Come la Cina controlla Hollywood e tutto il settore dell’intrattenimento

Di Ping Yu

Gli Stati Uniti spendono circa 700 miliardi di dollari all’anno in esercito e difesa per mantenere il Paese al sicuro. Ma per solo una frazione di quella cifra, la Cina ha combattuto una guerra diversa con grande successo: una guerra per cambiare le menti americane dall’interno.

Oggi, i media e l’intrattenimento sono due forze principali che modellano lo spirito di una società. Non solo decidono cosa dobbiamo sapere, ma anche cosa dobbiamo pensare. In un certo senso, determinano chi siamo.

Ma abbiamo pochissima o nessuna difesa, in queste aree. In effetti, guardando abbastanza da vicino, sarà possibile osservare la profonda infiltrazione del regime comunista cinese in questi ambiti. Attraverso i media e Hollywood, la Cina ha infatti iniettato i suoi principi e i suoi filtri nelle ignare menti americane e internazionali.

Hollywood o China-wood?

Il video delle scuse umilianti di John Cena per aver definito Taiwan un Paese, è una perfetta incarnazione della posizione di Hollywood di fronte alla censura di Pechino.

Due decenni fa, era impensabile che una celebrità statunitense si inchinasse alla Cina per un commento del genere. Le cose hanno iniziato a cambiare nel 1997 quando Hollywood ha pubblicato tre film che hanno calpestato le ‘linee rosse’ di Pechino: Kundun di Touchstone e Sette anni in Tibet di Mandalay Entertainment, hanno entrambi ritratto il Dalai Lama e l’invasione del Tibet da parte del Partito Comunista Cinese (Pcc) negli anni ’50, mentre Red Corner di Mgm, con Richard Gere protagonista, presentava un quadro poco lusinghiero del sistema giudiziario cinese.

Il leader spirituale tibetano Dalai Lama (a destra) parla con l’attore americano Richard Gere (a sinistra) durante una conferenza sulla campagna internazionale per il Tibet ad Ahoy a Rotterdam, Paesi Bassi, il 16 settembre 2018. (Robin Utrecht/Afp/Getty Images)

Le successive reazioni di Pechino hanno aperto gli occhi a Hollywood su quanto aggressiva possa essere la rappresaglia cinese: tutti i principali attori e registi dei tre film sono stati inseriti in una lista nera e agli studios e alle loro aziende madre è stato vietato di fare affari in Cina per i successivi cinque anni.

I due film legati al Tibet hanno suscitato un grande sostegno per il Tibet negli Stati Uniti. Una dopo l’altra, celebrità come Brad Pitt e Selena Gomez sono state bandite da Pechino per aver sostenuto apertamente il Tibet o per aver incontrato il Dalai Lama.

Ma oggi sarebbe impossibile che un film come Sette anni in Tibet venga realizzato da Hollywood. Perché? Perché molto è cambiato negli ultimi due decenni. Allora era un piccolo mercato per i film, ma oggi la Cina ha superato gli Stati Uniti, diventando il più grande mercato cinematografico del mondo. Con 9,2 miliardi di dollari di entrate al botteghino nel 2019 dai suoi 69 mila 787 schermi cinematografici, aveva all’incirca le stesse dimensioni di Stati Uniti e Canada messe assieme.

Ma l’accesso al mercato non è né gratuito né facile. La Cina limita il numero di film importati a 34 all’anno. Il Centro della propaganda e censura del Pcc determina quali film sono accettati e quali cambiamenti sono necessari. Il processo decisionale è oscuro, incoerente e può cambiare all’ultimo minuto. I censori possono approvare un film, e poco dopo cambiare la decisione. È anche comune per gli alti funzionari all’interno o all’esterno del Dipartimento della Propaganda, porre il veto a una decisione precedente senza spiegazioni.

Questo tipo di ambiguità è esattamente ciò che vuole Pechino, secondo un rapporto di Pen America, perché gli studi cinematografici dovranno autocensurarsi ancora più duramente per evitare questa linea invisibile.

Hollywood è disposta a fare i salti mortali per restare in riga. Le prime cinque aziende che dominano il mercato cinematografico estero cinese sono multinazionali i cui interessi commerciali vanno al di là dei film. La Disney, ad esempio ha una quota del 43% nello Shanghai Disneyland Park, la cui costruzione è costata più di 5,5 miliardi di dollari.

«Allora perché mettere a repentaglio le grandi iniziative imprenditoriali per 90 secondi di contenuti che potrebbero essere tagliati altrettanto facilmente?» ha chiesto il professore dell’Ucla Michael Berry in un’intervista a Pen America.

Un venditore cinese di borse di Topolino e altri prodotti in un negozio Disney a Shanghai il 4 novembre 2009. (Str/Afp/Getty Images)

Tagliare e cambiare scene per placare Pechino è ormai una pratica standard. Ecco solo due esempi recenti: nel film Top Gun del 2019, una toppa con la bandiera di Taiwan è stata rimossa dalla giacca di Tom Cruise; e la Cina ha  ordinato a Mission Impossible 3 di rimuovere le scene girate a Shanghai che mostravano il bucato steso su uno stendibiancheria e persone che giocavano a Mahjong in un edificio squallido, perché queste immagini non si adattano alla ricca immagine della «Cina moderna» che il Pcc vuole promuovere, e secondo alcuni media cinesi sono umilianti e una «brutificazione» della Cina.

Questi comportamenti sono così normali e comuni, che rifiutarsi di seguire i comandi di Pechino è insolito e degno di nota. Il regista Quentin Tarantino ha fatto notizia nel 2019 quando si è rifiutato di registrare il suo C’era una volta a… Hollywood come richiesto dalla Cina. Ma la maggior parte degli altri non correrebbe il rischio. Come detto da un produttore a Pen America, «la maggior parte delle persone non contraddice la Cina, perché c’è il timore del ‘Non lavorerò mai più’».

Dopotutto, anche Gere ha pagato un netto prezzo professionale per aver sostenuto il Tibet: «Ci sono sicuramente film in cui non posso esserci perché i cinesi diranno, ‘Non con lui’», ha spiegato a The Hollywood Reporter nel 2017.

Questo non farà che peggiorare quando Hollywood esplorerà la produzione congiunta con le imprese cinesi. Questo modello offre agli studios occidentali una maggiore possibilità di ottenere approvazioni, ma consente anche alla Cina di guidare direttamente gli studios ad adottare le narrazioni preferite di Pechino e di fare pressione su di loro indirettamente attraverso le aziende cinesi che finanziano i film.

Il film del 2014 Transformers: Age of Extinction, una produzione congiunta tra Paramount e la Cina, dipinge i funzionari statunitensi con toni poco lusinghieri mentre mette in risalto l’altruismo dei personaggi cinesi, in particolare nella loro volontà di difendere Hong Kong da una minaccia aliena. Questo è stato inquietante per molti, date le proteste del Movimento degli ombrelli di Hong Kong che sono avvenute nello stesso anno. Il giornalista ed editore David Cohen ha scritto un editoriale chiamando il film «meravigliosamente patriottico, se sei un cinese».

I dirigenti degli studios preferiscono sempre più creare film con trame che lusinghino la Cina nelle versioni universali dei film ma in modo che non sia troppo esplicito, o tagliare scene e cambiare trama in modo che la censura non sia così visibile. Ciò significa che la censura cinese non solo determina ciò che il popolo cinese può vedere, ma ha anche una grande influenza su ciò che può vedere il resto del mondo.

Tale censura sta privando il pubblico statunitense di informazioni e messaggi importanti. Nel 2013, i dirigenti della Paramount Studios hanno chiesto al film World War Z di cambiare la trama originale in cui il virus zombie aveva avuto origine in Cina. Questo allo scopo, ovviamente, di poter passare l’esame della censura cinese.

Tuttavia, l’autore del romanzo originale, Max Brooks, stava cercando di inviare un messaggio preciso, con questa trama. Dopo lo scoppio dell’epidemia di coronavirus, Brooks ha spiegato in un’intervista a Bill Maher dello scorso aprile, di aver deliberatamente scelto la Cina come epicentro del suo virus fittizio, perché riteneva probabile che la diffusione non rilevata dei virus avvenisse «in un Paese dove non c’è libertà di stampa. […] in un Paese come la Cina, che censura la stampa e anche i propri cittadini sui social media, dove si crea uno spazio oscuro adatto alle teorie del complotto».

Ma ormai, se gli spettatori possono fruire di contenuti interessanti o meno, dipende in gran parte dalla misericordia di Pechino.

Ma l’effetto maggiore sull’industria cinematografica non è nemmeno ciò che viene cambiato, ma ciò che non  viene proprio creato. I film che il Pcc disprezzerebbe hanno pochissime possibilità di decollare e la sua lunga lista di «argomenti sensibili» sta crescendo. Man mano che Hollywood si assimila sempre più alla propaganda cinese, l’industria cinematografica avrà ancora meno opzioni e sempre più storie non verranno raccontate.

Gli americani possono accettare che il Pcc detti il ​​modo in cui le storie vengono raccontate negli Stati Uniti? In che modo le norme, le narrazioni e l’ideologia del Pcc incorporate nei film di produzione americana cambieranno il mondo? Man mano che la minaccia proveniente dalla Cina diventa sempre più evidente, gli americani dovrebbero porsi queste domande con un forte senso di urgenza.

Chi controlla ciò che ascolti?

Si dice spesso che i media siano la coscienza della società. Dovrebbero essere uno specchio realistico del nostro mondo e fornire un insieme condiviso di fatti sui quali i membri della società possono formare le proprie opinioni.

Non puoi comprare la coscienza, ma puoi sicuramente spendere abbastanza per conquistare la benevolenza di alcuni giornalisti. Il Pcc ha usato molti piccoli favori come viaggi gratuiti in Cina e cene lussuose, per trasformare e mantenere amichevoli i giornalisti statunitensi.

Un recente rapporto del National Pulse ha rivelato che un importante gruppo di propaganda del Pcc ha invitato in Cina più di 120 giornalisti di circa 50 media statunitensi, pagandone il viaggio in Cina, in cambio di una copertura favorevole. Quando in Cina, i giornalisti sono stati organizzati per visitare le città chiave per «tour culturali», incontrare funzionari governativi e visitare aziende per «vedere in prima persona gli sviluppi (cinesi) in vari campi».

Il gruppo che ha organizzato questi viaggi è la China-United States Exchange Foundation (Cusef). Il Cusef è stato fondato ed è finanziato da Tung Chee-hwa, il primo amministratore delegato di Hong Kong sotto il Pcc, secondo un rapporto investigativo (pdf) della Commissione di revisione della sicurezza Usa-Cina. Tung è ora vicepresidente della Conferenza consultiva politica del popolo cinese (Cppcc), l’organo centrale del sistema del Fronte unito del Partito.

Il Fronte Unito è dietro a molti casi di spionaggio scoperti. La missione del Fronte Unito è quella di «cooptare e neutralizzare le fonti di potenziale opposizione alle politiche e all’autorità del suo Partito Comunista Cinese (Pcc) al potere», secondo il rapporto. In parole povere, esistono per trasformare i Paesi liberi in alleati.

Chi ha accettato questi viaggi? Una newsletter Cusef (pdf) del 2009 e del 2010 ha mostrato un lungo elenco, inclusi dirigenti senior attuali ed ex, editori, giornalisti e analisti di Cnn, New York Times, Associated Press, Npr, Chicago Tribune, Vox e molti altri principali media.

La Cina sembra contenta dell’investimento (almeno qualche migliaio di dollari a persona). Solo nel 2009, a seguito delle visite, sono stati generati almeno 28 posizionamenti favorevoli sui media. Il Cusef ha orgogliosamente incluso nella sua newsletter un esempio per mostrare i suoi risultati.

Questi viaggi sono continuati. Nel 2019, la stessa società di pubbliche relazioni ha organizzato viaggi in Cina per Vox, Slate, Boston Herald, Boston Globe e Huffington Post.

Dove sta portando tutto ciò?

Molti episodi della storia possono fornire spunti per il futuro. Ad esempio, più di 2000 anni fa, lo Stato di Qin spese 300 mila unità d’oro, più di 2 milioni di euro in termini odierni, per corrompere alti funzionari e persone influenti di sei Stati nemici. Questa strategia permise a Qin di sconfiggere i sei Stati in soli 10 anni, una missione altrimenti impossibile. I re e i funzionari dei sei Stati furono per lo più esiliati o uccisi, mentre il re di Qin, Ying Zheng, divenne il primo imperatore della Cina.

L’America ha costruito muscoli abbastanza forti da resistere a qualsiasi attacco dall’esterno, ma il virus dell’avidità e della corruzione consumerà le persone dall’interno. Fino a quando noi, come individui e imprese, non troveremo i valori morali e la spina dorsale per resistere ai soldi del Pcc, l’America e il mondo saranno estremamente vulnerabili.

 

Ping Yu è scrittrice, traduttrice e ricercatrice per The Epoch Times dal 2007. Si occupa di una varietà di argomenti relativi alla Cina, con una forte attenzione ai diritti umani, all’economia e agli affari.

Le opinioni espresse in quest’articolo sono dell’autrice e non riflettono necessariamente quelle di Epoch Times.

Articolo in inglese: How China Is Shaping American Minds

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