Sci alpino, 76esima Streif. Ghedina: è spettacolo, rischio ed emozione

La leggendaria Streif è alla 76esima edizione. È l’appuntamento più importante del circo bianco e richiama a Kitzbuhel oltre 100 mila spettatori. E questa volta c’è pure la neve, quella vera. Dopo tre anni, la discesa libera più famosa al mondo ritorna sul suo tracciato completo. Allora vinse Dominik Paris. Anche oggi l’Italia è in testa, almeno nelle ultime prove libere cronometrate: Mattia Casse ha il miglior tempo e Chistof Innerhofer il secondo; e soprattutto tutti gli altri sono a oltre un secondo, compreso il leader di Coppa del Mondo, Svindal. Ma solo chi vince la gara di sabato 23 gennaio entra nella leggenda della discesa libera, dello sci e dello sport.

Per conoscere a fondo la mitica discesa dell’Hahnenkamm Epoch Times ha intervistato Kristian Ghedina, il più vittorioso discesista italiano nella storia della Coppa del Mondo di sci alpino e primo azzurro a trionfare sulla Streif, nel 1998.

Qual’è la prima immagine che vede quando pensa alla Streif?

L’immagine della pista più difficile al mondo, la pista dove c’è spettacolo, dove c’è rischio, dove c’è emozione, dove c’è adrenalina.

Cosa l’ha impressionata di più di questa pista?

L’uscita della Steilhang 30 secondi dopo la partenza. È una parte ripidissima, la più ripida della pista, anzi il posto più ripido della Coppa del Mondo: il passaggio più difficile e più tecnico di tutti, perché devi trovare il compromesso tra il tenere e il lasciar correre. Lì arrivi da una curva [a sinistra, ndr], un ripido con una pendenza del 60 percento. Poi devi impostare una curva [a destra, ndr] sul ripido che ti immette su una stradina piana. Man mano che affronti la curva la pendenza va a sfavore. E in fondo c’è la rete. Lì se tieni la linea alta, per non rischiare di finire contro le reti, non porti fuori velocità; mentre se molli prima gli spigoli per prendere velocità rischi di arrivare sulle reti e di farti male.

Questo è il primo tratto dopo la Mausefalle [la trappola del topo, ndr]. Poi c’è il tratto centrale con la stradina… E gli ultimi 30 secondi, dove con una curva verso destra passi sotto l’arco della Redbull, salti in un muro ripido e affronti una curva verso sinistra per entrare nella diagonale finale molto spettacolare che dura 10 – 15 secondi, molto mossa, molto ondulata, con due dossi accentuati da interpretare al meglio per portare la velocità nello schuss finale. È veramente difficile, ci sono differenze di linea anche di 20-30 metri. E non è detto che vada bene stare alti, potrebbe essere meglio stare bassi, anche se è un po’ rischioso perché vuol dire passare vicino alle reti. E se fai un piccolo errore e perdi il terreno sotto i piedi, sei sulle reti, mentre se stai più alto hai più garanzie.

Poi c’è l’ultimo rettilineo dove c’è anche il salto, che ormai non è più tanto grande, ma è sempre temuto da tutti gli atleti perché lo affronti a 140 all’ora. E sbagliarlo, lavorarlo male, col sedere un po’ sugli attacchi [degli sci, ndr] vuol dire planare e arrivare giù di schiena. Lì ci sono state tante cadute.

Tutti ricordano la sua spaccata su quel salto, come nata quell’idea?

Non ho mai avuto problemi sui salti, mi sono sempre divertito. E quella mattina, in ricognizione, quando ho guardato la pista e ho fatto una spaccata a bassa velocità, mio cugino, che era li in mezzo al pubblico mi ha visto e ha detto: «Eh, ma devi fare le bravate… per che cosa?». E io: «Guarda che per me è normale amministrazione, la faccio tutti i giorni come ridere. Se vuoi la faccio anche in gara». «Si, si – mi fa – ciacolon [chiacchierone, ndr]». E mi ha istigato, perché mi sono sempre piaciute le bravate, le cose un po’ estreme. «Scommettiamo pizza e birra», gli ho detto. Così è nata la spaccata.

Quella doveva essere anche la sua ultima discesa libera a Kitzbuhel…

Si perché quella stagione [il 2004 ndr] ero un po’ avvilito. Avevo già 34 anni, ho detto: «Son vecchio, i risultati non arrivano, ho mal di schiena… Magari faccio ancora questa gara e poi mi ritiro». Meglio ritirasi finché sei un po’ in auge e lasciare con un gesto Kitzbuhel, così la gente si ricorda di me. Poi quella è stata la mia miglior gara stagionale, un sesto posto, e mi ha dato la voglia di continuare per altri due anni.

Cosa ha reso così famoso questo evento, secondo lei?

Lo sci è il loro sport nazionale, e loro sono bravi a fare del business su questa gara. Comunque è una gara molto particolare, ancora di vecchio stampo, dove scendi con la filosofia della discesa libera. Ha una conformazione del terreno particolare. È difficile e tecnica. Poi c’è l’arrivo in piazza [a Kitzbuhel, ndr]: questo è fondamentale perché la gente si sposta a piedi dal paese. E negli anni l’hanno migliorata sempre. È l’evento sportivo più importante di tutta l’Austria.

La considera la discesa più difficile?

A livello tecnico penso sia la più difficile. Comunque, a differenza del 90 percento degli atleti, che pensano sia Kitzbuhel [la più spaventosa, ndr], a me incuteva più terrore la discesa libera di Bormio: era tutta all’ombra e si vedeva poco.

Kitzbuhel ha questa partenza, dove sei al 140 per cento della tensione nervosa, della concentrazione. Fai i primi 30 secondi, e dopo hai il momento di ‘relax’: riesci mentalmente e anche fisicamente a riposarti durante la gara; nella stradina riesci a ossigenare le idee, il pensiero, il fisico. Fai dei respiri un po’ piu lunghi, piu profondi. E arrivi nella parte finale dove hai ancora concentrazione e tensione al 140 per cento. Mentre Bormio è una pista dove non hai mai un momento di respiro. Sei sempre lì al 90 per cento. Ti mette a dura prova sia mentalmente che fisicamente. Con la mia sciata e il mio atteggiamento avevo più difficoltà sulla pista di Bormio che sulla pista di Kitzbuhel.

Cosa significa vincere a Kitzbuhel?

Dà un valore aggiunto alla tua carriera. Ad esempio Bode Miller non è riuscito a vincere la discesa libera di Kitzbuhel. Ha detto: «Ho vinto olimpiade, ho vinto mondiale, ho vinto tutto». Però ‘gli gira’… Non essere riuscito a vincere a Kitzbuhel.

È anche la gara con il monte premi più alto del circo bianco. E se uno vince Kitzbuhel non è per caso o per fortuna. Anche Paris quell’anno che ha vinto aveva già fatto altri risultati durante la stagione. Quella è la ciliegina sulla torta. E l’anno successivo, in fase di rinnovo, ottieni dei contratti più alti.

Quali qualità devi avere per vincerla?

Devi avere l’aggressività, la tenacia, la grinta… Tipo, a Wengen c’è questa partenza molto dolce e ti metti in posizione e prendi un po’ di confidenza. Mentre a Kitzbuhel sei subito al 140 percento. Quindi, quando sei al cancelletto, e prima ancora, devi metterti in testa: «Adesso devo mangiarmela. Non devo avere rispetto di questa pista, devo mangiarmi tutte le porte mentre scendo». Questo è l’atteggiamento che devi avere a Kitzbuhel. E sicuramente non tutti ce l’hanno. Tanti sono timorosi, forse perchè hanno sbagliato un passaggio, o perché hanno rischiato il giorno prima e sono quasi volati.

Chi sono i favoriti per la vittoria di sabato?

Svindal, Reichelt, e Jansrud anche forse. Quelli che sono in testa in coppa del mondo, i primi tre.

E gli italiani?

Paris l’ha già vinta. È una pista che gli piace e potrebbe rivincerla. È in forma. Anche Peter Fill, sta facendo una gran bella stagione. E Innerhofer vuol far vedere che non è un fuoco di paglia la bella gara che fatto a Santa Caterina. Lì è stato sfortunato: ha inforcato la porta, se no vinceva. Tutti sanno che lui può fare molto. Può portare a casa anche una vittoria.

C’è stata una discesa che l’ha colpita in modo particolare?

È stata impressionante la discesa di Todd Brooker, l’ho visto nello schuss finale su YouTube: prima del salto, dove io ho fatto la spaccata, ha spigolato ed è andato giù. Avrà fatto 15 capriole, girava come un pupazzo di peluche, si è capovolto e ha perso tutti e due gli sci. Girava a peso morto come una valanga che perdeva tutti i pezzi. Ci sono tante cadute spettacolari, però questa quando l’ho vista…

Chi ha ammirato di più tra i suoi avversari sulla Streif?

Cuche, quello che ha fatto il record delle vittorie sulla stessa pista. Ha vinto cinque volte la discesa libera di Kitzbuhel. Era uno sciatore che mi impressionava, uno sciatore bello compatto. Uno che aveva proprio una tenacia una grinta incredibile. Questo suo atteggiamento difatti è stato ripagato.

Com’è cambiato il mondo dello sci nel corso degli anni?

Una volta la pista era quella, si prendeva e si scendeva. La discesa libera è nata perché una volta si partiva in cima al colle e vinceva chi arrivava primo in fondo e ognuno si sceglieva la strada che voleva. Poi hanno iniziato a mettere le porte a controllare tutto. Hanno tolto i salti rischiosi. E tutti oggi si lamentano per le buche il ghiaccio e della Fis che fa fare programmi assurdi. Sei un atleta, fai uno sport pericoloso, e può succedere anche di lasciarci le penne. Se non consideri questo puoi andare a fare qualcos’altro.

 
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