Rivoluzione dopo rivoluzione, la democrazia in Tunisia è in pericolo?

Di David Di Consiglio

La Tunisia sta affrontando la peggiore crisi della sua democrazia nel decennio successivo alla rivoluzione della Primavera araba. In giorni di violente proteste, il presidente Keys Said ha deciso di estromettere il primo ministro e sospendere le attività del parlamento. I sostenitori di Said sono scesi in piazza per festeggiare, ma gli avversari dicono che è stato un colpo di Stato.

Si tratta davvero del momento più critico per una delle democrazie arabe che erano sempre state portate come esempio dopo la cacciata nel 2011 del presidente autocratico Ben Alì. Nonostante le evidenti, ma fisiologiche difficoltà di una giovane democrazia, La Tunisia era comunque riuscita a navigare in acque tutto sommato abbastanza sicure in uno scenario di vera democrazia. Come spesso accade in questi casi è la crisi economica dalle molteplici motivazioni che porta la popolazione allo stremo che può sfociare in conseguenze imprevedibili. Uno dei colpi più duri che sono stati inferti alla giovane democrazia tunisina lo ha sferrato l’Isis. Gli attacchi terroristici nelle più popolari località turistiche hanno causato danni difficilmente riparabili alla fiorente industria del turismo della nazione. In aggiunta a questa situazione è arrivato il ciclone della pandemia che ha ridotto ai minimi termini ogni tipo di attività economica in Tunisia. Inoltre il sistema sanitario è al collasso, sotto la pressione del record di infezioni giornaliere delle ultime settimane.

L’aiuto di altri Paesi arabi e una scelta di rottura

La situazione è talmente grave che il presidente Keys Said è stato costretto a chiedere aiuto alle nazioni arabe vicine, ma anche a quelle più distanti. Gli Emirati Arabi, il Qatar e persino la Siria si sono mobilitati fornendo quanto possibile per dare assistenza ai fratelli arabi tunisini. Ma questo non è bastato. La popolazione negli ultimi giorni è scesa ripetutamente in piazza contro il governo chiedendone le dimissioni, oltre a chiedere le dimissioni del parlamento. Il presidente Keys Said ha deciso di operare in modo radicale, dimissionando l’attuale premier Hichem Mechichi e il suo governo. Un’azione fatta, secondo la tesi dello stesso presidente Keys Said, sulla base dell’articolo 80 della Costituzione.

Su questo punto gran parte degli osservatori sono unanimemente d’accordo che come minimo è stata una forzatura delle norme costituzionali. I rappresentanti dei principali partiti tunisini hanno parlato di colpo di Stato, in quanto il Parlamento, stante la situazione attuale, non è in grado di riunirsi. Infatti l’esercito blocca l’accesso all’edificio del Parlamento.

Il presidente del maggiore partito della Tunisia (Ennahda) è Rached Ghannouchi, che riveste anche la carica di presidente del Parlamento tunisino. Il partito Ennahda viene considerato uno dei partiti islamici moderati. Rached Ghannouchi, ottantenne politico di vecchia data, esiliato politico ai tempi di Ben Alì, ha cercato di entrare in Parlamento, ma è stato lui stesso bloccato dall’esercito.

Per molti tunisini decidere è più importante della democrazia

Negli ultimi due anni, dopo le elezioni presidenziali e del parlamento del 2019, si sono succeduti governi di breve durata, l’ultimo dei quali è presieduto fino a poco fa da Hichem Mechichi, che non ha brillato per rapidità ed efficienza di azione. Tra i bersagli della destituzione del governo da parte di Keys Said il ministro della Difesa, Brahim Berteji, e la ministra della Giustizia, Hasna Ben Slimane. In realtà, e questo è sicuramente preoccupante, in questo modo il presidente ha preso il diretto controllo di due ministeri cruciali per la gestione autoritaria di un Paese. L’impossibilità di accedere al parlamento fa quindi il resto in un quadro dove la democrazia è decisamente in difficoltà. In questo quadro davvero complicato la popolazione, esasperata per una crisi economica senza fine e il numero di morti per Covid in crescita, sembra in maggioranza a sostegno dell’azione del presidente Keys Said.

Quello che preoccupa la popolazione è la perenne fase di stallo politico che non permette di prendere decisioni semplici ed efficaci. Dalle ultime elezioni è scaturito un parlamento dove nessun partito ha più del 25 per cento. Anche l’esperienza italiana ci dice che i governi di coalizione non sempre (anzi, quasi mai) brillano per decisionismo. Per una popolazione di breve esperienza democratica, avere qualcuno che possa con il pugno duro mette in atto in provvedimenti che serve è semplicemente come dell’aria fresca. La questione della legittimità democratica di queste azioni non riveste particolare importanza secondo le molte persone intervistate.

Al Jazeera chiusa come anche il parlamento

In questa situazione davvero confusa anche una TV araba come Al Jazeera ha avuto la stessa sorte del parlamento. La sede tunisina di Al Jazeera è stata chiusa con la forza e anche la TV di Stato è sotto il diretto controllo del presidente Keys Said. Come si può capire il quadro è davvero preoccupante per la giovane democrazia tunisina. Non è solo Rached Ghannouchi e il suo partito Ennahda a protestare. Anche gli altri due maggiori partiti presenti in parlamento, Heart of Tunisia e Karama, parlano senza mezzi termini di golpe e chiedono la riapertura incondizionata e immediata del parlamento. Sullo sfondo c’è poi la richiesta al Fmi (Fondo Monetario Internazionale) di un prestito che risulterebbe cruciale per riattivare la crescita economica. Ma al momento l’attività politica è sospesa per 30 giorni, ma di fatto ‘sine die’. La fine della vicenda è ancora lontana ed è davvero difficile prevedere gli sviluppi per uno degli Stati arabi del Mediterraneo che si erano dimostrati più virtuosi a livello democratico. Lo scenario geopolitico della zona non fa presagire niente di buono.

Le opinioni espresse in quest’articolo sono le opinioni dell’autore e non riflettono necessariamente quelle di Epoch Times.

 
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