Negli ultimi trenta giorni, l’Iraq è stato teatro di un’escalation silenziosa quanto inquietante: oltre venti attacchi condotti con droni non identificati hanno colpito basi militari, installazioni strategiche, aree civili e infrastrutture distribuite lungo l’intero territorio da nord a sud. Fortunatamente, non si registrano vittime né danni per ora.
Ma a rendere allarmante questa dinamica non è solo la frequenza degli attacchi, quanto il silenzio istituzionale che li circonda. Nonostante la distruzione di componenti radar, i danni significativi alla pista dell’aeroporto di Kirkuk e il ferimento di personale di sicurezza, le autorità irachene non hanno ancora fornito spiegazioni ufficiali né identificato i responsabili. Nelle notti successive, si sono registrati ulteriori attacchi: tra i bersagli, oltre all’aeroporto internazionale di Kirkuk, un edificio residenziale, un campo profughi, un giacimento di gas nel nord del Paese e alcune basi militari nel sud.
Secondo un articolo pubblicato dal quotidiano libanese Al-Akhbar, nelle ultime quattro settimane si sarebbero verificati oltre 22 attacchi con droni in diverse aree dell’Iraq. Gli obiettivi comprendono basi militari, sedi di milizie armate, impianti petroliferi, stazioni radar e aree civili. La maggior parte dei droni impiegati sono di piccole dimensioni, dotati di testate da 3-4 kg e di semplici sistemi di navigazione, circostanza che fa ipotizzare l’assenza di un coinvolgimento diretto da parte di un esercito regolare.
Nonostante i danni provocati, il governo iracheno non ha ancora diffuso informazioni ufficiali sugli autori degli attacchi, ma questa escalation sta esercitando una crescente pressione politica e sul piano della sicurezza, soprattutto perché non si è ancora riusciti a determinare l’origine dei droni, sebbene alcuni sembrino essere stati lanciati da aree interne all’Iraq.
Il parlamentare Ali al-Bandawi, membro della commissione per la sicurezza, ha chiesto l’avvio di una seduta straordinaria già per la prossima settimana, definendo gli attacchi «una grave violazione che lede la sovranità nazionale». Diversi osservatori regionali ipotizzano l’implicazione di attori diversi e perfino in conflitto tra loro: milizie filo-iraniane, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, organizzazioni sunnite, fino ad arrivare a potenze straniere come Stati Uniti e Israele. Secondo tali analisi, l’obiettivo sarebbe quello di lanciare segnali strategici o ridurre l’influenza delle milizie filo-iraniane sul territorio.
Le caratteristiche tecniche dei droni impiegati – piccoli, dotati di testate leggere e sistemi di navigazione rudimentali – suggeriscono l’impiego di mezzi a basso costo ma ad alto potenziale strategico. La loro efficacia sta nella capacità di eludere i sistemi di difesa, colpire con precisione obiettivi mirati e inviare messaggi politici o militari senza lasciare impronte riconoscibili. Secondo fonti di Epoch Israele, potrebbe trattarsi di «un nuovo capitolo di guerre intelligenti», condotte a distanza ma capaci di incidere profondamente sugli equilibri interni.
Nel frattempo, crescono le critiche al sistema di difesa aerea iracheno. Si moltiplicano le richieste di modernizzazione delle difese, attraverso l’acquisto di nuovi sistemi da Russia, Cina o Paesi europei, oltre al rafforzamento dell’intelligence e delle capacità informatiche.
Diversi esperti e commentatori sottolineano le lacune strutturali che rendono lo spazio aereo iracheno permeabile. Anche il commentatore Yassin Aziz ha sottolineato le conseguenze della vulnerabilità attuale: «Stiamo assistendo a una serie di attacchi che attraversano il Paese da nord a sud, passando per le regioni centrali. Identificare i responsabili non è semplice, soprattutto in presenza di violazioni dello spazio aereo e di una limitata capacità dello Stato di proteggere i propri cieli. In queste condizioni, non è possibile prevenire efficacemente minacce alla sicurezza, tra cui quelle che colpiscono obiettivi militari, civili e infrastrutture strategiche».