L’incontro-scontro tra i ministri degli Esteri di Cina e Giappone

Di Frank Yue

Il 5 aprile il ministro degli Esteri giapponese Toshimitsu Motegi si è scontrato con la sua controparte cinese Wang Yi durante una conversazione telefonica su una serie di scottanti questioni. Lo scambio è avvenuto prima del viaggio del premier giapponese Yoshihide Suga a Washington, previsto per il 16 aprile.

Durante la lunga telefonata con Wang, durata ben 90 minuti, Motegi ha criticato il comportamento della Cina nelle acque contese dell’Indo-Pacifico, le violazioni dei diritti umani nello Xinjiang e la situazione della democrazia a Hong Kong.

Pur concordando con Wang sull’importanza di cooperare nella regione e in ambito internazionale, Motegi ha espresso «serie preoccupazioni» per l’invasione delle Isole Senkaku (chiamate anche Isole Tiao-yu a Taiwan e Isole Diaoyu nella Cina continentale) da parte della marina cinese, nel Mar Cinese Meridionale.

Dal canto suo, Wang ha dichiarato che le questioni relative a Hong Kong e allo Xinjiang sono affari interni della Cina e ha espresso la speranza che il Giappone non si faccia guidare dai Paesi che si oppongono al Partito Comunista Cinese (Pcc), sottolineando che non dovrebbe spingersi «troppo in là».

Il giorno successivo, un gruppo trasversale di parlamentari giapponesi ha chiesto una legge che consenta di emanare sanzioni per le violazioni dei diritti umani. Akihisa Nagashima, un parlamentare del Partito Liberal Democratico, ha affermato che gravi violazioni dei diritti umani si stanno verificando in tutto il mondo: «Il mondo sta prestando sempre più attenzione a come risponderà il Giappone, la cui costituzione enfatizza i diritti umani».

Mentre in una conferenza stampa a Tokyo, anche il segretario capo di gabinetto Katsunobu Kato ha affermato che il Giappone dovrebbe valutare seriamente la necessità di una propria legge per le sanzioni.

Attualmente, il Giappone non dispone di un quadro giuridico per imporre sanzioni per le violazioni dei diritti umani. Ed è raro che il Giappone critichi pubblicamente la Cina, soprattutto in termini di diritti umani. Per decenni, il Giappone ha gestito con molta cautela il suo rapporto con il regime comunista, il suo principale partner commerciale.

Tuttavia, il governo giapponese si è dimostrato sempre più critico nei confronti del comportamento del Pcc nello Xinjiang, a Hong Kong e nelle acque contese nell’Indo-Pacifico. Peraltro, il primo febbraio è entrata in vigore una controversa legge cinese sulla guardia costiera, che autorizza le forze dell’ordine marittime ad aprire il fuoco su navi straniere se necessario.

Secondo un articolo pubblicato il 6 aprile da Japan Times, Jun Tsuruta, professore associato di diritto internazionale presso l’Università Meiji Gakuin, ritiene che la Guardia costiera cinese rappresenti una minaccia per il Giappone, anche perché la Cina non ha fornito una definizione chiara di quali sarebbero le acque di sua competenza in senso geografico.

Inoltre, dopo aver esaminato il testo della legge in dettaglio, il professore sospetta che «la Cina stia avanzando rivendicazioni basate sulla propria interpretazione delle zone marittime più di quanto affermato dall’Unclos», e ritiene che la Guardia costiera cinese non sia solo un’agenzia di applicazione della legge marittima, ma anche militare. Unclos è l’acronimo della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare.

Il 4 aprile, il ministero della Difesa giapponese ha annunciato che il giorno precedente la portaerei cinese Liaoning aveva navigato tra le isole di Okinawa e Miyakojima per entrare nell’Oceano Pacifico, segnando la prima volta che una nave cinese ha attraversato quelle acque dall’aprile dello scorso anno.

Il 16 marzo, il segretario di Stato americano Antony Blinken e quello alla Difesa, Lloyd Austin, hanno visitato Tokyo per un incontro con Motegi e il ministro della Difesa Nobuo Kishi.

Durante l’incontro, i funzionari di entrambi i Paesi hanno criticato il comportamento della Cina, che presenta varie sfide all’alleanza Usa-Giappone e alla comunità internazionale.

Il Giappone è stata la prima destinazione del viaggio all’estero dei funzionari statunitensi del governo Biden.

 

Articolo in inglese: Japan’s Foreign Minister Expresses ‘Serious Concerns’ to Chinese Counterpart



 
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