L’evoluzione del Belcanto in Italia

Di Alessandro Starnoni

È noto, storicamente, come il Romanticismo in Italia non si sia espresso pienamente, al pari del resto d’Europa, per via della forte influenza classica nel nostro Paese. Mentre infatti in Francia o in Germania ci si abbandonava agli stati anche più estremi dell’emozione umana, in Italia si preferiva mantenere un atteggiamento equilibrato, anche quando si trattava di dare espressione ai propri sentimenti. E proprio questo equilibrio, voluto e trascinato fino agli albori ottocenteschi, ha caratterizzato l’eccellenza dello stile vocale italiano del Belcanto.

Talmente forte era la voglia di mantenere in vita la cultura classica infatti, chissà forse per la vicinanza della Grecia, che gran parte dell’arte italiana si è attivata per soddisfare questo desiderio. Ecco che allora, nel campo della musica, tra il 500 e il 600 è nato il melodramma.

Si è cercato di riproporre quell’incontro tra musica e parola che avveniva già ai tempi dei greci, nei loro teatri. Così ebbe nuova vita, questa volta in lingua italiana, il ‘recitar cantando’. Parola e musica, due concetti distinti amalgamati in un solo prodotto, in una nuova forma d’arte. Da una parte la ragione del logos, dall’altra la musica, che si genera dall’irrazionalità del sentimento.

L’esigenza di recuperare il repertorio classico dei greci tramite il ‘recitar cantando’, ha dato dunque vita al melodramma e contemporaneamente al mezzo per raccontarlo, il Belcanto; quest’ultimo a sua volta, durante la sua esistenza, ha assunto le caratteristiche e le sembianze delle correnti dell’epoca: barocco, classicismo, romanticismo e verismo.

In effetti, il Belcanto agli inizi era uno stile che di romantico aveva ben poco, se non il mero aspetto musicale, che ispirava sentimento. Non a caso alcuni considerano quello dell’epoca di Farinelli, il vero Belcanto: ricami virtuosistici a più non posso e attenzione maniacale all’estetica e allo stile. Il Belcanto nel 600-700 era questo; quell’armoniosa precisione classica del ‘recitar cantando’ era infatti al contempo influenzata dalla sfarzosità barocca, e questo ben si adattava alle esigenze del pubblico che all’inizio l’Opera doveva intrattenere: le corti.

L’avvento di Bellini a inizio 800, che coincide con il periodo di maggior influenza della corrente romantica in Europa, ha modificato sensibilmente anche il modo di intendere l’Opera e lo stesso Belcanto. Si è dato un po’ più di peso all’emozione, pur mantenendo l’armonia e il virtuosismo della tradizione classica e barocca. Tuttavia le modulazioni vocali adesso erano il risultato della necessità di esprimere certi stati d’animo interiori, piuttosto che meri accorgimenti estetici o mezzi per sfoggiare la bravura tecnica del cantante; stati d’animo che erano sovente emozioni d’amore. E questo periodo, l’800, è forse il momento d’oro, d’eccellenza del Belcanto.

L’eccellenza viene dalla bellezza e quest’ultima dalla giusta proporzione delle parti: potremmo dire infatti che l’indisponibilità italiana a voler abbandonare completamente i valori del classicismo, anche in pieno ottocento, ha reso possibile in quel periodo storico, la conciliazione di due correnti opposte, Classicismo e Romanticismo. Questo matrimonio ha dato vita a inizio ottocento al Belcanto così come è comunemente conosciuto oggi, e contemporaneamente a tutta l’Opera di quel periodo. Senza scadere nell’eccesso di emozione, come è accaduto nel resto d’Europa, l’Italia è riuscita a dosare perfettamente questo nuovo ingrediente romantico, diluendolo nel ‘recitar cantando’, e creando di fatto uno stile e una tecnica di canto che nessun altro parte al mondo aveva.

Non è forse il melodramma nella sua accezione completa e nella sua forma più alta, il risultato dell’abbraccio omogeneo tra sfarzosità, raziocinio e sentimento? Come tutte le cose che nascono in questo mondo, il Belcanto ha passato una fase formativa, che facciamo risalire al periodo dei castrati, nel 600-700. L’800 è il periodo di maggior completezza e solidità del Belcanto, in cui le varie correnti del pensiero hanno raggiunto un comune accordo e il giusto equilibrio delle parti. Già da fine 800 e per tutta la metà del XX secolo si è potuto assistere alla fase discendente del Belcanto.

Un periodo quest’ultimo in cui gli artisti mantenevano ancora quel modo di cantare, ma che gradualmente hanno pian piano abbandonato, in favore del realismo. Il verismo è stato quell’impeto emotivo, quel ‘secondo romanticismo’ e quindi quella seconda ondata di emozione sotto la quale la tradizione classica del nostro Paese non è riuscita a non piegarsi, e sotto il quale il delicato equilibrio delle parti si è spezzato, seppur non proprio da un momento all’altro. Fino a Verdi e Puccini possiamo dire che il Belcanto esisteva ancora, in questa diversa veste verista, ma resisteva ancora. Ecco allora che le voci esaltavano quell’emozione  –  che prima se ben dosata contribuiva alla bellezza dell’emissione  –  al massimo, perché tutto doveva sembrare più vero, più reale o più drammatico.

La tendenza è continuata per tutto il novecento fino a sfociare nel ‘recitar urlando’. Le gole dei cantanti, per trasmettere nel modo più prossimo possibile alla realtà una determinata emozione, si aprivano sempre più e le voci erano spinte sempre al loro limite, fino a quando, la cura nell’emissione ha assunto un ruolo del tutto superfluo: quel che contava era solo trasmettere l’emozione, qualunque essa fosse e in qualunque modo. Ma a questo punto, il Belcanto come lo conosciamo, era scomparso dalle scene già da molto tempo.

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