Come reagiscono ai dazi i marchi di lusso europei

di redazione eti/Panos Mourdoukoutas
1 Agosto 2025 17:50 Aggiornato: 1 Agosto 2025 20:57

L’intesa commerciale tra Unione Europea e Stati Uniti, siglata il 27 luglio, ha scongiurato il pericolo di pesanti dazi americani sui prodotti di lusso europei, ma le imposizioni restano comunque elevate. Di fronte a un calo delle vendite, i grandi marchi del settore puntano su ritocchi mirati dei prezzi.
L’accordo Usa-Ue prevede un dazio del 15% sulla maggior parte dei beni importati dall’Europa, automobili incluse: la metà rispetto al 30% prospettato da Trump in una lettera del 12 luglio indirizzata al presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Kering, che controlla marchi come Gucci e Saint Laurent, ha accolto con favore la chiarezza dell’intesa. Armelle Poulou, responsabile finanziario del gruppo, durante la presentazione dei risultati del secondo trimestre il 29 luglio, ha dichiarato: «Il dazio del 15% è in linea con le nostre previsioni, e lo gestiremo con aggiustamenti mirati dei listini».

Dal 2 aprile, quando Trump ha introdotto dazi reciproci verso tutti i Paesi, le aziende internazionali hanno reagito assorbendo i costi, aumentando i prezzi o valutando il trasferimento della produzione negli Stati Uniti. I marchi europei del lusso, che dal 2019 hanno già alzato sensibilmente i listini, hanno però visto un rallentamento delle vendite, soprattutto nei mercati come Stati Uniti e Cina. Un’analisi congiunta di Houlihan Lokey e Bank of America, pubblicata il 23 giugno, rivela che tra il 2019 e il 2024 gli aumenti di prezzo hanno rappresentato il 60% della crescita del settore, mentre i volumi di vendita sono diminuiti di quasi il 10%. «Tra il 2022 e il 2023, marchi come Chanel, Dior, Louis Vuitton e Rolex hanno guidato un forte rialzo dei prezzi», si legge nello studio. «Dal 2024, però, i ricavi complessivi sono calati, con volumi stabili o in leggero calo rispetto al periodo pre-Covid».

Gli Stati Uniti si confermano il principale mercato mondiale per i beni di lusso, nonostante un rallentamento. Secondo gli analisti, una rinnovata fiducia dei consumatori potrebbe favorire una crescita moderata nei prossimi mesi. In Cina, secondo mercato mondiale, l’instabilità economica continua a frenare i consumi, rendendo i clienti più selettivi, come ha osservato il vice amministratore delegato di Kering, Francesca Bellettini. Nel secondo trimestre, Kering ha registrato ricavi per 3 miliardi 700 milioni di euro, in calo del 18% rispetto allo stesso periodo del 2024. Nei primi sei mesi dell’anno, il fatturato è sceso del 16%, trascinato dal crollo del 25% di Gucci. Le vendite sono diminuite del 10% in Nord America e del 19% nella regione Asia-Pacifico. Armelle Poulou ha definito il dazio del 15% «gestibile» grazie a ritocchi dei prezzi già applicati da alcuni marchi nel secondo trimestre, sia a livello mondiale che negli Stati Uniti. «Con le nuove collezioni autunnali, prevediamo ulteriori aumenti, ma procederemo con cautela per non penalizzare le vendite», ha aggiunto.

Gli esperti ritengono che i marchi di lusso, grazie a margini elevati, possano assorbire meglio i dazi, come è ovvio. Un aumento del 15% su un articolo da 4 mila dollari avrà un impatto limitato sui consumatori più abbienti. I clienti più sensibili ai prezzi, invece, potrebbero penalizzare i marchi esposti alla fascia di mercato medio-alta. Lvmh, che ha registrato un calo del 4% nei ricavi del primo semestre a causa delle difficoltà nelle divisioni vini, liquori e moda, ritiene che i dazi avranno un effetto contenuto. Il direttore finanziario del gruppo, Cécile Cabanis, ha spiegato: «Le vendite in Europa e Stati Uniti sono rimaste stabili, mentre in Asia sono calate a causa della crisi cinese, un trend prevedibile». Pur valutando moderati aumenti nei settori moda e pelletteria, la Cabanis ha avvertito che un’eccessiva pressione sui listini potrebbe erodere i margini.

I marchi di lusso potrebbero adottare strategie diversificate: assorbire inizialmente parte dei costi per non scoraggiare i consumatori, per poi trasferire gli aumenti sui prezzi gradualmente nel tempo. Spostare la produzione negli Stati Uniti appare improbabile per la mancanza di manodopera qualificata, soprattutto per lavorazioni complesse, ma alcune aziende potrebbero trasferivi segmenti produttivi, come l’assemblaggio o la finitura di prodotti sensibili ai dazi. Lvmh, ad esempio, ha già incrementato la produzione locale negli Stati Uniti per Louis Vuitton e pianifica di espanderla per ottimizzare la catena di approvvigionamento. Anche marchi di lusso di massa, come Gucci e Prada, potrebbero aumentare la produzione negli Stati Uniti per le linee di fascia bassa, mentre le case di ultra-lusso manterrebbero la produzione principale in Europa.


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