Enormi proteste scoppiano nello Xinjiang per le severe restrizioni Covid

Di Tom Ozimek

Delle forti proteste sono scoppiate il 25 novembre nell’estremo ovest dello Xinjiang a seguito delle frustrazioni a lungo latenti per le rigide politiche sul Covid-19. Le proteste hanno raggiunto un punto di ebollizione quando sono circolati online dei commenti che incolpavano i lockdown forzati di aver ostacolato la fuga da un incendio mortale in un condominio.

Diversi video che si dice provengano dalla capitale dello Xinjiang, Urumqi, e condivisi sui social media hanno mostrato un’immagine di residenti furiosi per le politiche draconiane «Zero-Covid» imposte dal Partito Comunista Cinese (Pcc).

Nei video si vede la folla cantare «Fine dei blocchi!» alzando i pugni in aria mentre camminavano per strada.

In un video si è anche sentito quello che sembrava uno sparo, proveniente, pare, da un quartiere uiguro della città.

Anche alcuni residenti che portavano la bandiera del Pcc si sono riuniti fuori da un edificio del governo locale a Urumqi, cantando per la revoca dei blocchi, con alcuni che gridavano: «Moriamo insieme».

Un video condiviso su Twitter da 247ChinaNews mostrava che di fronte al palazzo del governo di Urumqi, un funzionario è uscito per parlare con la gente.

«Quando verrà revocato il lockdown?» chiede un uomo nel video. «Non sbloccheremo […] è tutto per la sicurezza di tutti», risponde Ma Zhijun, vice segretario del comitato municipale del Partito di Urumqi.

Epoch Times non è però stato in grado di verificare indipendentemente l’autenticità dei video.

Incendio in un appartamento uccide dieci persone

Le proteste a Urumqi sono sorte il 24 novembre dopo un incendio – in un grattacielo della città – che ha ucciso dieci persone, tra cui tre bambini.

In seguito all’incendio, sulle piattaforme dei social media cinesi sono circolati commenti che accusavano le restrizioni di movimento dovute alla pandemia di aver aggravato la tragedia impedendo i soccorsi e ai camion dei pompieri di arrivare rapidamente sulla scena. Altri hanno affermato che i residenti non hanno potuto lasciare velocemente l’edificio perché le porte antincendio erano chiuse.

Li Wensheng, capo dei vigili del fuoco locali, ha invece accusato una stradina piena di auto parcheggiate di aver impedito l’accesso ai camion dei pompieri. Ha negato che le porte antincendio dell’edificio fossero chiuse o che le restrizioni per il Covid-19 costituissero un qualche tipo di impedimento: «La capacità di alcuni residenti di salvarsi era troppo limitata […] e non sono riusciti a scappare», ha affermato Li, secondo il Washington Post.

Ma i critici hanno contestato questa narrazione, sostenendo nei forum online che siano state le restrizioni alla circolazione ad aver portato all’abbandono dei veicoli per strada, ed esprimendo generalmente frustrazione per le rigide politiche Zero-Covid del Paese.

Gli utenti della piattaforma cinese Weibo hanno descritto l’incidente come una tragedia scaturita dall’insistenza della Cina nell’attenersi alla sua politica Zero-Covid e qualcosa che potrebbe accadere a chiunque. Alcuni hanno fatto notare le sue somiglianze con il micidiale incidente di settembre di un autobus di quarantena Covid.

«Non c’è forse qualcosa su cui possiamo discutere per apportare alcune modifiche?», chiedeva un saggio breve che è diventato virale su WeChat, mettendo in discussione la narrazione ufficiale sull’incendio dell’appartamento di Urumqi.

Zero-Covid continua

I media cinesi controllati dallo Stato hanno difeso la politica Zero-Covid – firmata dal leader cinese Xi Jinping – come salvavita e necessaria per evitare di sopraffare il sistema sanitario.

Nonostante il crescente respingimento pubblico contro la rigida politica e il suo crescente tributo sull’economia, i funzionari cinesi hanno promesso di continuare con lockdown e altre restrizioni.

La regione dello Xinjiang, che ospita circa 10 milioni di uiguri, è stata sottoposta ad alcuni dei lockdown più lunghi della Cina. A molti dei 4 milioni di residenti di Urumqi è stato impedito di lasciare le proprie case per un massimo di 100 giorni.

Governi occidentali e gruppi per i diritti umani accusano da tempo Pechino di abusi contro la minoranza etnica prevalentemente musulmana nello Xinjiang, compreso il lavoro forzato nei campi di internamento. Ma la leadership comunista cinese ha ripetutamente negato tali affermazioni.

 

Articolo in inglese: Huge Protests Erupt in China’s Xinjiang Over Strict Zero-COVID Curbs

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