Chi succederebbe a Khamenei se venisse eliminato?

di Redazione ETI
24 Giugno 2025 14:53 Aggiornato: 4 Luglio 2025 14:27

L’Iran ha rivolto un monito all’Occidente contro qualsiasi tentativo di eliminare la Guida Suprema Ali Khamenei. Un alto funzionario iraniano ha dichiarato ieri a Reuters che un’azione mirata contro Khamenei «chiuderebbe ogni possibilità di accordo o negoziato […] Per Teheran, un simile atto supererebbe ogni limite, giustificando una risposta senza limiti».

L’avvertimento giunge dopo il recente attacco statunitense a tre siti nucleari iraniani. Teheran sembra aver scelto questo momento per lanciare una minaccia implicita, ma chiara, su un possibile attentato alla vita di Khamenei, delineando una “linea rossa” da non oltrepassare. Secondo fonti israeliane, si tratterebbe di un semplice deterrente: il regime degli ayatollah, consapevole delle tensioni interne e del timore per la stabilità del regime, teme che l’eliminazione di Khamenei possa essere discussa nei circoli di sicurezza di Stati Uniti e Israele.

Si deve tenere conto del fatto che Alì Khamenei non sia solo un leader politico, ma una figura quasi messianica nella struttura di potere iraniana; per cui, un attacco contro di lui verrebbe percepito come un’aggressione all’identità stessa della Repubblica Islamica, legittimando una reazione su più fronti, ossia una raffica di attacchi regionali tramite Hezbollah, milizie in Iraq e Houthi in Yemen, oltre a rappresaglie dirette contro l’eventuale autore dell’eliminazione fisica del vecchio ayatollah. Ma questo avvertimento potrebbe anche preparare il terreno per un’escalation preventiva, e servire quindi a giustificare in anticipo una risposta dura in caso di nuovi attacchi a infrastrutture strategiche o tentativi di eliminare altri elementi di spicco del regime iraniano.

Ma, a un terzo livello di lettura, l’aver parlato apertamente di un possibile attentato a Khamenei rivela anche un livello di preoccupazione inedito nel regime iraniano, i cui capi sembrano temere che operazioni segrete (già in atto?) capaci colpire il cuore del potere politico-religioso. Il recente bombardamento dei siti nucleari, pur non avendo causato danni irreparabili, segna una rottura con la cautela mostrata in passato, specialmente da Washington, indicando una nuova disponibilità americana ad azioni strategiche, non solo reattive.
L’espediente retorico di una “risposta senza restrizioni” punta inoltre a rafforzare il fronte interno, consolidando il sostegno di opinione pubblica ed élite, in un contesto di possibili divisioni interne tra riformisti e conservatori, oppure, potrebbe servire a preparare i cittadini a un periodo di crescente tensione, in cui la vita stessa di Khamenei potrebbe essere a rischio, rafforzandone l’immagine di simbolo “sacro e unificante” della nazione.

LA QUESTIONE DELLA SUCCESSIONE

Il 21 giugno, l’agenzia iraniana Sabrin News, legata alle milizie filo-iraniane in Iraq, ha smentito ufficialmente che Khamenei abbia nominato un successore, rispondendo a indiscrezioni pubblicate dal New York Times. Secondo il quotidiano americano, l’86enne Guida Suprema avrebbe chiesto all’Assemblea dei probiviri di selezionare rapidamente un successore tra tre candidati da lui indicati, escludendo il figlio Mojtaba Khamenei. Tre alti funzionari iraniani hanno riferito che Khamenei intende garantire una transizione ordinata per preservare la sua eredità: avrebbe infatti indicato anche possibili comandanti militari, ma sono informazioni non per ora ulteriormente verificabili.

Fonti dell’opposizione iraniana indicano diversi candidati alla successione in caso di eliminazione di Khamenei e di suo figlio Mojtaba per mano di Israele o  degli Stati Uniti: l’ayatollah Ali Reza Arapi, vicepresidente dell’Assemblea degli Esperti e membro del Consiglio dei Guardiani della Costituzione; l’ayatollah Hashem Husseini Bushari, primo vice del Consiglio dei probiviri e capo del seminario di Qom; Tsadiq Larijani, ex presidente della Corte Suprema e vicino a Khamenei; Mohsen Qomi, membro dell’Assemblea dei probiviri; Mohsen Esmaili, del Consiglio dei Guardiani; e Muhammad Mehdi Mirbargari, anche lui membro dell’Assemblea dei probiviri.

La scelta del successore è un processo formalmente religioso ma essenzialmente politico, gestito dall’Assemblea dei probiviri, composta da 88 membri, anche se in realtà, la decisione è influenzata dalle Guardie Rivoluzionarie, dal Consiglio dei Guardiani e da pressioni interne e militari. Secondo fonti interne agli apparati di sicurezza israeliani, Khamenei, convinto che Stati Uniti e Israele stiano pianificando la sua eliminazione, si troverebbe nascosto in un luogo segreto a Teheran, mentre il figlio Mojtaba sarebbe in un altro sito protetto per evitare un attacco congiunto che li possa eliminare in un colpo solo.

Mojtaba Khamenei, legato alle Guardie Rivoluzionarie e influente negli ambienti governativi e militari, è considerato un candidato naturale alla successione. Teheran, tuttavia, nega ogni discussione sul tema, evidentemente ritenendo che tali voci indeboliscano il regime agli occhi dell’opinione pubblica. L’ayatollah  Khamenei – l’erede di Khomeini – nonostante le cocenti umiliazioni che il suo regime sta subendo nelle ultime due settimane, per ora intende continuare proiettare un’immagine di forza e di determinazione nella lotta contro gli odiati Israele e Stati Uniti, ostentando noncuranza nei confronti della morte.


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