Sars-Cov-2 e gli eretici che la pensano diversamente

Di Camilla Antonini
L’autrice dell’articolo, Camilla Antonini, si è laureata in Scienze dei beni culturali nel 2011 presso l’Università degli Studi di Milano e si è in seguito specializzata in Discipline Cinematografiche presso l’Università degli Studi di Torino. È inoltre diplomata al Conservatorio e negli ultimi anni si è occupata di critica cinematografica.

 

Le recenti dichiarazioni del dottor Massimo Citro della Riva, riassunte in un libro dal titolo emblematico, Eresia. Riflessioni politicamente scorrette sulla pandemia di Covid 19, sono la tipica opera che ciascun cittadino italiano dovrebbe leggere, per uscire dal seminato della narrazione che media e giornali hanno imposto ormai da oltre un anno. 

Il dogma della presunta verità, alla quale appare necessario credere senza porsi domanda alcuna, trova in queste dichiarazioni il contraltare che dovrebbe portare qualsiasi persona di buon senso, ad una profonda riflessione per svincolarsi dall’odierno Truman Show e per riappropriarsi del senso critico che pare essere scomparso in oltre un anno di Covid-19.  Ma, soprattutto, per tornare ad avere un rapporto il quanto più possibile sano con se stessi e soprattutto con gli altri.  Si deve tornare a pensare e chiudere il nefasto undicesimo comandamento che vuole la televisione foriera di verità assolute che, purtroppo, spersonalizzano i cittadini trasformandoli in una massa informe priva di pensiero critico, da indottrinare ed ammaestrare a proprio piacimento. Parola d’ordine: «l’hanno detto in televisione», autentico ritratto del dogma rivelato e quindi intrinsecamente ed incontestabilmente vero.

Da qui il titolo Eresia ovvero quello che non si può, ma soprattutto, non si deve dire. Per porre un freno al castello di suggestioni mediatiche che da oltre un anno si susseguono senza sosta e tendono all’annullamento del pensiero stricto sensu, complice un’insostituibile alleata: la paura.

«In un momento di inganno, dire la verità è un atto rivoluzionario» sosteneva Orwell ed appare salvifico pensare che esistano ancora uomini liberi. Ed è illuminante confrontarsi con questo pamphlet che, in modo encomiabile, riassume e mette in ordine gli eventi che hanno visto i cittadini spettatori passivi della realtà rappresentata.

A partire da un elemento apparentemente banale, che tuttavia si rivelerà di primaria importanza per comprendere le statistiche, un elemento semantico.

I media ci hanno abituato alla denominazione: ‘il Covid’.  Ebbene, questa crasi non ha il minimo senso. Come spiega il dottore, «CoVid sta per CoronaVirus Disease, in italiano è femminile e indica la malattia da coronavirus 2019, non il virus, che invece è siglato SARS-COV-2 ed è maschile». Reductio ad unum, banalizzazione, annullamento della complessità. I media hanno annullato in primis la distinzione tra il virus e la malattia, in maniera tale che ciascuno parlasse a sproposito di Covid, senza distinguere tra causa ed effetto».

Si passa quindi ad analizzare le caratteristiche del virus che nel 90% dei casi esprime una sindrome influenzale, mentre nel restante 10% porta a complicanze. Appare importante sottolineare anche i dati di uno studio del British Medical Journal che informano che il 78% dei positivi al test è asintomatico. Da qui le tre caratteristiche del virus, definite con tre parametri: il grado di contagiosità, la morbilità (ovvero la capacità di ammalare) e la letalità. Ebbene, la contagiosità è altissima, la morbilità è media, mentre la letalità è bassa. Appare fondamentale anche ricordare la differenza tra mortalità e letalità. La prima rappresenta il numero di morti rispetto alla popolazione, mentre la seconda identifica il numero di morti rispetto ai contagiati. Come ricorda il professor Giulio Tarro, maltrattato dai media mainstream per aver espresso posizioni controcorrente, la mortalità della Covid-19 è nettamente inferiore alla prima Sars, alla Mers, ovviamente, all’Ebola.

Per dovere di chiarezza, appare fondamentale un’ulteriore distinzione, di cui si trova scarsa traccia sui media, ovvero quella tra infezione e malattia, secondo i criteri introdotti da Robert Kock. La malattia richiede sempre una manifestazione clinica, ovvero richiede una sintomatologia. L’infezione no. Ecco qui la fondamentale distinzione tra sintomatici e asintomatici, il cui prefisso alfa privativo designa la mancanza di sintomi. Se ne deduce che i contagiati non sempre sono malati.

E questo non è un messaggio pericoloso, come spesso hanno ripetuto a sproposito tv e giornali: è un semplice e banale dato di fatto.

Se ne deduce che gli asintomatici non dovrebbero entrare nelle statistiche dei malati. L’analisi del tampone consiste infatti nell’estrazione del Rna virale mediante la tecnica del rRT-PCR che valse a Kary Mullis, l’inventore, il premio nobel. Tuttavia, ha molti limiti per i troppi falsi positivi e falsi negativi ed è quindi efficace per la ricerca di laboratorio, a fini statistici e non diagnostici. Come spiega la dottoressa Loretta Bolgan, sono le manifestazioni cliniche a definire la patologia e non la banale positività al tampone.

Ecco quindi che avere il tampone positivo non significa nulla, dato che come ricorda il dottor Citro, «se in qualsiasi momento facessimo tamponi faringei alla popolazione troveremmo ogni tipo di coronavirus, virus influenzali, streptococchi, stafilococchi, pneumococchi e quant’altro, poiché la faringe è terreno di coltura».

Un’ultima precisazione, prima di procedere con le lucide analisi eretiche.

«La prassi medica, da sempre, identifica la causa di morte nella malattia cronica principale». Durante l’attuale pandemia, invece, «nello stabilire la causa di un decesso si continua a confondere le patologie preesistenti con l’eziologia scatenante, attribuendo erroneamente la causa di morte all’evento ultimo invece che alla patologia principale». E porta ad esempio una malattia quale l’Aids, causata da un virus che definisce assai più pericoloso, l’Hiv. Ebbene, «il virus non uccide direttamente, ma attacca i linfociti T4 e, come conseguenza del loro sterminio, il paziente muore per sovrainfezioni batteriche, virali o micotiche. Sono i microbi a uccidere il paziente, ma la causa di morte è l’Aids, che ha azzerato le difese immunitarie».

Eresia? O banale riassunto della prassi finora utilizzata e sovvertita in occasione dell’attuale pandemia? 

Negazionismo? Corredato dalla banale sequela di luoghi comuni in salsa mainstream media no-mask, no-vax, in ossequio alla banalizzazione della dea TV, che vuole il mondo diviso in buoni e cattivi, in ligi al dovere vs pericolosi negazionisti, in saggi contro complottisti. A dispetto del fatto che i complottisti veri sono quelli che la verità la occultano, non gli eroi che la cercano (spesso anche a costo della vita). Quantunque il mondo attuale, si nutra, purtroppo, di logiche capovolte.

Come spiega il Dottore ai microfoni di Francesco Toscano su Vox Italia, egli non intende negare proprio nulla. Si domanda infatti, avendo davanti agli occhi un’ecatombe di morti, a suo avviso completamente evitabile, che cosa mai dovrebbe negare. Spiega nel dettaglio, da cosa derivino le conseguenze di quel 10% che si aggrava. Conseguenze che definisce terribili, gravissime. Informa che «quando un microrganismo s’introduce nel corpo, il sistema immunitario si difende mobilitando le cellule che cercando di disinnescare le infezioni». Tra le altre, vengono secrete alcune sostanze denominate citochine, che aumentano l’infiammazione e accendono quello che definisce un ‘fuoco dentro casa’. Ora, il problema deriva proprio da questo fuoco che in taluni casi sfugge al controllo, divora le cellule stesse e invece che difenderle finisce col danneggiarle. Una risposta immunitaria spropositata che porta alla cosiddetta ‘sindrome da rilascio citochinico’ o più semplicemente ‘tempesta di citochine’, ragione delle complicanze da Covid-19. La dottoressa Loretta Bolgan si è adoperata fin dalla primavera scorsa per spiegare questo fenomeno al pubblico, in trasmissioni come Contro TV di Massimo Mazzucco, fornendo tutti i dettagli utili per far comprendere il fenomeno anche ai non addetti ai lavori. E come conferma il dottor Alberto Donzelli, intervistato dall’instancabile Francesco Toscano sull’uso sapiente e non onnipresente ed invasivo delle mascherine di protezione, il problema della tempesta di citochine si sviluppa quando il virus riesce a penetrare negli alveoli polmonari, da sempre poco atti alla risposta immunitaria, dato che generalmente la ‘battaglia’ si svolge nelle vie respiratorie superiori.

Assodato che il problema è questa ‘tempesta’, Massimo Citro, rifacendosi alle pubblicazioni del professor Didier Raoult, illustre virologo dell’ospedale di Marsiglia e ai grandi successi ottenuti dall’oncologo Luigi Cavanna, eroe della primavera scorsa che nel piacentino ha curato a casa 300 pazienti salvandoli tutti, spiega che il solo modo per spegnere l’incendio derivato dalle citochine è l’utilizzo dei derivati della china, come la tanto bistrattata idrossiclorochina, da sempre adoperata come antifebbrile ed antimalarico. Secondo gli studi del dottor Raoult, la potente azione antivirale di questo farmaco, associato all’antibiotico azitromicina spegnerebbe in breve tempo l’infezione, prevenendo le complicanze ed evitando l’ospedalizzazione e i decorsi più gravi. La conferma di questo arriva anche da Mauro Rago, fondatore dell’Associazione Ippocrate, che da mesi ormai si occupa di formare medici che vogliano utilizzare le terapie domiciliari, contravvenendo al protocollo ministeriale che prevede tachipirina ed attesa vigile e che porta nella stragrande maggioranza dei casi i malati deboli a finire in ospedale. E spesso a morirci.

Ed ora una domanda: chi sono i veri negazionisti?

Perché come diceva Karl R. Popper, «una scienza che eviti di misurarsi con i suoi possibili errori, immunizzando se stessa contro le critiche per risultare in apparenza sempre vera, non è scienza».

E una scienza che permette che una rivista prestigiosa quale è The Lancet il 22 maggio 2020 pubblichi uno studio completamente falso sugli effetti collaterali dell’idrossiclorochina non è di certo scienza.

Già, perché in piena pandemia, quando sarebbe stato necessario trovare al più presto una cura efficace che fosse in grado di salvare quante più vite possibili, che una rivista scientifica pubblichi dati falsi su un farmaco (da utilizzare nelle fasi iniziali della malattia) è qualcosa di inaccettabile. È il quotidiano The Guardian, avviata un’indagine a seguito della suddetta pubblicazione, che prende contatti con gli ospedali di Melbourne e Sidney (che, secondo The Lancet avrebbero fornito i dati dei pazienti trattati con idrossiclorochina), che dichiarano di non aver mai fornito nulla alla rivista, tantomeno i dati dei pazienti ricoverati. Il 4 giugno la rivista ritratta ed ecco che emerge la verità: lo studio era falso.

Eppure il farmaco in Italia viene sospeso il 27 maggio e dovranno passare molti mesi prima che venga riabilitato (non consigliato, ma semplicemente non bandito).

Sgambetto anche all’ex presidente Usa che ha sostenuto fin dall’inizio l’efficacia dell’idrossiclorochina, si chiede il dottor Citro? Domanda interessante, ovviamente.

Si leggano anche le dichiarazioni del direttore di The Lancet, Richard Horton, rilanciate dall’ex ministro della Salute francese, Philippe Douste-Blazy. Horton si sarebbe espresso in questi termini: «Non saremo in grado, se continua così, di pubblicare i dati delle ricerche cliniche, perché i laboratori farmaceutici oggi sono così potenti finanziariamente e sembrano avere una metodologia tale da farci accettare documenti che apparentemente sono metodologicamente perfetti, ma a cui fanno dire ciò che vogliono loro e questo è molto grave».

Biechi complottisti!

Resta comunque il fatto che quella di The Lancet è una frode scientifica a tutti gli effetti.

In Italia, tuttavia, si verifica un altro fatto di inaudita gravità.

Il 14 aprile 2020 quarantuno medici e scienziati, i cui nomi vengono accuratamente elencati dal Dottore, scrivono una lettera al ministro della Salute Roberto Speranza, rivolgendogli un appello. Hanno scoperto che «l’adozione tempestiva e precoce (all’inizio della sintomatologia sospetta) di una semplice terapia antinfiammatoria efficace come quella cortisonica a medio ed alto dosaggio associata a farmaci a probabile attività anti SARS-COV-2, come la Clorochina», previene le gravi complicanze trombotiche. L’adozione di questa strategia conterrebbe i sintomi, anziché attenderne l’evoluzione e potrebbe portare quanto prima ad un auspicabile ritorno alla normalità.

L’appello viene prontamente ignorato da Roberto Speranza che, invece che dare avvio ad una verifica scientifica che potrebbe costituire una svolta, gira la testa dall’altra parte.

Ma per comprendere appieno la complessità della situazione attuale, appare utile tornare alla domanda che tutti dovrebbero porsi, ovvero: accettiamo per vera la narrazione ufficiale che vuole l’attuale virus una chimera generatasi da un ceppo virale del pipistrello ancestrale mescolatosi con quello del pangolino e aver fatto il salto di specie diventando patogeno per l’uomo o ci poniamo in maniera critica e decidiamo di prendere in considerazione che la realtà potrebbe essere diversa? 

Si consideri infatti che a pochi chilometri da Wuhan e dallo sdoganatissimo mercato da cui sarebbe iniziato tutto ha sede uno dei più importanti laboratori di virologia all’interno del quale si studiano proprio i coronavirus.

Si consideri anche che è dal 2008 che sono noti gli studi della ricercatrice Shi Zheng-Li, che «inserisce sequenze diverse della proteina Spike del virus della SARS in quello del pipistrello, ottenendo una serie di chimere virali» e dichiara di «adoperare inserti genomici del virus HIV». E che nel 2015 «brevetta col suo gruppo di ricerca un gamma coronavirus manipolato con quattro inserti genici ai fini di prevenire ad un vaccino».

Denunciava proprio questo un servizio del programma Rai Leonardo del 2015, che metteva in luce quanto sia concreto il rischio che questi virus possano uscire dai laboratori di massima sicurezza ed infettare l’uomo.

Nel marzo 2020 il video torna alla ribalta, diventa virale e in rete qualcuno inizia a porsi domande. Per placare i surriscaldati animi, influenzati forse anche dall’ottimo servizio di Massimo Mazzucco su Contro TV (‘É stato il pipistrello?’) intervengono stormi di medici e virologi a tranquillizzare la popolazione. ‘Il virus è assolutamente naturale’ continuano a ripetere ad ossequiosi giornalisti incapaci di porre le domande che imporrebbe il loro mestiere. Basta una settimana di martellamento mediatico e di lavaggio del cervello e la questione viene archiviata con la solita logica del non si diano adito a complottismi inutili in una situazione già oltremodo complicata.

Eppure alla tesi della bio-ingegnerizzazione danno credito l’ex segretario di Stato americano Mike Pompeo e soprattutto Donald Trump, che accusa apertamente la Cina e dichiara di avere le prove della creazione in laboratorio. Appare improbabile che l’amministrazione Trump potesse averne le prove. Che invece il virus possa essere di natura artificiale, appare non solo verosimile, ma ampiamente possibile

È infatti di questa idea il ricercatore e premio Nobel per la Medicina per aver scoperto il virus dell’HIV, Luc Montaigner, che alla TV francese descrive l’attuale virus come il frutto della laboriosa manipolazione umana. Dichiara di aver rinvenuto piccole sequenze dell’Rna dell’Hiv all’interno dell’Rna del coronavirus e propende per la tesi che la sua estrema contagiosità dipenda proprio da questo. Aggiunge anche che per un virus manipolato artificialmente, nessun vaccino sarà mai efficace.

Orrore. Quanto di più politicamente scorretto si possa dire.

E come da prassi ormai sedimentata, parte il tritacarne mediatico e il professore viene letteralmente linciato dalla comunità scientifica che, dimenticandosi le buone maniere, lo svilisce definendolo un anziano ormai affetto da demenza senile.

Ma Luc Montaigner non si lascia intimorire e in un’altra intervista rilancia la sua assoluta indipendenza che non lo vincola a segreti e a debiti di silenzio verso nessuno. E rincara aggiungendo che molto probabilmente dietro agli studiosi del laboratorio cinese, ci sarebbe anche la mano americana. Forse in riferimento al sopracitato studio del 2015 che vide protagonisti la ricercatrice Shi Zheng-Li e Ralph Baric, professore della Carolina del Nord, tra i massimi esperti al mondo di manipolazione genetica sui coronavirus.

Appare utile ricordare che il laboratorio di Wuhan prese forma nel 2004 per volontà dell’allora presidente francese Jacques Chirac e l’allora presidente cinese Hu Jintao. La Francia si assunse l’onere del finanziamento (44 milioni di dollari) salvo poi venire estromessa dalle sue operazioni. Un’inchiesta del Washington Post denunciò la scarsa sicurezza del laboratorio, tanto che i francesi allertarono i servizi americani. Nonostante questo il laboratorio continuò le sue operazioni e, di fatto, ai francesi subentrarono gli americani, «grazie a dieci milioni di dollari elargiti dal National Institutes of Allergy and Infectious Desease, diretto dal 1984 da Anthony Fauci», novello guru, portato in palmo di mano dai media.

Appare infine utile sottolineare che ben nove gruppi di ricerca si sono spesi per mostrare al mondo la manipolazione artificiale dell’attuale coronavirus, tra cui il primo, indiano, che data del gennaio 2020 ed è dell’Indian Institute of Technology di Nuova Dheli, seguito da tre gruppi di ricerca cinese, da uno studio anglo-norvegese, uno franco-canadese, per arrivare all’ultimo, condotto dal dottor Joseph Tritto, che dichiara che il SARS-COV-2 è «senza alcuna ombra di dubbio frutto d’ingegnerizzazione da laboratorio».

Impossibile, però, che una popolazione chiusa in casa, terrorizzata e isolata possa anche solo sospettare che il SARS-COV-2 sia il frutto di un errore o peggio di un deliberato volere umano.   Meglio lasciar regnare l’ignoranza mascherata da conoscenza…

E in questo i mainstream media hanno svolto il ruolo a loro preposto: indottrinare gli sprovveduti.

Senza mai accennare alle gravi responsabilità dell’organo preposto alla tutela della salute della collettività: la World Health Organization, meglio nota in Italia come Organizzazione Mondiale della Sanità, colpevole di inspiegabili ritardi nelle informazioni ai vari Paesi e di scarsa chiarezza e trasparenza. Colpevole di «eccessiva deferenza nei confronti della Cina, che ha fatto perdere al mondo settimane preziose», secondo le dichiarazioni del 15 aprile dell’ex presidente americano Donald Trump, all’alba della decisione di tagliarne i finanziamenti statunitensi.

Ma ormai è cosa nota che l’ex presidente fosse un pazzo, istintivo complottista.

Eppure, la pneumologa Ai Feng che per prima diede l’allarme, venne rimproverata per aver diffuso dicerie e l’oculista Wenliang Li venne addirittura arrestato per aver denunciato strane congiuntiviti riconducibili ad una forma atipica di Sars. In seguito rilasciato, morì in ospedale di Covid-19, durante il dilagare di quell’epidemia che sperava di scongiurare. La Cina post mortem lo dichiarò martire ed eroe nazionale.  Sarebbe stato meglio ascoltarne le tesi in vita.

La Cina registra il primo ricovero per SARS-COV-2 l’8 dicembre, ma ritarda di settimane ogni tipo di informazioni al mondo. Il 31 dicembre l’Oms viene a sapere di una malattia sconosciuta e chiede informazioni. Anche il governo di Taiwan prova ad avvertire l’Oms che il contagio avviene tra esseri umani, ma i suoi appelli vengono ignorati. Tanto da spingere Taiwan a tagliare ogni contatto con la Cina autonomamente e senza aspettare l’Oms. Per tutti i primi giorni di gennaio, il governo cinese continua a far tacere i medici che segnalano casi sospetti e il 20 gennaio il maggior esperto di malattie infettive in Cina, Zhong Nanshan, annuncia in TV che i funzionari locali stanno cercando di nascondere la gravità del contagio. Ancora il 23 gennaio, quando appariva chiaro che l’emergenza non si sarebbe limitata alla sola Cina, il direttore generale dell’Oms dichiara che non si sono prove della trasmissione da uomo a uomo al di fuori dello stato asiatico e invita i vari governi a non tagliare i voli commerciali con questo. È dell’11 febbraio la prima dichiarazione dell’Oms con cui si sostiene che il virus sia una grave minaccia anche per il resto del mondo. Solo l’11 marzo l’Oms dichiara la pandemia. Appare davvero ingiustificato il lungo ritardo nell’annunciare l’emergenza e nel prendere provvedimenti. E perché inoltre l’Oms non ha inviato i suoi ispettori in Cina per capire cosa stesse succedendo, indipendentemente dalle dichiarazioni del governo cinese? Incomprensibile appare anche la scelta di non isolare la Cina a quarantena di Wuhan già iniziata.

Perché non sarebbe stato politicamente corretto farlo, esattamente come hanno ripetuto molti politici italiani quando si scoprirono i presunti primi casi di coronavirus in Italia. Quando incitavano la popolazione a non mettere in isolamento chi tornava dalla Cina, in quanto discriminatorio. Autentica maschera della propria incapacità (anche se, forse, il vocabolo più adatto sarebbe connivenza) dietro alla facciata buonista del politically correct, che come mai prima d’ora, si dovrebbe identificare come il male assoluto della moderna società finto-perbenista.

L’autunno della ragione che il mondo sta vivendo continua a fondarsi su quell’unico sentimento che permette il dominio dell’essere umano, in quanto poggia le sue radici in qualcosa di ancestrale e viscerale: la paura. 

La paura mediatica costante, il memento mori onnipresente, che paralizza l’essere umano nel pensare, nell’agire e che inibisce qualsiasi tipo di riflessione esca dalla narrativa dominante che vuole un pericoloso attentatore della salute pubblica chi pone domande lecite.

Nonostante le più lapalissiane contraddizioni siano emerse: il governo italiano che sconsiglia di eseguire le autopsie sui corpi dei deceduti; l’aver sconsigliato ai medici del territorio di svolgere il proprio lavoro, ovvero curare i malati; l’aver demonizzato dottori come Giuseppe De Donno che riportò in auge un metodo di cura conosciuto da anni, ovvero la plasmaferesi; l’aver messo fuori gioco dei farmaci in seguito a studi falsi, l’aver desecretato solo alcuni documenti del Comitato Tecnico-Scientifico; l’aver continuato a terrorizzare la popolazione anche nei mesi estivi, quando medici come il professor Alberto Zangrillo del San Raffaele di Milano parlavano di un virus in quel momento ‘clinicamente morto’; l’aver prima smantellato il sistema sanitario nazionale in nome dell’austerity e vaneggiare ora di voler tutelare la salute dei cittadini; l’aver a febbraio incitato ad uscire e ‘fare aperitivi’ ed in seguito, anche quando in estate il pericolo era quasi nullo, continuare ad insistere con chiusure indiscriminate e senza il minimo senso; l’infierire sui bambini nonostante vari studi abbiano invano tentato di chiarire che non sono loro soggetti alla malattia, ma nemmeno ad infettare gli adulti (come ricorda il dottor Alberto Donzelli); l’aver precluso a malati di tumore e altre patologie gravi di riuscire a curarsi; il non aver mai parlato di prevenzione, precludendo financo l’attività fisica; il non aver tutelato i più fragili (come insegna anche lo scandalo legato alla gestione dell’emergenza nelle case di cura dello stato di New York a guida del democratico Andrew Cuomo), il non aver ancora delle risposte sulla catastrofe che si è abbattuta nella primavera scorsa sulla bergamasca.

Tuttavia la maggior parte della popolazione sembra soggiogata dalla narrativa dominante e non pare essere interessata ad esigere quelle dovute risposte che spettano a tutti in quanto cittadini ed abitanti del villaggio globale.

Ma se tutto, per contro, fosse dovuto al caso, all’impreparazione, all’improvvisazione, alla fatalità, come sarebbe possibile spiegarsi la simulazione di pandemia da coronavirus, svoltasi a New York nell’ottobre del 2019 presso il John Hopkins Center for Health Security? Il cosiddetto Event 201, eseguito in collaborazione con due importati partner, il World Economic Forum e la Bill & Melinda Gates Foundation. 

E non è il solo. Il cosiddetto Crimson Contagion sempre del 2019 simulava una epidemia influenzale portata da turisti cinesi a Chicago e si concludeva con mezzo milione di americani morti in due mesi.

Curioso.

Il dottor Massimo Citro cita a tal proposito una bellissima frase di John Fitzgerald Kennedy: «Le grandi cose non accadono, si fanno accadere».

È noto che il mondo brulichi ormai di complottisti, ma il sistema sembra adoperarsi al massimo per incoraggiarli. E alla luce di tutte le incongruenze emerse in oltre un anno di pandemia, appare non solo lecito, ma doveroso porsi in maniera critica nei confronti della realtà.

E poiché il sonno della ragione genera mostri, appare davvero fondamentale, ora più che mai, svegliarsi dal torpore, iniziare a pensare con la propria testa, senza lasciarsi fuorviare da un’informazione ormai snaturata della sua funzione.

Poiché, come scrisse Ettore Gotti Tedeschi, «nell’epoca dell’inganno del politicamente corretto, esprimere pensieri politicamente scorretti è il primo e più potente atto sovversivo».

 

Le posizioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente le vedute di Epoch Times.

 
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