Cala la libertà di stampa nel mondo

David Kilgour, avvocato ed ex magistrato canadese, è stato deputato alla Camera dei Comuni del Canada per 27 anni. Nel governo di Jean Chretien, è stato ministro degli Esteri. 
È autore di numerosi libri e coautore, con l’avvocato canadese per i diritti umani David Matas, dell’inchiesta sulla persecuzione contro i 100 milioni di cinesi praticanti della Falun Dafa Bloody Harvest: The Killing of Falun Gong for Their Organs.

 

L’indipendenza della stampa è fondamentale, per il corretto funzionamento di un governo democratico. Quando ad Albert Speer, ministro per gli armamenti di Hitler, è stato chiesto che lezione avesse tratto dalla Seconda Guerra Mondiale e dalle sue vittime, ha risposto che la catastrofe è stata causata dalla scomparsa, nella Germania degli anni ‘30, della stampa indipendente.

Abramo Lincoln credeva cosi fermamente nei giornali e nel loro ruolo all’interno del dibattito pubblico, che egli stesso ne possedeva uno, quando è stato eletto presidente nel 1860. Nonostante il celebre Primo emendamento americano, che garantisce la libertà di stampa, gli Stati Uniti quest’anno si sono posizionati solo al 45esimo posto su 180, nella classifica sulla libertà di stampa redatta annualmente da Reporter senza frontiere.

Il calo della libertà di stampa è un problema che riguarda il mondo intero, e un recente studio condotto dalla rivista Time sulla situazione nel sud-est asiatico, riassunto di seguito, illustra i tratti generali di questa problematica.
Tutti i dieci membri dell’Associazione delle Nazioni del Sudest Asiatico, lo scorso anno si sono piazzate nell’ultima sezione dell’Indice. Nel 2014, l’esercito della Thailandia (140esima nella classifica di Reporter senza frontiere) ha rovesciato il governo eletto. Le Filippine hanno eletto Rodrigo Duterte, che si è vantato di essere un assassino e ha detto ai giornalisti che anche loro rischiano di fare una brutta fine.

Inoltre sembra che la crescita esponenziale dei social media e degli smartphone abbia creato nuove forme di intimidazione nei confronti dei giornalisti. Matthew Bugher, capo del programma asiatico per Article 19, una Ong che difende la libertà di informazione, ha dichiarato: «L’aumento delle restrizioni all’interno della stampa tradizionale, ha reso i social media uno dei principali mezzi di informazione; perciò i governi stanno implementando metodi per controllare anche questi ultimi».

Recentemente, nel 2016, in Cambogia (142) era presente uno dei migliori giornali del sud-est asiatico, ma poco prima delle elezioni di questa estate il primo ministro Hun Sen ha fatto sciogliere il più grande partito di opposizione e arrestare il suo leader. E inoltre l’ultimo giornale indipendente della nazione è stato venduto a un uomo di affari legato a Sen. La Cambogia ha perciò perso ogni aspetto della democraticità.

In Myanmar (137), quando è stata eletta la vincitrice del Nobel Aung San Suu Kyi, dopo sessant’anni di dittatura, molti speravano che il suo partito avrebbe garantito libertà alla stampa. Ma al contrario sono state arrestate decine di giornalisti. Due reporter di Reuters che stavano indagando sull’uccisione di dieci Rohingya mussulmani hanno trascorso oltre sei mesi in carcere. E il governo di Suu Kyi respinge in maniera piuttosto bizzarra i report della stampa indipendente, classificandoli come ‘fake news’.

A Singapore (151) il monopolio governativo dei mezzi di informazione è praticamente assoluto. Alcuni osservatori dei diritti umani hanno denunciato l’approvazione di norme molto stringenti, inclusa una recente legge anti-terrorismo che consente l’oscuramento dei media, con il preciso scopo di limitare la libertà di espressione. Rachel Chhoa-Howard di Amnesty International ha dichiarato: «Questo porta […] all’auto censura da parte dei giornalisti e dei loro collaboratori, sia online che offline».

Il Vietnam (175), secondo Human Rights Watch, ha arrestato 41 attivisti nel 2017. E tra gli oltre 140 prigionieri politici noti attualmente c’è il celebre attivista Nguyen Ngoc Nhu Quynh, nominato per il premio Nobel per la Pace, e un blogger ambientalista di nome Nguyen Van Hoa.

Il regime di Hanoi ha inoltre svelato di possedere un dipartimento creato appositamente per mettere a tacere le critiche all’interno dei social media.

La classifica riflette la crescente influenza degli ‘uomini forti’ sulla stampa. La Russia di Vladimir Putin (148) sta allargando la sua rete di propaganda per mezzo di organi di stampa come Rt e Sputnik, mentre il leader della Cina (176) Xi Jinping sta tentando addirittura di esportare il suo rigido controllo delle notizie e delle questioni pubbliche. E la loro incessante soppressione del dissenso è vista positivamente da altri dei Paesi che sono in fondo alla classifica, come ad esempio la Turchia (157).

Ma fortunatamente c’è anche qualche buona notizia. La Malesia (145) recentemente ha sperimentato un ‘miracolo democratico’ con la nascita di un nuovo governo. I votanti hanno fatto dimettere il primo ministro, coinvolto in un intricato scandalo di corruzione, e da un giorno all’altro il Paese è diventato una fonte di speranza.

Sebbene il nuovo primo ministro Mahathir Mohamad, già primo ministro tra il 1981 e il 2003, in passato fosse poco tollerante nei confronti della stampa indipendente, la sua nuova amministrazione ha garantito che saranno varate delle riforme. Ha promesso che entro 100 giorni abolirà la prima legge al mondo sulle ‘Fake news’, la quale conferisce al governo il potere di decidere cosa sia vero e cosa falso.

Ma tutto questo non significa che i media indipendenti siano senza macchia. Un’analisi condotta dal Pew Research Center l’anno scorso, mostra risultati contrastanti sulla soddisfazione dell’opinione pubblica nei confronti della stampa, all’interno dei 38 Paesi in cui è stata condotta l’indagine. Quasi tre quarti dei lettori/spettatori sono contrari ai media faziosi e molti li giudicano poco imparziali.

Ad ogni modo Abramo Lincoln e Albert Speer avevano ragione circa il ruolo cruciale svolto dai media indipendenti in un governo democratico degno di questo nome.

Nelson Mandela ha espresso ancora meglio questo concetto nel 1994: «Una stampa critica, indipendente e investigativa è la linfa vitale di ogni democrazia. La stampa deve essere libera dalle interferenze dello Stato […] avere il potere economico per rimanere indifferente davanti alle lusinghe dei funzionari governativi […] non deve dipendere da interessi particolari, in modo da essere audace e priva di paura o favoritismi […] deve godere di protezione costituzionale, cosi che possa tutelare i nostri diritti di cittadini».

 
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