L’Iran rappresenta davvero un pericolo nucleare?

di Andrew Thornebrooke/Giovanni Donato
21 Giugno 2025 9:42 Aggiornato: 4 Luglio 2025 14:27

L’entità esatta del programma nucleare iraniano e la questione se sia finalizzato allo sviluppo di armi nucleari restano oggetto di un acceso dibattito nella comunità internazionale, anche tra i più stretti alleati di Israele. Questa incertezza deriva in parte dalla segretezza con cui l’Iran ha celato per anni le proprie attività di arricchimento dell’uranio, in parte dall’aiuto militare che Teheran potrebbe ricevere dagli alleati.

Il programma nucleare iraniano ha avuto inizio nel 1957, quando l’allora presidente statunitense americano Eisenhower firmò un accordo civile con il monarca iraniano allora al potere per fornire a Teheran un reattore di ricerca nucleare. Dieci anni dopo, nel 1967, il Reattore di Ricerca di Teheran entrava in funzione, utilizzato per produrre isotopi medici e a fini di ricerca scientifica. Questo fino al 1979, anno in cui la monarchia iraniana del filo-occidentale scià di Persia è stata rovesciata da una rivoluzione islamista. La monarchia aveva promesso di non perseguire lo sviluppo di armi nucleari, ma il nuovo regime islamista dell’ayatollah Khomeini non offriva garanzie simili né dava idea di essere un regime pacifico, anzi: nei decenni seguenti, ha a più riprese dichiarato che Stati Uniti e Israele sono nazioni da cancellare dalla faccia della Terra. Ovvio, quindi, che gli Stati Uniti abbiano subito smesso di dare assistenza al programma nucleare di Teheran, rendendo il reattore iraniano inutilizzabile per diversi anni.

Ma nel 1989, il regime islamico iraniano ha iniziato un programma segreto per lo sviluppo di armi nucleari, acquisendo tecnologie per centrifughe attraverso reti illecite collegate a Pakistan e Corea del Nord. Questo è stato scoperto nel 2002, quando un leader iraniano in esilio ha rivelato l’esistenza di impianti segreti di arricchimento nucleare. In seguito, l’Iran ha accettato di non perseguire la produzione di armi nucleari e di consentire ispezioni regolari da parte degli organismi internazionali nei suoi impianti. Nei 23 anni successivi, Teheran ha sempre negato di voler sviluppare armi nucleari con l’uranio arricchito, sostenendo che il programma di arricchimento sia esclusivamente per scopi civili, pur rivendicando in linea di principio il diritto di poter costruire armi nucleari.

Venendo a oggi, in corrispondenza dell’attacco israeliano all’Iran, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato che esistano prove dello sviluppo di armi nucleari da parte di Teheran, definendo questa una «minaccia» all’esistenza di Israele, e giustificando così il conflitto. Ma i vertici dell’intelligence statunitense, principale alleato di Israele, hanno espresso scetticismo. Il direttore dell’Intelligence nazionale, Tulsi Gabbard, a marzo ha dichiarato in Parlamento che attualmente «l’Iran non sta costruendo un’arma nucleare». Un rapporto dei Servizi americani ha aggiunto che Khamenei potrebbe subire pressioni da fazioni intransigenti del regime per riavviare il programma abbandonato nei primi anni 2000 e che probabilmente utilizzerà le attività di arricchimento ampliate come leva negoziale per rafforzare l’influenza regionale dell’Iran.

IL RAPPORTO DELL’AIEA

Data l’ambiguità della situazione iraniana, quindi, l’attenzione internazionale si è concentrata sull’arricchimento dell’uranio e sul grado di purezza raggiunto. A tal proposito, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, ha riferito all’inizio di quest’anno che l’Iran ha accelerato la produzione di uranio arricchito a livelli vicini a quelli utili per produrre armi. Secondo il rapporto dell’Aiea, l’Iran ha prodotto circa 275 chilogrammi di uranio arricchito al 60%, un livello prossimo al 90% necessario per un’arma nucleare. Questa quantità rappresenta un aumento del 40% rispetto a sei mesi prima. L’Aiea ha poi sottolineato che per produrre una testata nucleare sono necessari circa 42 chilogrammi di uranio, a quel livello di arricchimento, suggerendo che Teheran potrebbe disporre di uranio sufficiente per sei testate nucleari.

L’Aiea a questo punto ha evidenziato che i reattori nucleari moderni richiedono uranio arricchito solo tra il 3% e il 5% per funzionare efficacemente. Tuttavia, vi sono due aspetti da considerare. In primo luogo, alcune delle vecchie strutture nucleari iraniane non sono progettate per utilizzare uranio a bassa purezza. Ad esempio, il reattore iraniano costruito con l’assistenza statunitense, operava originariamente con uranio arricchito al 93%, livello ridotto al 20% negli anni ’90 grazie a modifiche realizzate con l’aiuto dell’Argentina (ma in ogni caso siamo lontani dal 60%). In secondo luogo, i reattori nucleari civili funzionano più efficientemente con uranio a maggiore arricchimento, poiché l’uranio altamente arricchito produce più energia per unità grazie alla maggiore concentrazione dell’isotopo fissile U-235, essenziale per sostenere reazioni a catena.

A complicare ulteriormente la situazione è la gestione iraniana degli accordi nucleari internazionali, in particolare il Piano d’azione congiunto globale, firmato nel 2015 da Iran, Stati Uniti, Unione Europea, Cina, Russia, Francia, Germania e Regno Unito. Questo accordo limitava le attività di arricchimento iraniane al 3,67%. Ma nel 2018, durante il suo primo mandato, Donald Trump ha ritirato unilateralmente gli Stati Uniti dall’accordo, accusando l’Iran di non aver fornito tutte le informazioni richieste sul proprio programma di sviluppo di armi nucleari terminato nei primi anni 2000. In risposta, l’Iran ha cessato di rispettare i limiti di arricchimento previsti, pur rimanendo tecnicamente un firmatario e consentendo, in modo intermittente, ispezioni internazionali.

USO CIVILE O USO MILITARE?

Secondo la Cia, meno del 2% dell’elettricità iraniana proviene attualmente da fonti nucleari, rendendo quindi poco chiaro il motivo per cui Teheran insista a produrre quantità significative di uranio altamente arricchito, al punto di “provocare” il devastante attacco di Israele (e, a onor del vero, erano decenni che il regime di Teheran veniva regolarmente avvertito in tal senso). Come ha ricordato infatti parlando ieri ai giornalisti il presidente Trump, l’Iran «galleggia sul petrolio»: che «bisogno ha di produrre energia nucleare?». Inoltre, il nucleare non è affatto un’energia “pulita”, nonostante la recente tendenza a volerla far passare come tale: certo, una centrale non produce emissioni, ma la gestione delle scorie radioattive è onerosa e costosa. Perché sostenere simili costi invece di usare direttamente il petrolio? E ancora: nell’ipotesi che il regime islamico avesse a cuore l’ambiente potrebbe costruire impianti fotovoltaici a volontà, visto che il 22% del territorio iraniano (quasi 130 mila km quadrati) è desertico.

Ma tornando all’aspetto bellico: oltre a possedere uranio arricchito al 90%, Teheran dovrebbe riuscire anche a miniaturizzare una testata nucleare per montarla su un missile. La miniaturizzazione nucleare implica la creazione di testate sufficientemente piccole da essere montate su missili balistici e lo sviluppo di tecnologie per garantire che l’arma resista alle sollecitazioni del lancio e del rientro atmosferico. Questo processo è altrettanto complesso e costoso dell’arricchimento dell’uranio, e non ci sono prove che l’Iran abbia investito le risorse necessarie per completare la ricerca e lo sviluppo di un’arma del genere. E qui si torna alla dichiarazione resa da Tulsi Gabbard al Parlamento americano: Teheran attualmente non sta sviluppando missili nucleari (però – visto il profondo odio dimostrato dal regime degli ayatollah verso Israele e America – è anche lecito chiedersi: l’Iran i missili nucleari non li sta sviluppando perché non vuole farli, o solo perché ancora non ci è arrivato?).
A complicare ulteriormente il quadro – nell’ottica di una valutazione del reale livello di “pericolosità” del regime di Teheran – si deve anche considerare che l’Iran non ha mai condotto test nucleari. E non è nemmeno chiaro quali dei suoi missili balistici potrebbero essere modificati per montare una testata nucleare. Si sa solo che il candidato più probabile potrebbe essere l’Emad, un missile introdotto nel 2015 con testata conica.

Insomma: sebbene l’Iran abbia compiuto progressi significativi nell’arricchimento dell’uranio, arrivare dal semplice uranio arricchito a un’arma nucleare è un lavoro molto complesso e lungo, che richiede competenze avanzate in fisica nucleare e ingegneria. E l’Iran sembra aver dedicato le proprie competenze nucleari principalmente all’arricchimento di uranio, piuttosto che allo sviluppo di armi. Di conseguenza, sulla base delle informazioni disponibili, risulta improbabile che Teheran possa sviluppare da sola un’arma nucleare nel breve termine. Ma è anche vero che l’Iran ormai è uno Stato sotto il controllo del regime comunista cinese, come questo giornale ha avuto modo di spiegare in un recente articolo: l’Iran, di per sé, sarà anche innocuo dal punto di vista nucleare, ma la Cina non lo è affatto.

 


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