Statale di Milano: studio internazionale rivela la genetica del “long Covid”

di Agenzia Nova
5 Giugno 2025 16:59 Aggiornato: 5 Giugno 2025 16:59

Un ampio studio genetico internazionale, pubblicato sulla rivista Nature Genetics, ha identificato nuove varianti genetiche associate al rischio di sviluppare il “long Covid”, una condizione debilitante che colpisce milioni di persone nel mondo anche mesi dopo la guarigione dall’infezione acuta da SARS-CoV-2, caratterizzata da sintomi come stanchezza cronica, difficoltà cognitive e respiratorie e dolore muscolare.

Questo importante risultato è il frutto di un’eccezionale collaborazione scientifica a livello globale, che ha coinvolto 24 istituti di ricerca e ospedali internazionali, in 16 nazioni in tutto il mondo. Il progetto è stato guidato dall’Institute for molecular medicine Finland (Fimm) di Helsinki e dal prestigioso Karolinska Institutet (Stoccolma, Svezia). L’Italia ha dato un contributo significativo grazie alla partecipazione della Fondazione Covid-19 genomic study, della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano e Gen-Covid, un consorzio formato da più di 40 ospedali italiani, guidato dalla Prof.ssa Alessandra Renieri dell’Università degli Studi di Siena e Azienda ospedaliero-universitaria Senese, con il cofinanziamento di Pnrr The -Tuscany health ecosystem spoke n 7 e Bando di ricerca Covid-19 Regione Toscana. In particolare, i dati dei due studi sono stati analizzati grazie alla collaborazione rispettivamente del Prof. Luca Valenti, dell’Università degli Studi di Milano, e delle ricercatrici Francesca Colombo e Francesca Minnai dell’Istituto di tecnologie biomediche del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Itb).

Lo studio di associazione sull’intero genoma (Gwas), che ha analizzato i dati genetici di 6.450 pazienti con “long Covid” e oltre un milione di individui senza questa sintomatologia, come controlli, ha individuato un locus genetico, ovvero uno specifico punto nel genoma, sul cromosoma 6, in prossimità del gene Foxp4, già noto in letteratura per il suo ruolo nelle infezioni respiratorie e nella risposta immunitaria. Questo risultato è stato validato su altri 9.500 pazienti e oltre 700mila controlli. Questo locus risulta essere positivamente associato alla predisposizione a sviluppare sintomi caratteristici del “long Covid”, con un rischio di sviluppare tale patologia aumentato di quasi il 60 per cento nei soggetti che hanno nel proprio Dna la variante genetica identificata nello studio. “La ricerca fornisce un’evidenza concreta di come la genetica individuale possa influenzare la suscettibilità al “long Covid” affermano dal team. «Questo permetterà di identificare le persone a rischio, ma non solo, sarà anche utile per migliorare la pratica clinica nella cura di questa sintomatologia».

Il “long Covid” rappresenta una sfida crescente per i sistemi sanitari. Secondo l’Oms, circa il 10-20%  delle persone infette da Covid-19 sviluppa sintomi a lungo termine. Finora le cause alla base della condizione erano in gran parte sconosciute; questa ricerca fornisce un primo significativo passo avanti verso la comprensione e il trattamento del fenomeno. Questo studio, infine, rappresenta un ottimo esempio di come la collaborazione internazionale sia essenziale per ottenere risultati solidi e di grande rilevanza per la salute dei pazienti, soprattutto in studi genetici di questo tipo, che sono fondamentali per identificare fattori di rischio individuale ad alcune patologie complesse e per comprenderne i meccanismi molecolari che ne stanno alla base ma molto spesso non sono noti.


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