Trionfo del cuore, Film sul sacrificio di padre Maximilian Kolbe

di Redazione ETI/Joe Bendel
17 Settembre 2025 21:21 Aggiornato: 17 Settembre 2025 21:21

Nonostante l’errata convinzione diffusa, il partito nazionalsocialista (nazista) era più pagano che cristiano. Il suo obiettivo era dominare e corrompere il Cristianesimo, non certo di promuoverlo: questa è la ragione per cui il regime giustiziò un gran numero di ecclesiastici, e in particolare il pastore luterano tedesco Dietrich Bonhoeffer e il sacerdote cattolico polacco Maximilian Kolbe.

Per questo, e molto giustamente, nel 1982 Papa Giovanni Paolo II decise di canonizzare padre Kolbe, fervente oppositore del comunismo. Testimoniando lo spirito del passo biblico di Giovanni 15:13, padre Kolbe sacrificò se stesso affinché un altro prigioniero potesse vivere. E la dignità con cui il sacerdote affrontò il proprio destino ispirò molti altri prigionieri a trovare la forza di continuare a vivere. In Triumph of the Heart (Trionfo del cuore), il regista e sceneggiatore Anthony D’Ambrosio ripercorre con intensità espressiva gli ultimi giorni del francescano martirizzato.

Padre Kolbe (interpretato da Marcin Kwasny) era un missionario che sosteneva con determinazione l’indipendenza della Polonia ed era conosciuto per la sua attività di editore prolifico e conduttore radiofonico. Offrì rifugio nel suo monastero di Niepokalanów a numerosi profughi di guerra polacchi, compresi molti ebrei. Ma, per il regime nazista, la sua reputazione di uomo giusto rappresentava una minaccia: imprigionato una prima volta e liberato dopo tre mesi, nel 1941 fu arrestato definitivamente e deportato ad Auschwitz.

In seguito alla fuga di uno dei prigionieri dal campo di concentramento, il brutale comandante delle SS Karl Fritzsch per rappresaglia condannò a morte per fame e sete dieci prigionieri. Franciszek Gajowniczek era il decimo prigioniero condannato, ma padre Kolbe si offrì volontario al suo posto: Gajowniczek sopravvisse potendo così testimoniare il sacrificio che lo aveva salvato.

Trionfo del cuore è, per definizione, un’agiografia, ovvero un racconto che narra la vita di un santo – ma raccoglie anche testimonianze, scritti, rappresentazioni iconografiche e oggetti riguardanti la figura santificata. Il titolo di questo film richiama ironicamente e contraddice implicitamente il film di propaganda nazista di Leni Riefenstahl, Il trionfo della volontà.
Naturalmente, il pubblico sa di non doversi aspettare un finale a sorpresa: purtroppo il film termina, inevitabilmente, con il martirio di Kolbe. Tuttavia, D’Ambrosio riesce a mantenere la tensione a un alto livello, descrivendo come ogni giorno di prigionia Kolbe e i suoi compagni sopravvivano con dignità o muoiano con la loro umanità intatta, manifestando così, secondo le parole di Giovanni Paolo II: «la vittoria morale sulla morte».

Il metodo di esecuzione nazista era stato scelto deliberatamente col preciso intento di disumanizzare le vittime: Fritzsch intendeva fare di padre Kolbe un esempio demoralizzante. Ma la fede incrollabile del padre missionario e i legami di fratellanza che strinse con gli altri nove condannati ebbero l’effetto opposto: il futuro santo ispirò gli altri prigionieri a mantenere la fede, minando al contempo l’autorità del comandante attraverso le loro voci unite in un canto corale.

D’Ambrosio ambienta lunghi passaggi del film all’interno della cella spoglia – il bunker della fame – in cui era rinchiuso Kolbe, creando un senso di confinamento claustrofobico. Grazie al sapiente uso della fotografia, di Andrew Q. Holzschuh, che sfrutta la scarsa illuminazione consentita dalle finestre incassate e con le sbarre, viene creato ripetutamente un effetto di chiaroscuro degno dei grandi pittori del passato. Nelle sequenze in effetti si può spesso riconoscere l’influenza della grande arte sacra, in particolare nell’iconografia della Pietà che viene spesso evocata nelle scene in cui padre Kolbe conforta i suoi compatrioti morenti.

Trionfo del cuore è una delle rappresentazioni più brutali e terrificanti dell’Olocausto mai realizzate in un film, aspetto che risulta evidente nonostante vengano mostrate solo sporadicamente scene di sangue o di violenza esplicite. Tuttavia, gli spettatori più sensibili dovrebbero prepararsi ad assistere ad alcune sequenze di pestaggi improvvisi e selvaggi: D’Ambrosio, i suoi collaboratori e gli artisti costringono il pubblico a confrontarsi costantemente con la crudeltà della privazione di cibo e acqua come metodo di esecuzione ed eliminazione.

Interpretare il ruolo di un santo è piuttosto difficile, ma Marcin Kwasny trova il modo di esprimere sia l’umanità tormentata di padre Kolbe che la sua elevata virtù, riesce a far emergere la modestia del sacerdote, pur mantenendo un tono ispiratore nei momenti più significativi nel rappresentare l’eredità lasciata da padre Kolbe.

Al contrario, Christopher Sherwood risulta particolarmente sinistro nel ruolo del malvagio SS-Hauptsturmfuhrer Fritzsch, dimostrandosi sempre più meschino man mano che il suo proposito di umiliare Kolbe gli si ritorce contro. Dà vita a un personaggio mostruoso, ma in una dimensione molto umana.

Busto di Padre Kolbe nel parco Henryk Jordan a Cracovia. CC0

Nonostante padre Kolbe sia stato e resti innegabilmente cattolico, il film di D’Ambrosio potrà essere apprezzato anche da un vasto pubblico di diverse fedi religiose. Nella storia è rappresentata scrupolosamente ogni vittima del genocidio nazionalsocialista rinchiusa in quella fatidica cella. Gli altri nove condannati accetteranno il consiglio e il conforto di Kolbe e tra i primi a farlo, in modo non liturgico, è un ebreo di nome Hercel.

D’Ambrosio inserisce diversi elementi simbolici – che fanno spesso riferimento alla Vergine Maria – ma il film resta comunque facilmente accessibile anche a chi ha una limitata conoscenza della teologia cristiana. Tuttavia, alcuni vaghi flashback alla Terrence Malick tendono a essere un po’ confusi, almeno fino a quando gli spettatori non si abituano al suo stile.

Il film racconta una storia potente attraverso una forma intimistica devastante. Personalizza l’immane tragedia di Auschwitz celebrando la possibilità della fede e del sacrificio, anche nei momenti più bui della Storia. Altamente raccomandato per persone di tutte le fedi.

Triumph of the Heart
Regista: Anthony D’Ambrosio
Con Marcin Kwasny, Christopher Sherwood, Rowan Polonski,
Armand Procacci, Jakub Kalinowski