Comitati acqua pubblica: referendum tradito

Tradita la volontà del popolo. Così la pensano i comitati per l’acqua pubblica, dopo una serie di interventi del governo a favore dei privati.

Il risultato del referendum del 2011 sull’acqua stabiliva che gli enti locali non fossero più obbligati a indire gare d’appalto per l’affidamento del servizio idrico pubblico. Il referendum ha anche annullato il principio per cui l’erogatore avrebbe dovuto ricevere un’«adeguata remunerazione del capitale investito».

In senso stretto, alle urne non si è mai deciso in merito alla natura pubblica o privata dell’acqua, ma semmai alla gestione, pubblica o privata, di questo bene di prima necessità. Il M5S e altre forze d’opposizione, però, non vanno tanto per il sottile e ritengono che il referendum, al di là del quesito specifico, fosse espressione della volontà del popolo di volere fuori i privati (e il guadagno) dalla gestione dell’acqua. In questo senso si muoveva una legge di iniziativa popolare, sostenuta dal Movimento e poi approvata, con sostanziali modifiche, dal governo. Ma le modifiche sono state considerate dal M5S come snaturanti la legge originale, tanto che i firmatari grillini hanno ritirato il loro sostegno. La legge voleva eliminare del tutto i privati dalla gestione dell’acqua, ma gli articoli che vi fanno riferimento sono stati stralciati.

Ancora più preoccupante, dal punto di vista della fedeltà al referendum, potrebbe essere il decreto legislativo Madia, almeno per come lo interpretano i movimenti dell’acqua pubblica. Il decreto ristabilirebbe esattamente la dicitura della «remunerazione dei capitali», andando direttamente contro la volontà popolare espressa nel referendum. Va tuttavia segnalato che ogni volta che nella legge si parla di ‘remunerazione dei capitali’ c’è una premessa sulla falsariga di «fatto salvo quanto previsto dalle discipline di settore». Questa precisazione potrebbe in effetti escludere l’acqua da questo principio. La legge in questione, infatti, si applica a una serie di servizi, che comprendono i rifiuti e i servizi energetici. Il decreto, recante il nome di Testo unico sui servizi pubblici locali di interesse economico generale, deve ancora completare l’iter legislativo.

I comitati dell’acqua, tuttavia, marciano senza tentennamenti: «Dichiariamo da subito – affermava il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua in un vecchio comunicato – che nel passaggio alla Camera [del D.lgs Madia] rilanceremo la mobilitazione affinchè il testo venga modificato e ci teniamo a sottolineare che un’altra strada è praticabile, come dimostra l’esperienza di Napoli in cui il servizio idrico è stato ripubblicizzato e quella di Reggio Emilia dove è in dirittura di arrivo un percorso anch’esso volto a una gestione pubblica».

Usa toni ancora più forti il movimento Attac: «Il rilancio delle privatizzazioni dei servizi pubblici risponde a precisi interessi delle grandi lobby finanziarie che non vedono l’ora di potersi sedere alla tavola imbandita di business regolati da tariffe, flussi di cassa elevati, prevedibili e stabili nel tempo, titoli tendenzialmente poco volatili e molto generosi in termini di dividendi: un banchetto perfetto, che Renzi e Madia hanno deciso di apparecchiare per loro».

 
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