Sykora: «Non sono più quella Stacy»

È stata una delle giocatrici più rappresentative della nazionale statunitense, ha conquistato la vittoria più importante che una persona possa ottenere riprendendo in mano la sua vita dopo un terribile incidente. Durante il Mondiale in Italia l’abbiamo ritrovata in giro per i palazzetti assieme ad una troupe della Fivb; oggi Stacy Sykora si racconta per noi.

Uno dei più grandi liberi della pallavolo. Non ti ha mai pesato questo ruolo?

«Quando ho incominciato a giocare con la squadra universitaria ero una schiacciatrice di posto 4. Poi un giorno il mio allenatore mi disse: “Stacy è stato inserito un nuovo ruolo nella pallavolo, il libero. Tu ricevi e difendi molto bene e penso che tu lo possa ricoprire meglio di chiunque altro”. E allora eccomi qua. Fare il libero non mi ha mai pesato, anzi. Come in tutto ciò che affronto nella vita do tutta me stessa, il 100%, mai meno. Sin dai primi istanti il nuovo ruolo mi ha affascinato e non mi sono mai guardata indietro. Grazie a questo cambiamento mi sono tolta molte soddisfazioni e quindi non posso che essere più che felice e amare all’ennesima potenza il ruolo di libero».

C’è mai stato un momento nella tua carriera in cui hai pensato di mollare tutto o di non farcela?

«Mai, assolutamente non c’è mai stato. Fosse stato per me avrei giocato fino alla fine, fino a novant’anni e oltre. La pallavolo mi ha fatto conoscere la vera Stacy Sykora, ha letteralmente cambiato la mia vita e per questo non posso che essere immensamente grata a questo sport che mi ha permesso di girare il mondo e di conoscere posti e culture diverse. Ripeto, fosse stato per me non mi sarei mai fermata».

Quindi è stata dura abbandonarla?

«È stata la decisione più dura che abbia mai dovuto prendere nella mia vita, perché non ho scelto io di terminare la mia carriera ma è stata la conseguenza dell’incidente che ho subito. Mi sono resa conto che non potevo più riprendere».

In un’intervista che hai rilasciato alla Gazzetta dello Sport poco prima dei Mondiali parli di una Stacy Sykora in terza persona.

«È vero, ne parlo in terza persona perché per me è morta la Stacy Sykora giocatrice. Quando adesso mi ritrovo a parlare della giocatrice Stacy Sykora, di Stacy il libero, parlo di lei come se fosse una sorella o una migliore amica perché l’ho conosciuta bene e l’ho vissuta pienamente, ma ora lei non esiste più».

La sera dell’11 ottobre 2014 la nazionale statunitense era da poco approdata alla finale del Campionato del Mondo, il palazzetto era semideserto, tu entri in campo, ti posizioni nel centro e…

«Ho sentito il bisogno di entrare sul campo da gioco. Ho voluto ringraziare Dio perché mi ha dato la possibilità di essere li. Io c’ero, anche se non ero tra le protagoniste e non giocavo io ero alla finale dei Mondiali. Mi sono detta: sono viva, non sto giocando ma io ci sono, sono in Italia, sul campo da gioco, al Mondiale. Non posso che esserne riconoscente».

La tua più grande vittoria e il tuo più grande rammarico?

«Più grande vittoria sono tutte le vittorie. Ogni volta che abbiamo vinto una partita o ancor meglio una medaglia era un bellissima sensazione. A me piace vincere, può essere anche il torneo degli oratori, ma io voglio vincere. Non c’è emozione più grande di una vittoria. Poi ti dico, forse se avessi vinto l’oro alle Olimpiadi… Il mio più grande rammarico invece lo so bene qual è: il Mondiale 2002 perso proprio contro l’Italia. Non me lo dimenticherò mai».

Leggi l’articolo originale da www.Intervistasportiva.com

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