Nell’ultima giornata del vertice Nato, i membri dell’Alleanza Atlantica, come preannunciato, hanno approvato l’obiettivo di spesa per la difesa pari al 5% del Pil entro il 2035 chiesto da Trump poco dopo il suo ritorno alla Casa Bianca in gennaio. Tutti i Paesi membri saranno chiamati a destinare il 3,5% del proprio Pil alla difesa di base – che riguarda militari, armamenti ed equipaggiamenti – più un ulteriore 1,5% del Pil, che sarà riservato a infrastrutture legate alla difesa e alla sicurezza, come l’adeguamento di strade, ponti e porti per uso militare, la protezione delle risorse digitali, la sicurezza delle condutture energetiche e dei cavi sottomarini.
Il Segretario generale della Nato, Mark Rutte, ha definito il nuovo obiettivo «un salto quantico» per la difesa dei Paesi aggiungendo: «i membri hanno concordato di potenziare le nostre industrie della difesa, un passo che non solo rafforzerà la nostra sicurezza, ma creerà anche posti di lavoro. Abbiamo inoltre ribadito il nostro sostegno incrollabile all’Ucraina». Tutto questo, secondo Rutte, «significa che, qualunque siano le sfide – dalla Russia al terrorismo, dagli attacchi informatici al sabotaggio o alla competizione strategica – questa alleanza è e resterà pronta, determinata e capace di difendere ogni centimetro del territorio alleato».
Martedì, Rutte, intervenendo a un forum sull’industria della difesa durante il vertice, ha emblematicamente ripetuto lo stesso detto latino che Giorgia Meloni aveva citato rivolgendosi al Parlamento il giorno prima: «Si vis pacem, para bellum» (se vuoi la pace, preparati alla guerra).
L’accordo sul 5% segna la conclusione di una battaglia di cinque mesi combattuta dal presidente statunitense, volta a spingere i membri europei e il Canada ad assumersi le proprie responsabilità rispetto alla difesa dei propri territori. Rutte, nel corso dell’incontro dell’Aia ha d’altra parte riconosciuto che «per troppo tempo, un solo alleato, gli Stati Uniti, ha sostenuto un peso eccessivo di questo impegno». La posizione della Spagna, che in precedenza aveva chiesto un’esenzione, era già stata chiarita ieri da Rutte, che aveva ribadito l’assenza di deroghe.
Un tema centrale del vertice è stato naturalmente l’Ucraina. Al vertice Nato di Washington del luglio 2024, le nazioni della Nato avevano dichiarato: «il futuro dell’Ucraina è nella Nato», ma questa promessa a dir poco ambiziosa è stata omessa dal comunicato finale di quest’anno, che si limita a ribadire: «gli alleati confermano il loro impegno sovrano e duraturo a fornire supporto all’Ucraina, la cui sicurezza contribuisce alla nostra».
Dopo il suo insediamento alla Casa Bianca a gennaio, Trump ha cercato di aprire un dialogo con Vladimir Putin, ma, a parte uno scambio di prigionieri di guerra il mese scorso, i colloqui tra Stati Uniti e Russia non hanno prodotto risultati significativi. Mercoledì, Trump ha annunciato che avrebbe incontrato il presidente ucraino Zelensky al vertice, aggiungendo: «Parleremo dell’ovvio. Discuteremo delle sue difficoltà». Ieri Zelensky, rivolgendosi ai membri della Nato aveva affermato: «Non c’è dubbio che dobbiamo fermare Putin ora in Ucraina, ma dobbiamo capire che i suoi obiettivi vanno oltre l’Ucraina». Sempre martedì, Rutte aveva definito la Russia «la minaccia più immediata e a lungo termine», aggiungendo però che «anche la Cina si sta riorganizzando» e sottolineando come i regimi cinese, nordcoreano e iraniano stiano di fatto tenendo in piedi la guerra di invasione della Russia ai danni dell’Ucraina.
Rispetto all’Ucraina, la voce fuori dal coro è stata il primo ministro ungherese: Viktor Orban ha infatti commentato: «La Russia non è abbastanza forte da rappresentare una vera minaccia per noi. Siamo molto più forti». Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha definito la Nato «un’alleanza creata per lo scontro» e non «uno strumento di pace e stabilità». Peskov ha aggiunto che per giustificare l’aumento della spesa per la difesa «bisogna dipingere l’immagine di un mostro infernale» ovvero la Russia, secondo il Cremlino.