Il virus intensifica la censura sui social media

Le piattaforme di social media più note hanno iniziato a moderare i contenuti relativi al virus del Pcc da loro ritenuti disinformazione. Per esempio, l’amministratore delegato di YouTube, Susan Wojcicki, ha dichiarato che la piattaforma «rimuoverà le informazioni che sono sensibili», incluso «tutto quello che va contro le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms)».

In un’intervista a Epoch Times, Mark Grabowski, professore associato specializzato in diritto cibernetico ed etica digitale all’Adelphi University, ha spiegato che c’è un doppio standard, online, sugli argomenti legati ai virus: «In alcuni casi, il contenuto [censurato, ndr] è stato prodotto da fonti autorevoli come medici, professori ed epidemiologi. Nel frattempo, queste stesse piattaforme promuovono opinioni altamente speculative da parte di persone che non sono assolutamente qualificate a parlare sull’argomento».

Ad esempio, Twitter ha recentemente evidenziato una notizia su dichiarazioni di Melinda Gates, secondo la quale i governatori dei vari Stati degli Usa stanno rimuovendo la quarantena troppo presto: «Non è un’esperta in materia, lei ha solo un Mba (Master in business administration)», commenta Grabowski. La moderazione del contenuto sul virus è diventata un problema, secondo il professore, che cita quegli studi che mostrano come un’eccessiva omogeneità di idee possa portare alla stagnazione e a una cattiva soluzione dei problemi: «I liberali e i conservatori possono cadere preda di motivated reasoning [ragionamenti prodotti a sostegno di opinioni che si ha già in partenza, senza basarsi quindi sull’analisi dei fatti, ndr] e di pregiudizi di conferma».

YouTube ha anche cancellato automaticamente i commenti che menzionano alcune espressioni cinesi comunemente usate per criticare il Partito Comunista Cinese. Secondo Grabowski, questa moderazione e censura «molto preoccupante» viene usata su un numero crescente di argomenti: «Sta effettivamente diventando come la censura in stile cinese, dove i punti di vista dei dissidenti e persino certe parole e frasi sono proibite».

Alcune aziende hanno descritto dettagliatamente i casi in cui sono state moderate. Via e-mail, Austin Wolff, direttore della ricerca presso il Novus Center, una clinica anti-invecchiamento, ha scritto che uno dei video dell’azienda è stato recentemente tolto da YouTube, perché mostrava un trattamento di terapia inalatoria: «Pubblichiamo diversi trattamenti che possono fare un po’ impressione sul nostro canale, come le iniezioni al cuoio capelluto e al ginocchio, ma qualcuno che respirava con una mascherina era apparentemente troppo ‘sensazionale’ per YouTube. La definirei una violazione della libertà di parola, ma è la piattaforma di YouTube. Immagino che possano fare quello che vogliono».

Per Grabowski non c’è garanzia di libertà di parola sulle piattaforme dei social media: il professore fa notare che il Primo Emendamento della Costituzione americana impedisce solo al governo di censurare la parola.
«Le gigantesche piattaforme dei social media come Facebook, Twitter e YouTube controllano il cyberspazio e stanno effettivamente agendo per rimodellare il discorso politico. Vivete in una bolla se non pensate che si stia verificando la censura dei social media».

Controllo dei messaggi

Andrew Selepak, professore di social media all’Università della Florida, spiega che le piattaforme dei social media stanno limitando la portata dei post che contengono parole o riferimenti al virus, a meno che non provengano da fonti attendibili (decise da loro): «In sostanza, le piattaforme stanno agendo da guardiani dell’informazione, che è l’esatto opposto dello scopo che sta dietro ai social media, che non dovrebbero limitare affatto la voce degli utenti». Se la piazza pubblica online è limitata solo alle voci ritenute accettabili dalle aziende dei social media, «potremmo non sapere mai di chi sono le voci che vengono limitate o messe a tacere e potrebbero non essere mai in grado di dircelo». Ci sono argomenti validi per limitare alcune voci, in casi d’incitamento alla violenza, come nel caso dell’Isis che utilizza piattaforme per diffondere la sua ideologia violenta e reclutare membri. Ma se l’unica scelta per le persone è di non usare la piattaforma, e non ci sono altre alternative, «allora la libertà di parola è veramente messa a tacere».

Di recente YouTube, Facebook e altre piattaforme hanno rimosso un documentario sul virus, intitolato Plandemia, suscitando polemiche e lamentele per questa censura. L’Abc27 ha riferito che la spiegazione da loro ricevuta per la rimozione del documentario è stata la necessità «di fermare la diffusione della disinformazione» e una «violazione delle linee guida della comunità». Il documentario, che prima della rimozione era stato visualizzato milioni di volte, tra i vari argomenti affermava che indossare una mascherina potrebbe peggiorare la situazione della salute personale.

Tuttavia, secondo Andrew Contiguglia, presidente dell’Associazione Avvocati del Primo Emendamento, non c’è molto che si possa fare per le aziende che moderano o censurano i post sulle loro piattaforme: «Abbiamo questo Primo Emendamento che è il diritto alla libertà di parola, ma i siti di social media hanno il controllo sui messaggi che stiamo cercando di trasmettere».

Alcune persone sostengono che i siti di social media non facciano abbastanza per contrastare i post violenti o falsi, mentre altre ritengono che le piattaforme stiano ingiustamente vietando e limitando l’accesso a discussioni potenzialmente preziose. Gli editori possono essere ritenuti responsabili per qualsiasi contenuto che pubblicano, mentre le piattaforme di social media sono protette. Tuttavia i critici sostengono che queste aziende, che si dichiarano piattaforme, non solo mantengono un forum pubblico, ma ne moderano anche il contenuto, cosa che le rende di fatto degli editori. Secondo i critici, le aziende non possono avere quindi ‘la botte piena e la moglie ubriaca’. Contiguglia è d’accordo sul fatto che potrebbe esserci un punto in cui un’azienda privata di social media oltrepassa la linea di demarcazione che la divide dal servizio pubblico.

Gli accademici sostengono che il libero dibattito sui social media è «profondamente minacciato» da fattori come la proprietà aziendale. Per Contiguglia «non c’è coerenza nel monitoraggio o nell’applicazione delle norme. I messaggi degli influenzatori sono a discrezione dello staff di monitoraggio di ciascuna di queste piattaforme».

Alcuni hanno sottolineato altre preoccupazioni. Adam Hempenstall, Ceo e fondatore di Better Proposals, un software di proposte online, ha spiegato a Epoch Times che le persone sono generalmente scoraggiate dall’avere una propria opinione sui social media a causa della mentalità di massa: «Non sono le piattaforme stesse a scoraggiare le persone dal dare voce alla loro opinione, ma gli altri utenti».

Epoch Times ha contattato Twitter, Facebook e YouTube per un commento, ma per ora non ha ricevuto alcuna risposta.

Nel frattempo, Margaret Andriassian, una venditrice, ha inviato un’e-mail a Epoch Times, raccontando che un’azienda che stava promuovendo mascherine di cotone ha ricevuta una segnalazione da alcune piattaforme, per una violazione definita come «vendita di prodotti essenziali«». Tuttavia, dopo aver contatto i vari social media, essi si sono scusati e hanno risolto il problema (con l’eccezione di Facebook). Gli algoritmi, afferma la Andriassian, sono impostati per gestire e controllare strettamente la vendita delle mascherine. Le aziende, però, dovrebbero concentrarsi su questioni più grandi – sostiene – come fare di più per combattere l’industria della pornografia infantile sulle loro piattaforme, che ha visto un picco durante la pandemia. «È dappertutto, con parole in codice su tutti i social media, e questo non si è assolutamente fermato. Le aziende dovrebbero mettere tutto il loro controllo e i loro sforzi per eliminare quell’industria, piuttosto che cercare di controllare qualsiasi altra notizia. È tutta politica».

 

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Articolo in inglese: Online Speech Threatened by Social Media Censorship, Experts Say

 
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