Le vicissitudini del misterioso numero Quaranta

di Redazione ETI/James Sale
9 Ottobre 2025 10:05 Aggiornato: 9 Ottobre 2025 10:05

Alcuni numeri sono circondati da un alone di mistero creatosi nel tempo attraverso le narrazioni che gli uomini fanno su di essi. Il numero 40 è tra quelli che più si distinguono e che si ripresentano con valenza simbolica: innumerevoli volte, nelle Scritture, nella tradizione, nel folklore e persino nella vita moderna, il quaranta segna un periodo di prova, trasformazione e rinnovamento. È il numero dell’attesa, della prova e della transizione. È abbastanza lungo da permetterci di cambiare, ma fortunatamente ha un termine, in modo che gli “eroi” che resistono possano sopravvivere.

La Bibbia è piena di esempi: il diluvio dei tempi di Noè durò quaranta giorni e quaranta notti, spazzando via un mondo corrotto affinché potesse iniziare una nuova alleanza. Mosè digiunò quaranta giorni sul Monte Sinai prima di ricevere la legge di Dio e trascorse altri quaranta giorni per intercedere presso di Lui in seguito al peccato del popolo di Israele. Gli Israeliti vagarono per quarant’anni nel deserto fino a quando una generazione infedele non scomparve e un popolo rinnovato poté entrare nella terra promessa. Quando Elia si trovò al limite delle forze, sul punto di rinunciare, fu rafforzato dal cibo celeste e viaggiò per quaranta giorni e quaranta notti fino al Monte Horeb, il Sinai, dove ricevette un nuovo incarico.

Charles Wilson Peale, Noè e la sua arca, 1819. Il diluvio durò 40 giorni. Pubblico dominio/Wikimedia Commons

Questo motivo lo si ritrova anche nel Nuovo Testamento: anche Gesù digiunò per quaranta giorni nel deserto, resistendo alle tentazioni e preparandosi per il ministero a cui era chiamato. Dopo la resurrezione, prima di ascendere al cielo, apparve ai suoi discepoli per quaranta giorni, insegnando loro e affidandogli la missione per il futuro. In ogni caso, il numero quaranta è il ponte tra uno stato e un altro: tra corruzione e alleanza, disperazione e vocazione, tentazione e trionfo, resurrezione e missione. È, se volete, uno spazio liminale, un tempo di transizione, che conduce a qualcosa di completamente nuovo e inaspettato.

Ma perché quaranta? La risposta è insieme pratica e simbolica. È quattro volte dieci, è il numero della pienezza terrena (quattro direzioni, quattro venti, quattro angoli della terra) moltiplicato per il numero della legge e dell’ordine – i Dieci Comandamenti. Sopportare quaranta giorni significa sottoporsi alla piena misura della prova all’interno dell’ordine creato, sotto la supervisione divina. Nella Bibbia, anche la punizione è temperata da questa logica: il numero massimo di frustate consentite dalla legge mosaica era quaranta, un giudizio limitato dalla misericordia. Nel giudaismo, il bagno rituale di purificazione deve contenere almeno quaranta se’ah (un’unità di misura) d’acqua. Secondo la tradizione rabbinica i quaranta giorni segnano il momento in cui un embrione diventa una vita formata.

Anche nel mondo secolare ne permangono gli echi. La stessa parola “quarantena” deriva dall’italiano “quaranta giorni”, periodo di tempo durante il quale le navi dovevano rimanere isolate in caso di epidemie di peste prima di essere riammesse nel porto. Una gravidanza umana, dal concepimento alla nascita, dura circa quaranta settimane; è il periodo naturale di crescita nascosta prima che inizi una nuova vita. Molte culture osservano quaranta giorni di riposo post-parto (talvolta noto come “mese d’oro”), riconoscendo la necessità di recupero del corpo e il bisogno di legame della famiglia. Ancora una volta, quindi, il quaranta appare come il numero della prova, della purificazione e del passaggio. È il periodo che mette alla prova la nostra preparazione per ciò che verrà dopo. È abbastanza lungo da spogliarci delle illusioni, ma non infinito: il numero quaranta promette che il rinnovamento è possibile.

Il simbolismo del quaranta non si esaurisce nel regno della fede e delle antiche usanze. Permea ancora la nostra vita quotidiana, a volte in modi che difficilmente notiamo.

Si pensi al folklore e alla famosa fiaba di Alì Babà e i quaranta ladroni. Perché quaranta? Perché il numero evoca moltitudine e minaccia, una prova di coraggio e astuzia: Alì Babà non si trova ad affrontare una manciata di furfanti, ma tutto il peso del pericolo, concentrato nell’archetipico quaranta. Il numero qui non segnala solo una sfida, ma una prova che richiede intraprendenza e resistenza.

Nel nostro linguaggio comune, “la vita inizia a quaranta anni” è diventato un proverbio culturale. Il detto riconosce i quarant’anni come un punto di svolta, un momento in cui l’energia giovanile lascia il posto all’esperienza della maturità. Gli antichi consideravano i quarant’anni come un periodo di prova prima del rinnovamento; il nostro detto moderno riconosce lo stesso concetto: a quarant’anni si è pronti per un nuovo capitolo, essendo più equilibrati e resilienti.

Scrittori e statisti hanno giocato con questo simbolismo. A Winston Churchill viene spesso attribuita l’ironica osservazione: «Se a vent’anni non sei liberale, non hai cuore. Se a quarant’anni non sei conservatore, non hai cervello». La frase, che sia autentica o apocrifa, gioca sull’associazione culturale dei quarant’anni con la maturità e il discernimento.

Allo stesso modo, Bob Hope ha scherzato dicendo: «Ha detto che si stava avvicinando ai quarant’anni e non ho potuto fare a meno di chiedermi da quale direzione». Victor Hugo ha osservato: «I quarant’anni sono la vecchiaia della giovinezza; i cinquant’anni sono la giovinezza della vecchiaia». E Mae West, con la sua consueta arguzia, dichiarò: «Un uomo ha più carattere sul volto a quarant’anni che a vent’anni: ha sofferto più a lungo». Ognuna di queste osservazioni rivela la stessa intuizione: i quarant’anni segnano il passaggio dalla fase di prova a un’identità consolidata.

Albert Robidat, 1945, Alì Babà e i quaranta ladroni. Pubblico dominio.

Anche la scienza e l’industria riflettono questo tema. Uno dei prodotti per la casa più famosi del XX secolo, il WD-40, porta questo numero nel suo nome. Perché? Perché fu il quarantesimo tentativo dell’inventore Iver Norman Lawson di trovare la formula giusta per impedire infiltrazioni di umidità. Il successo arrivò solo dopo innumerevoli tentativi: una perfetta parabola moderna dell’associazione dei quarant’anni con la perseveranza e la svolta.

Anche nella Storia esistono testimonianze. Dopo la Guerra civile americana, il generale Sherman promise di ridistribuire la terra agli schiavi liberati, assegnando loro «quaranta acri e un mulo». Sebbene la promessa rimase in gran parte inadempiuta, la frase rimase impressa nella memoria e fu poi immortalata dal regista Spike Lee nel nome della sua casa di produzione. Ancora una volta, il 40 appare come un numero che simboleggia la speranza, la giustizia e la possibilità di un nuovo inizio dopo prove e schiavitù.

Il fatto che questi motivi riaffiorino in contesti così diversi – religione, folklore, letteratura, invenzioni, politica e cultura popolare – fa capire come il quaranta sia rimasto impresso nell’immaginario umano come un numero “soglia”. È abbastanza lungo da mettere alla prova, ma abbastanza limitato da lasciare speranza: parla di pazienza, di resilienza e della possibilità di trasformazione.

E non si tratta solo di un simbolo. Alcuni psicologi e life coach odierni (anche se esistono altre teorie) osservano che quaranta giorni sono un periodo efficace per cambiare abitudini, formare nuove discipline o rompere dipendenze. La moderna “disintossicazione digitale” spesso segue un modello di quaranta giorni: abbastanza lungo per ripristinare  i percorsi neurali, abbastanza breve da essere praticabile. In questo modo, l’intuizione antica e la scienza moderna convergono.

In definitiva, il numero 40 ci assicura che le nostre prove non sono infinite. Segna il punto in cui le difficoltà lasciano il posto alla crescita e le prove diventano trasformazione. Che sia nelle Scritture, nel folklore o nel parlare familiare del nostro linguaggio quotidiano, il numero quaranta sussurra la stessa verità: che la strada delle prove, sebbene impegnativa, non è infinita ma finita, e da lì conduce al rinnovamento.