Il ‘no deal’ sulla Corea non è per forza un fallimento

L’autore di questo articolo, il dottor Xiaoxu Sean Lin, è un ufficiale in pensione dell’esercito americano e uno specialista in materia di sorveglianza, salute pubblica, e relazioni tra Stati Uniti e Paesi asiatici.

 

Il presidente americano Donald Trump ha posto ‘bruscamente’ fine al colloquio con Kim Jong Un, che si è svolto nella città di Hanoi, nel momento in cui era diventato palese che Kim non avesse intenzione di fornire garanzie verificabili sulla denuclearizzazione in cambio della rimozione delle sanzioni americane. È stata una conclusione avvilente, per un incontro che aveva ricevuto l’attenzione del mondo intero, in particolare dopo che entrambe le parti avevano manifestato una spiccata cordialità durante la prima giornata di colloqui.

Ma il fatto che i due leader non abbiano firmato un accordo non significa che le trattative siano fallite completamente. Infatti Trump ha raggiunto quantomeno uno dei suoi obiettivi: assicurare che la regione sia stabile e senza test nucleari. Da un’altra prospettiva questo risultato è quasi un successo per gli Usa, poiché significa che gli Stati Uniti non sono scesi a compromessi, e non hanno alcuna intenzione di rimuovere le sanzioni con leggerezza o di regalare soldi. Inoltre è rincuorante che Trump non sia stato ingannato o raggirato dal regime comunista. Ad ogni modo, Trump e il segretario di Stato Mike Pompeo non hanno rotto le relazioni con la Corea del Nord, e hanno dichiarato di essere intenzionati a continuare le trattative in futuro.

Il fatto che non sia stato raggiunto un accordo significa anche che Kim Jong Un ha rifiutato un’ottima opportunità per trasformare il suo Paese in una società aperta. Trump e i suoi collaboratori hanno persino organizzato l’incontro in modo che il dittatore nordcoreano potesse toccare con mano il successo economico di Singapore e del Vietnam. E sebbene Kim sia stato molto compiaciuto dalla ‘magnificenza’ del summit, che sarà encomiata a lungo dalla stampa del regime comunista, la realtà è che ora dovrà affrontare una maggiore pressione interna poiché il viaggio non ha prodotto alcun risultato.

I due ‘pilastri’ che Kim ha sempre impiegato per sostenere il suo regime sono le armi nucleari e la propaganda contro gli Stati Uniti, ma ora entrambi questi pilastri sono praticamente crollati. Kim non può rilanciare lo sviluppo delle armi nucleari o riprendere i test nucleari, poiché ha promesso la denuclearizzazione di fronte alla stampa mondiale. E probabilmente non potrà attaccare con forza gli Stati Uniti impiegando la macchina di propaganda statale, poiché in futuro dovrà ancora sedersi al tavolo delle trattative con Pompeo e Trump. Tuttalpiù potrà accusare gli Stati Uniti di aver fatto i prepotenti. Ma avrebbe di che preoccuparsi, qualora gli Stati Uniti ricominciassero a organizzare esercitazioni militari con la Corea del Sud.

Il presidente sudcoreano Moon Jae-in probabilmente si sente un po’ a disagio in questo momento. Dal momento che il summit tra Trump e Kim non ha fatto avanzare il processo di denuclearizzazione della penisola, gli sforzi fatti lo scorso anno da Moon per raggiungere la pace con la Corea del Nord sembrano essere stati abbastanza ‘inutili’. È probabile che il presidente Moon verrà criticato aspramente dall’opinione pubblica sudcoreana per la sua versione della ‘Sunshine Policy’ adottata con Kim Jong Un.

Un’altra persona che non potrà essere molto soddisfatta è il leader cinese Xi Jinping. Infatti, durante la conferenza stampa di Hanoi, Trump ha dichiarato chiaramente che il 93 percento delle forniture che raggiungono la Corea del Nord provengono dalla Cina: una critica indiretta nei confronti del regime cinese per aver violato le sanzioni imposte alla Corea del Nord, che potrebbe diventare un’altra moneta di scambio per gli Stati Uniti nell’ambito dei negoziati commerciali con la Cina.

Il governo di Trump è già infastidito dal continuo sostegno offerto dalla Cina al governo venezuelano di Maduro. Sia Chavez che Maduro sono stati allievi del Partito Comunista Cinese (Pcc) e sembra che ora Maduro stia imitando le tattiche che il Pcc ha adoperato per gettare fango sul movimento studentesco per la democrazia del 1989. Al tempo il Pcc incendiò alcuni veicoli militari e diede la colpa agli studenti; oggi Maduro sta accusando gli Stati Uniti di aver incendiato i camion carichi di aiuti umanitari, che sarebbero potuti entrare in Venezuela il 23 febbraio.

L’assenza di risultati del summit Trump-Kim, e il sostegno offerto dalla Cina al regime di Maduro hanno confermato al governo di Trump che trattare con i regimi socialisti o comunisti non è mai una cosa facile, poiché ai loro leader non importa nulla delle vite dei propri cittadini e del futuro dei propri Paesi.

Lasciare Hanoi senza un accordo non è un risultato soddisfacente per il governo di Trump, e molti dei critici hanno dichiarato che Trump ha perso l’occasione di realizzare un trionfo di cui aveva grande bisogno. Tuttavia, quello che Trump ha perso ad Hanoi potrebbe riguadagnarlo durante i negoziati commerciali tra Stati Uniti e Cina.

Perciò l’assenza di un accordo tra Trump e Kim è una brutta notizia per la Cina. Il fatto che Trump abbia rifiutato un cattivo accordo mostra la sua natura di perspicace imprenditore, e la sua forte volontà di rimanere fedele ai propri principi. Xi Jinping ha dunque di che preoccuparsi e dovrebbe chiedersi: ‘Trump farà lo stesso con me quando andrò a incontrarlo a Mar-a-Lago?’.

 

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente il punto di vista di Epoch Times.

Articolo in inglese: No Deal at Trump-Kim Summit is Bad News for China

 
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