l principale leader spirituale della comunità drusa in Siria, lo sceicco Hikmat al-Hajri, continua a mantenere una linea forte e determinata contro il regime di Damasco. In una dichiarazione video pubblicata ieri, al-Hajri ha chiesto un intervento esterno per proteggere i drusi dalle forze del regime. Questa dichiarazione è stata rilasciata poco dopo essersi pubblicamente opposto all’accordo di tregua che, a suo dire, era stato imposto ai drusi sotto la pressione del governo di Damasco e di Paesi stranieri non meglio specificati. Al-Hajri ha inoltre respinto i tentativi del regime di riportare le istituzioni statali e di sicurezza nella provincia e ha continuato a ricoprire la posizione di convinto sostenitore dei gruppi ribelli locali.
Al-Hajri è nato in Venezuela nel 1965 ed è tornato in Siria con la sua famiglia da giovane. Dopo la laurea in giurisprudenza all’Università di Damasco, è tornato brevemente in Venezuela, per poi tornare definitivamente in Siria nel 1998. Nel 2012, in seguito alla morte improvvisa del fratello in un incidente stradale – che si sospetta sia stato un tentativo di assassinio da parte del regime – ha ereditato la carica di “Sheikh al-Aql” ovvero di guida spirituale suprema della comunità drusa, una carica che si tramanda nella sua famiglia da generazioni. Una nomina accompagnata da una frattura interna, poiché altri due leader spirituali – Hamud al-Hanawi e Yusuf al-Jarbua – erano già attivi e la comunità drusa era divisa tra tre leadership parallele. Con lo scoppio della guerra civile nel 2011, al-Hajri aveva inizialmente assunto una posizione ondivaga: nonostante i suoi legami con Bashar al-Assad, si asteneva dall’esprimergli un sostegno diretto. Fino al 2013, quando aveva iniziato a sostenere apertamente l’esercito siriano, arrivando persino a definire Assad un «simbolo nazionale». Nel 2015, aveva invitato il governo ad armare gli abitanti di Sweida di fronte alle minacce dirette contro di loro, e chiedeva persino un’azione decisa contro il “Movimento del Popolo d’Onore” druso, dopo l’assassinio del suo fondatore, Waid al-Balaous.
Nel 2018, lo sceicco Hikmat al-Hajri ha poi incoraggiato i giovani drusi ad arruolarsi nell’esercito siriano, mantenendo una linea relativamente leale nei confronti del regime fino al 2021, quando i suoi rapporti con il regime si sono deteriorati in seguito a uno scontro pubblico con un alto ufficiale dell’intelligence siriana. La protesta scoppiata in seguito allo scontro ha segnato una svolta: da allora si è gradualmente sviluppata una frattura tra al-Hajri e il regime, sebbene lo sceicco abbia mantenuto un canale di comunicazione con lo stesso Assad. Alla fine del 2021, al-Hajri accusava il regime di essere direttamente responsabile della povertà e del caos in Siria. Nel 2022, ha chiesto una mobilitazione generale contro le forze del regime in città, diventando una figura chiave nella guida della protesta popolare, che ha visto un’escalation nel 2023.
Dopo la caduta del regime di Assad nel dicembre 2024, al-Hajri inizialmente ha adottato un approccio moderato nei confronti del governo di transizione guidato da Abu Muhammad al-Julani, dichiarandosi disponibile a una cooperazione amministrativa temporanea e sottolineando la vicinanza delle sue posizioni alla nuova leadership. Ma nel giro di pochi mesi ha cambiato direzione, accusando il nuovo governo di «estremismo» e chiedendo che il suo popolo sia portato di fronte alla giustizia internazionale. Lo scorso marzo, Al-Hajri ha dichiarato che i drusi si trovano all’ultima spiaggia, si è opposto alla nuova costituzione e ha chiesto l’istituzione di un regime democratico-partecipativo. Ha poi chiarito di non avere alcuna intenzione di disarmare le fazioni locali e, in un’intervista al Washington Post, ha persino sottolineato che per lui «Israele non è il nemico».
Lo sceicco Hikmat al-Hajri è insomma una figura unica nella realtà siriana del dopo-Assad: un leader religioso che ha abbandonato la lealtà al vecchio regime, ha espresso riserve rispetto alla nuova amministrazione e ha pubblicamente chiesto l’internazionalizzazione della questione meridionale, cioè una supervisione da parte di forze internazionali sulla sicurezza nella Siria meridionale, unendosi al contempo alle proteste locali.