Terrore sessuale e impunità in Somalia

Due estati fa, una madre somala ha pubblicamente raccontato la straziante esperienza di aver subito abusi sessuali e umiliazioni per mano delle truppe dell’Unione africana (Au) a Mogadiscio. 

Ha raccontato di essere stata rapita con violenza dalle truppe somale, apparentemente per verificare se avesse legami con il gruppo terroristico di al-Shabab. Tuttavia, quando le truppe l’hanno consegnata alla base dell’Unione africana di Mogadiscio, è stata brutalmente violentata dal branco e torturata.

Nessuno è stato ritenuto responsabile di questo crimine. Le prove raccolte suggeriscono che la vicenda potrebbe essere solamente la punta di un iceberg.

Come per i casi in Rwanda e in Jugoslavia, i tribunali internazionali hanno riconosciuto che lo stupro è usato come arma di guerra anche in Somalia. Secondo le Nazioni Unite, la violenza sessuale rimane «una delle violazioni dei diritti umani più gravi e ricorrenti».

Sebbene siano le atrocità commesse dei terroristi di al-Shabab a fare notizia, sembra che la maggior parte delle violenze avvengano per mano delle truppe incaricate di proteggere il Paese. 

ABUSO DI POTERE

In un documento pubblicato lo scorso anno dal titolo ‘Il potere che gli uomini hanno su di noi’, Human Rights Watch ha meticolosamente esposto gli sfruttamenti e gli abusi sessuali da parte dei soldati della missione dell’Unione africana in Somalia (Amisom).

Dall’indagine è emerso che le truppe dell’Amisom, nella città di Mogadiscio, «hanno abusato della loro posizione di potere per prendere di mira le donne e le ragazze più vulnerabili della città. I soldati hanno commesso atti di stupro e altre forme di abusi sessuali, così come lo sfruttamento sessuale – sfruttando la vulnerabilità delle donne».

Secondo Human Rights Watch, alcune truppe dell’Amisom –con l’incarico di facilitare l’assistenza umanitaria – hanno usato la loro posizione come esca per abusare delle donne vulnerabili, in particolare quelle sfollate. Il documento ha riferito di ragazze giovani, anche di 12 anni, che si erano recate alle basi dell’Amisom per richiedere medicinali o acqua, per poi venire impunemente violentate o sfruttate sessualmente.

Sulla carta, le organizzazioni internazionali e regionali che operano in Somalia sostengono politiche per la prevenzione dell’abuso e dello sfruttamento sessuale. La missione di assistenza delle Nazioni Unite in Somalia (Unsom), per esempio, ha il mandato di monitorare, analizzare e prevenire «le violazioni del diritto umanitario internazionale commesse in Somalia, anche attraverso l’impiego di osservatori».

Parlando a un forum sulla prevenzione dell’abuso e dello sfruttamento sessuale tenutosi a Mogadiscio per il personale dell’Amisom, Mane Ahmed – funzionario della missione – ha detto che: «la missione sostiene una politica di tolleranza zero sullo sfruttamento e l’abuso sessuale e questo è il messaggio che vorrei trasmettere a voi e a tutti».

Tuttavia, l’Amsom non ha alcun meccanismo in atto per prevenire gli abusi sessuali commessi dai suoi soldati. Inoltre sembra che nel momento in cui sono state sollevate tali gravi accuse, ci sia la mancanza di volontà da parte dell’Amisom, dell’Unsom e del governo somalo di effettuare un’indagine imparziale e approfondita.

Nel 2013 quando la donna omala si è fatta avanti, un portavoce delle truppe dell’Amisom ha fervidamente e falsamente negato le accuse e si è scagliato contro la donna e chi la sosteneva, prima ancora che venisse avviata una qualunque indagine.

INDAGINI FALLITE

Nel mezzo di una crescente indignazione pubblica, l’allora Primo ministro Abdi Shirdon ha annunciato: «Il governo non tollererà le violazioni dei diritti umani contro il popolo somalo» e ha prontamente nominato una commissione ministeriale per indagare sulla veridicità delle accuse.

Il dottor Maryam Qasim, presidente della commissione, ha promesso pubblicamente di non lasciare nulla di intentato per stabilire la verità sul caso e aiutare la vittima. Tuttavia sembra che né il governo somalo né quelli della coalizione dell’Unione africana abbiano preso sul serio l’accusa.

Secondo Human Rights Watch, «le indagini invalidate, piene di errore, sono rivolte a quei funzionari della sicurezza che cercano di mettere a tacere sia chi denuncia il problema diffuso della violenza sessuale, che coloro che aiutano le vittime degli stupri».

CAMBIO DI GOVERNO

A complicare ulteriormente la questione, solo due mesi dopo che la commissione era stata costituita, Shirdon ha perso il voto di fiducia in parlamento e i ministri coinvolti hanno perso il posto. I ministri avrebbero potuto consegnare il caso ai rispettivi successori per continuare l’inchiesta, ma non lo hanno fatto. Invece, hanno di fatto permesso che le sofferenze continuino a pesare sulle donne somale, per mano delle truppe dell’Amisom.

Lo scalpore suscitato dal successivo documento redatto da Human Rights Watch ha alimentato le richieste di una ulteriore indagine. «Il governo somalo si aspetta che l’Amisom risponda a queste accuse e chiunque sarà ritenuto responsabile dovrà essere chiamato a risponderne», ha promesso il presidente somalo Sheikh Hassan Mohamud.

Il Primo ministro Abdiweli Sheikh Ahmed ha nominato una nuova commissione per indagare sulle accuse sollevate dagli osservatori dei diritti umani, assicurando alla popolazione somala che il loro governo «resta impegnato nel garantire che gli autori di qualunque crimine contro i suoi civili vengano assicurati alla giustizia».

Tuttavia, è stato chiaro fin dall’inizio che il governo non avesse preso seriamente la nuova inchiesta. Un funzionario del governo, che era presente alla prima riunione della commissione, mi ha riferito che la maggior parte dei membri della Commissione hanno detto di credere alla denuncia di Human Rights Watch, e hanno persino fatto dei commenti sprezzanti.

La maggior parte dei membri della Commissione, ha aggiunto, non avevano affatto letto il documento. Di conseguenza, non ne è stato fatto di niente.

ASSUMERSI LA RESPONSABILITÀ 

«Avevo paura che sarebbero tornati a cercarmi per violentarmi ancora o uccidermi», ha detto una donna a Human Rights Watch in seguito all’aggressione ricevuta. «Voglio che il governo riconosca il potere che questi uomini hanno su di noi e gli abusi che fanno, con il pretesto di proteggerci». 

Il governo somalo dovrebbe prendere sul serio questa responsabilità. Dal momento che le truppe sono state coinvolte in episodi di violenza sessuale, dovrebbe essere condotta un’indagine approfondita e coloro che saranno ritenuti responsabili di aver commesso o favoreggiato questi stupri dovrebbero essere chiamati a risponderne.

Inoltre, se i Paesi che finanziano l’Amisom – compresi gli Stati Uniti – non metteranno in atto dei meccanismi allo scopo di prevenire questi crimini, saranno ritenuti parzialmente responsabili.

Alcuni segni di speranza sembrano esserci. Lo scorso gennaio, Caroline Vaudrey del team di peacekeeping del Foreign Office britannico ha partecipato a un corso di formazione per le truppe dell’Unione africana in cui si è discusso la prevenzione della violenza sessuale. «Vedo che hanno una chiara comprensione dell’ordinamento internazionale e che hanno a disposizione un nuovi meccanismi che potrebbero utilizzare per prevenire e contrastare la violenza sessuale», ha riferito la Vaudrey.

Tuttavia in assenza della volontà politica di perseguire i colpevoli, vengono a mancare quelli che sono gli strumenti più importanti.

Ahmed Ali M. Khayre è un ricercatore e avvocato dei diritti umani e di diritto umanitario di origine somalo-olandese. Può essere contattato al suo indirizzo email. Copyright del Foreign Policy in Focus (fpif.org).

I punti di vista espressi in questo articolo sono le opinioni dell’autore e non rispecchiano necessariamente il punto di vista di Epoch Times.

Leggi l’articolo in inglese: Sexual Terror and Impunity in Somalia 

 
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