La Cina ha ignorato le offerte di assistenza durante i primi giorni della pandemia

Di Eva Fu e Zachary Stieber

Era la fine del 2019. Pechino aveva ufficialmente riconosciuto l’esistenza di una malattia polmonare sconosciuta. Tre giorni dopo,  l’allora capo dei Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) degli Stati Uniti, il dott. Robert Redfield, aveva invitato il suo omologo cinese, George Gao, a parlare al telefono.

«Ho cercato di contattarti e riproverò tra poche ore», gli ha scritto nelle e-mail inviate il 3 gennaio 2020, ottenute da Epoch Times. E questo sarebbe stato il primo di una serie di sforzi degli Stati Uniti per offrire assistenza alla Cina nelle settimane successive.

Redfield ha commentato che «purtroppo, quell’assistenza non è stata accettata dal governo cinese. Penso che avrebbe potuto fare una grande differenza». In seguito ha avuto «approfondite discussioni» con Gao nei primi giorni del Covid-19.

Ma in quel momento Gao aveva rifiutato le offerte, affermando di non essere stato autorizzato.

Una revisione dei documenti ottenuti da Epoch Times tramite una richiesta del Freedom of Information Act e di alcune dichiarazioni pubbliche, offrono un altro sguardo su come la Cina abbia ostacolato gli Stati Uniti durante i primi giorni della pandemia. Per tutto il tempo il regime comunista ha soppresso le informazioni sull’epidemia a livello nazionale, quando qualsiasi dato sanitario sarebbe stato cruciale per formulare una strategia di contenimento del Covid-19 più efficace e ridurre al minimo la diffusione globale della malattia.

Il giorno dopo la telefonata, Redfield ha scritto di nuovo a Gao, ribadendo l’offerta di assistenza degli Stati Uniti: «La Cina ha un’enorme capacità nelle indagini sulle malattie infettive e sulle epidemie», ha scritto in un’e-mail il 4 gennaio 2020, con l’oggetto «Offerta di assistenza». «Nello spirito di cooperazione, vorrei offrire esperti tecnici del Cdc in laboratorio ed epidemiologia delle malattie infettive respiratorie per assistere voi e il Cdc cinese nell’identificazione di questo nuovo patogeno sconosciuto».

Due giorni dopo, Redfield ha dato seguito all’e-mail, allegando una lettera contenente la carta intestata ufficiale del Dipartimento della salute e dei servizi umani degli Stati Uniti per estendere un invito formale: «Non vediamo l’ora di proseguire nella nostra stretta collaborazione e siamo pronti a fornire ulteriore supporto».

Tuttavia nessuna corrispondenza scritta sembrava ricevere risposta. La richiesta tramite la quale è stato possibile ottenere le e-mail riguarda un intervallo di date compreso tra il 1° dicembre 2019 e il 1° febbraio 2020. Redfield e Gao non hanno risposto alle richieste di commento.

L’allora segretario alla Salute degli Stati Uniti, Alex Azar, avrebbe poi rivelato che l’amministrazione Trump aveva esortato le autorità cinesi a far entrare gli esperti statunitensi nel Paese, senza alcun risultato. Solo il 29 gennaio 2020 le loro ripetute offerte hanno ricevuto un riconoscimento ufficiale, secondo quanto ha affermato.

«Più cooperazione e trasparenza sono i passi più importanti che potete intraprendere per una risposta più efficace», ha commentato durante un briefing con i giornalisti il ​​28 gennaio 2020, un giorno dopo aver sollevato nuovamente l’argomento in un colloquio con il ministro della Salute cinese.

Più di una settimana dopo, nulla è cambiato.

«A questo punto, è davvero una decisione per i cinesi», ha detto in una conferenza stampa a Washington il 7 febbraio 2020, sette giorni dopo che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha dichiarato l’epidemia un’emergenza sanitaria globale. «Siamo pronti, volenterosi e capaci. Siamo qui per sostenere il governo cinese, per aiutare la Cina nella sua risposta».

Alla fine, gli Stati Uniti e gli alleati, durante le prime fasi della pandemia hanno presentato quasi 100 richieste per dare assistenza o offrire aiuto, tutte respinte dalle autorità cinesi, secondo David Asher, ex investigatore sul Covid-19 presso il Dipartimento di Stato americano.

I funzionari cinesi allo stesso tempo stavano sopprimendo in modo aggressivo le informazioni all’interno della Cina. Mentre Redfield parlava con Gao in una delle chiamate, la polizia locale di Wuhan convocava il medico cinese Li Wenliang, uno dei medici professionisti medici cinesi che hanno cercato di lanciare l’allarme sul pericolo di un nuovo virus simile alla polmonite, e lo accusava di «pettegolezzi».

Dopo aver contratto il Covid-19, Li è morto il 7 febbraio, lo stesso giorno in cui Azar ha ribadito la disponibilità di Washington a fornire aiuto sul campo.

Il Cdc statunitense non ha avuto accesso ai dati diretti dalla Cina. E nessun esperto statunitense è stato invitato nel team dell’Oms arrivato in Cina il 10 febbraio 2020.

Un anno dopo, c’è stata un’indagine dell’Oms sulle origini del virus, sotto la crescente pressione internazionale e la stretta supervisione dei ricercatori cinesi. A bordo c’erano due scienziati statunitensi, tra cui Clifford Lane, vicedirettore dell’Istituto nazionale per le allergie e le malattie infettive degli Stati Uniti. È stata la prima volta che scienziati statunitensi affiliati al governo sono stati ammessi in Cina, dalla pandemia di Coivd-19.

A quel punto, tutte le tracce virali erano state distrutte da tempo nel mercato ittico di Huanan a Wuhan, il sito collegato ai casi identificati per la prima volta dai funzionari. Allo stesso modo, al gruppo di esperti dell’Oms è stato negato l’accesso ai dati grezzi sui primi casi.

 

Articolo in inglese: EXCLUSIVE: China Stonewalled US Offers of COVID-19 Assistance During Early Days of Pandemic, Emails Show

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