso la sua scommessa con la Cina».

Quello che è successo, però, è che è stata la Cina a cambiare l’Occidente.
Il professor Andrew Nathan della Columbia University, ha infatti affermato, in un’intervista con ChinaFile: «Non solo non stiamo cambiando la Cina, ma la Cina sta cambiando noi». Nathan si riferiva in particolare a degli studi sull’influenza cinese in Nuova Zelanda e in Europa, ma ha notato anche «simili impieghi del soft power e del potere del denaro» volti a «influenzare politica e opinione pubblica negli Stati Uniti».

Forse una dei più notevoli esempi di infiltrazione cinese all’estero sono gli Istituti Confucio all’interno dei campus universitari. Infatti, nonostante secondo la Banca Mondiale la Cina sia solo al 104° posto al mondo per le spese nell’istruzione, Pechino vanta il finanziamento di mille istituti di propaganda del genere, che hanno il preciso scopo di promuovere all’estero gli interessi cinesi scegliendo attentamente i libri di testo e le facoltà.

Kurt M. Campbell ed Ely Ratner, due ex diplomatici statunitensi autori di The China Reckoning—How Beijing Defied American Expectations, affermano che Washington dovrebbe considerare la possibilità di cambiare il suo approccio nei confronti di Pechino, allontanandosi dalla politica di ‘engagement’ che è stata attuata da Nixon in poi, sia da parte dei repubblicani che dei democratici.

La ‘trappola di Chamberlain’

Gli esperti di politica estera sono ormai sulla stessa frequenza e hanno finalmente capito che la Cina non è in modalità ‘crescita pacifica’ o ‘disinteressata all’egemonia’, come promesso nell’era di Hu Jintao (2002-2012); sta invece attivamente spingendo per la sua iniziativa ‘One Belt One Road’, che va nella direzione opposta.

Ed è ancora più allarmante che il Dragone stia costruendo basi militari nei territori contesi del Mar Cinese Meridionale. Inoltre, di fronte ai tentativi americani di ridurre gli sbilanciamenti nel commercio con la Cina, Pechino sta resistendo duramente e si sta vendicando, di fatto mordendo la mano che l’ha alimentata fin dall’era Nixon.

Nonostante Pechino sia il più grande esportatore al mondo (il 13 per cento delle esportazioni mondiali vengono dalla Cina), la Cina non è un’economia di mercato; e nonostante questo, sta fissando lei le regole e fa uso della leva del commercio per costringere la comunità internazionale ad accettare i propri termini.

Allora cosa dovrebbe fare Washington? Il professor Graham Allison, della Harvard Kennedy School, ritiene che sia inevitabile un bagno di sangue futuro tra Cina e Stati Uniti, e questo sulla base della ‘trappola di Tucidide’: la tesi secondo cui, quando delle potenze in crescita minacciano quelle già stabili, la guerra sia inevitabile.

Il professor Arthur Waldron dell’Università della Pennsylvania, tuttavia, in una recensione al libro di Allison, afferma: «La realtà è che la soluzione di Allison è una soluzione di guerra. Appagare gli aggressori è molto più pericoloso che affrontarli in maniera misurata […] Parlando di Cina, vorremmo essere più attenti alla ‘trappola di Chamberlain’, il primo ministro inglese amante della pace, uno degli autori del disastroso accordo di Monaco del 1938, che aveva lo scopo di evitare la guerra mediante delle concessioni, e che non ha fatto altro che far notare a Hitler che gli inglesi potevano essere fregati facilmente. Questo è il tipo di trappola che dobbiamo evitare, e urgentemente».

Scontro di ideologie

La ‘trappola di Tucidide’ proposta dal professor Allison, anche se avesse un riscontro reale, non è dovuta alla mera minaccia che una superpotenza nascente pone rispetto a una consolidata; piuttosto, è dovuta fondamentalmente allo scontro tra due ideologie opposte: le democrazia capitaliste e i regimi comunisti totalitari.

Negli anni, molti gruppi d’interesse in ambito economico ed accademico sono riusciti a dipingere la Cina come un partner strategico positivo, ben diverso dall’ex Urss, ignorando, forse intenzionalmente, il fatto che anche la Cina sia un Partito-Stato della stessa tipologia.

Il sistema politico cinese è infatti modellato su quello dell’Urss, ed è stato ulteriormente rafforzato dopo le lezioni imparate a seguito del crollo dell’Unione Sovietica. L’attuale sistema comunista cinese non è affatto diverso, negli obiettivi politici, da quello dell’Urss. L’obiettivo è infatti rimasto quello di avere una società comunista mondiale, nel futuro. E semmai, il regime cinese si sta dimostrando più potente e più scaltro.

Proprio come l’Urss, il Partito Comunista Cinese ha creato degli organismi di propaganda che controllano l’informazione e dei campi di lavoro in stile gulag per i prigionieri di coscienza; ha eliminato decine di milioni di innocenti, centralizzato tutti i maggiori settori economici e sostenuto le fazioni comuniste pro-Pechino in molti Paesi in via di sviluppo. Nel complesso, si mostra in opposizione ai valori e agli sforzi dell’Occidente nel mondo, che sia in Corea del Nord, in Iran o in Africa.

Una prospettiva realistica

Non importa quanto i leader cinesi si ‘occidentalizzino’ all’apparenza: rimangono comunque fedeli al comunismo. Infatti, nella Costituzione cinese c’è ancora scritto che la Cina è uno Stato governato con il sistema del socialismo «con caratteristiche cinesi», e che aspira infine a divenire del tutto comunista.

È tempo quindi di approcciarsi in modo realistico a Pechino, abbandonando ogni illusione. In un recente Forum sulla Sicurezza di Aspen, il direttore dell’Fbi Christopher Wray ha affermato che la Cina costituisce «la più vasta e importante minaccia agli Usa», anche per via del suo continuo spionaggio.
Durante lo stesso evento, un funzionario della Cia, citato dalla Cnn, ha dichiarato: «L’obiettivo delle operazioni di influenza della Cina nel mondo è quello di rimpiazzare gli Stati Uniti come la maggiore superpotenza mondiale».

Le carte sono scoperte: la Cina è uno Stato-partito comunista molto simile all’Urss in anima e spirito, e bisogna smetterla di far finta che non sia così. Inoltre, tutti i leader comunisti sono deboli e inferiori sul piano morale, perché sanno di essere dal lato opposto rispetto al loro popolo, ed è infatti questo il motivo per cui devono imporre su di esso un controllo draconiano.

L’America dovrebbe mantenere il coraggio morale di opporsi a ogni forza oscura che mini i valori universali della Costituzione degli Stati Uniti e della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo dell’Onu.

L’America ha due grandi asset: la sua ricchezza materiale e le istituzioni democratiche fornite dai Padri fondatori.
Eppure, come dimostrato negli ultimi tre secoli, è il secondo asset che determina il primo, e non il contrario. Come ha detto saggiamente Confucio: «Il gentiluomo comprende cosa è giusto, mentre l’uomo meschino comprende il profitto». Aleggiano tuttora nell’aria idee come fare contento il regime comunista cinese e mettere gli interessi commerciali prima dei valori nazionali; in questo contesto, Washington deve evitare la ‘trappola di Chamberlain’, proprio come ricorda il professor Waldron, in quanto porterebbe inevitabilmente all’abbandono della dignità umana e alla realizzazione degli orrori di 1984 di Orwell, non solo per l’America ma per tutto il mondo. E non possiamo permettere che questo accada.

 

Le opinioni in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente quelle di Epoch Times.

Articolo in inglese: Moral Courage Needed in Reconsidering China Policy

 
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