Confronto tra 3 tenori: Corelli, Del Monaco e Pavarotti (Che gelida manina, La bohème)

Di Alessandro Starnoni

Tre tenorissimi, eppure tre voci molto differenti. La voce dei tre tenori protagonisti di questo confronto, Franco Corelli, Mario Del Monaco e Luciano Pavarotti, è infatti in tutti e tre contraddistinta da quelle alte frequenze tenorili capaci di risuonare nei teatri d’Opera e nelle orecchie, e che permettono di arrivare agli acuti tanto amati dai conoscitori del Bel Canto. Ma anche nell’ambito della stessa ‘categoria vocale’, esistono delle sfumature che determinano differenze a volte anche grandi.

Tutti e tre sono dunque tenori, ovvero la voce più acuta maschile nell’Opera se ci si basa sulle tre classificazioni: basso, baritono e tenore. Ma ci sono ancora delle differenze nelle loro rispettive voci, che andiamo a scoprire confrontando il loro canto nell’aria Che gelida manina da La bohème di Giacomo Puccini.

La voce di Luciano Pavarotti è quella più ‘chiara’ delle tre (o se vogliamo anche un po’ più acuta). Il tenore di Modena è infatti un tenore ‘lirico-leggero’. Nella categoria dei ‘tenori lirici’ ci sarebbero ancora delle distinzioni da fare (che tra poco vedremo), questo proprio perché ogni voce è differente e bella di per sé, ma si è cercato lo stesso di identificarle in ‘categorie’, per quanto queste possano poi alla fine risultare comunque strette. La categoria ultima dovrebbe essere infatti la ‘voce di Corelli’, la ‘voce di Caruso’, la ‘voce di Del Monaco’ eccetera, proprio perché ogni voce è unica.

Qui possiamo ascoltare la voce del grande tenore modenese, Luciano Pavarotti. Una voce ampia, grande, ma cristallina e limpida, che diventa ancora più tale nella tessitura più acuta dove acquista sempre più slancio e sembra non possa essere fermata: il Do acuto su «la speranza», eseguito in maniera agevole e libero da restrizioni o pesantezze, ne è l’emblema e scopre o mette a nudo le caratteristiche vocali di Pavarotti:

Tuttavia, per quanto agile e acuta, la voce di Pavarotti mantiene quelle caratteristiche dolci e calde proprie della voce del tenore lirico, e questo lo si avverte meglio nella sua tessitura centrale, dove la voce risulta morbida e duttile, ricca e piena (altrimenti senza queste ultime caratteristiche rientrerebbe maggiormente nella categoria del tenore ‘di grazia’).

Come si diceva, quindi, la categoria dei tenori lirici vede ancora delle gradazioni al suo interno, ovvero esistono i tenori lirici-leggeri come Pavarotti, ma per l’appunto anche i tenori lirici e basta, cioè ‘puri’ (potremmo pensare a Giuseppe Di Stefano). Il timbro di questi ultimi è leggermente più caldo dei lirici-leggeri, ma comunque sempre meno profondo e corposo di quello di un tenore lirico-spinto come è il caso di Franco Corelli.

Il tenore lirico-spinto riesce anche a dare un senso, se vogliamo di eroicità nella propria voce, nei climax musicali, proprio perché è come se la sua voce avesse quella caratteristica di spinta o emotività passionale in più che è già propria del tenore lirico, ma che in quello ‘spinto’ è ancora più accentuata. E questo lo si avverte benissimo nel canto di Corelli. La sua voce è quasi esplosiva, voluminosa, ogni consonante è rimarcata e la vocale che segue sembra potersi espandere ogni volta all’infinito. La sensazione che dà è quella di possanza e robustezza, ma dato quest’ultimo aspetto, potrebbe anche risultare leggerissimamente meno agile e altrettanto un po’ meno a suo agio negli acuti (nel caso di Corelli ovviamente non proprio), che però vengono compensati da quel senso di pienezza e autorità vocale:

Tuttavia, la voce del tenore lirico-spinto, anche se simile è a sua volta abbastanza meno ‘pesante’ di quella del tenore drammatico: e qui usciamo dalla categoria dei tenori lirici e veniamo all’ultimo tenore del confronto che è Mario Del Monaco, il drammatico per eccellenza. La sua voce all’orecchio meno esperto per quanto grave e profonda può persino essere scambiata per una voce baritonale (come è stato con il caso di Carlo Bergonzi all’inizio della sua carriera giovanile) – e proprio per tale ragione Mario Del Monaco si cimentò anche nel ruolo baritonale di Figaro nel Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini – ma è comunque e pur sempre una voce tenorile.

La voce di Del Monaco è davvero drammatica, scura, e questo salta all’orecchio soprattutto se confrontata con quella di Pavarotti. A volte talmente drammatica da costringere l’orchestra a suonare un mezzo tono in meno. Ma queste alla fine nell’arte sono sottigliezze. Il mezzo tono sotto non è perché il tenore non arrivi (il Do di petto Del Monaco ce lo aveva eccome), ma semmai per risaltare le caratteristiche della sua voce in una tessitura sicuramente per lei più adatta.

Qui lo ascoltiamo giovane in Che gelida manina, dove emerge tutta la mascolinità caratteristica del tenore drammatico. La sua voce è grossa, potente, esprime solidità e sicurezza, come fosse radicata in profondità nel terreno, ma al contempo è meno agile, quindi meno libera di esprimere tutte quelle sfumature emotive proprie del tenore lirico.

 
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