La scienza riscopre il potere curativo della musica

Migliorare la concentrazione, risolvere la depressione, curare malattie varie, ridurre il crimine, governare il Paese: nella Storia antica e contemporanea, la musica è stata utilizzata con successo nei campi più svariati. Ma come mai quest’arte è così potente? E che effetti ha sulla nostra psiche?

Per i popoli antichi, la musica aveva uno scopo etico: doveva educare le masse al Bene. Sia in Oriente che in Occidente era ritenuta fondamentale all’interno della medicina (per i cinesi il carattere ‘Musica’ viene da ‘Medicina’) e spesso aveva un carattere magico, legato alla simbologia dei numeri e alle relazioni tra note, organi vitali, pianeti e altro ancora.

Alcuni studi hanno mostrato come la filosofia che i cinesi mettevano dietro la musica (per esempio associavano ogni nota a un diverso organo del corpo) abbia effetti molto evidenti sulla cura, tra le varie cose, della depressione.
Ci sono inoltre vari casi in cui la musica classica – per esempio di Mozart – è stata utilizzata in stazioni ferroviarie o negozi, con lo scopo di scoraggiare vandali e chiassosi gruppi di giovani: l’esperimento ha avuto grandissimo successo. Per esempio in Australia, la musica di Mozart e Beethoven fatta ascoltare in una stazione ferroviaria sembra aver ridotto notevolmente gli atti di vandalismo.
In una scuola a Derby in Inghilterra, l’ascolto di Beethoven per un’ora per i bambini disobbedienti, ha mostrato un miglioramento del comportamento pari al 50 per cento, secondo il Sydney Morning Herald.

Sebbene questi non siano test scientifici veri e propri, i risultati sperati sono stati ottenuti, anche oltre le aspettative. Alcuni dicono che i violenti e i ribelli non gradiscono la musica classica e quindi stanno lontano dai luoghi in cui viene riprodotta. Per altri, invece, la musica classica ha un effetto calmante e quindi previene violenza e distruzione. È probabile che entrambi i fattori svolgano il proprio ruolo.

Uno studio dell’Iowa State University ha concluso che la musica rap rende aggressivi e che la tecno mette in azione gli ormoni dello stress. La musica monotona e/o troppo veloce peggiora l’umore e la capacità di apprendimento. La musica classica, invece, è molto utile all’apprendimento, e dà buoni risultati nel migliorare la concentrazione durante lo studio.

RICERCHE SUL CERVELLO

Giorgio Fabbri, direttore d’orchestra ed esperto dell’utilizzo della musica a scopo formativo ed educativo, racconta che oggi la ricerca si sta focalizzando sullo studio dei precisi elementi che producono in noi certe emozioni. I ricercatori non stanno quindi studiando i generi musicali, ma i singoli elementi della musica (ritmo, armonia, melodia, volume, timbro).

La reazione a un pezzo musicale, spiega Fabbri, deriva da una «quantità molto ampia di variabili», tra cui il «contesto nel quale una persona nasce, vive, cresce». Una canzone pop non avrà necessariamente lo stesso effetto su un Occidentale e un Orientale. Per esempio le forme musicali utilizzate per i funerali in Europa Occidentale, sono abbastanza diverse da quelle dell’Europa Orientale e del Vicino Oriente, che a volte hanno ritmo accelerato e tonalità maggiore, spiega Fabbri.

Nonostante questo forte fattore di relativismo crei difficoltà agli scienziati, negli ultimi 10 anni sono stati compiuti notevoli progressi. Con la risonanza magnetica funzionale è ora possibile osservare direttamente le reazioni del cervello di una persona all’ascolto: «Quando ascoltiamo, è come se l’intero cervello si attivasse, si ‘accendesse’, si illuminasse».

E la cosa interessante è che la musica, indipendentemente dal genere, coinvolge sia la parte di cervello legata alla ragione e alla logica che quella legata alle emozioni. E questo – dice Fabbri – libera la musica dal pregiudizio di essere un’arte puramente legata all’emozione.

Per ora la scienza è molto lontana dall’aver identificato la musica adatta per ottenere un preciso effetto, ma nonostante tutto, alcuni elementi chiave sembrano chiari e oggettivi. Per esempio, come è comprensibile, un brano lento, in tonalità minore e composto principalmente da archi, tenderà a evocare sentimenti di malinconia. Mentre un ritmo veloce, con una orchestra sinfonica e molti ottoni e trombe, in tonalità maggiore, darà una sensazione energizzante e positiva. Dosando bene gli ingredienti della ricetta musicale – ritmo, armonia, melodia, timbro, volume, tipo di strumento usato – si può produrre un «cibo musicale diverso», adatto a uno specifico scopo. Se per questo può essere necessario ancora del cammino, è per lo meno possibile osservare l’effetto che hanno certi brani musicali e creare specifiche playlist. Se qualcuno ha bisogno di energia, si potrà quindi creare una playlist adatta allo scopo.

La musica ha perciò potenzialità immense, sia che la ascoltiamo consapevolmente per ottenere un risultato, sia se – come spesso capita ai più – la ascoltiamo passivamente. Le recenti scoperte confermano quindi la «lungimiranza dei nostri antenati», dice Fabbri. Ad esempio, oltre al ruolo che la musica aveva nei tempi antichissimi, anche nel Medioevo si parlava del quadrivium, le quattro maggiori arti liberali, cioè quelle legate al pensiero. Per i nostri antenati queste quattro arti erano la geometria, l’aritmetica, l’astronomia e – al vertice – la musica. Le materie basilari da padroneggiare prima di queste quattro più elevate, costituivano il trivium: logica, grammatica, retorica.

I nostri antenati quindi valutavano la musica come l’arte più elevata, mentre la logica era vista solo come una conoscenza di base. Oggi, invece – dice Fabbri – sotto l’influenza del pensiero Cartesiano abbiamo dato alla logica (e al pensiero ‘scientifico’, quindi) il primato sulle discipline, relegando la musica quasi a mero passatempo.

Ma questo ‘passatempo’, che ne siamo consapevoli o meno, ha un potere enorme, e può fortemente condizionare le nostre vite. E non è escluso che possa diventare – o meglio tornare a essere – una potente forma di medicina. Come diceva il filosofo Leibniz, Musica est exercitium arithmeticae occultum nescientis se numerare animi, ovvero: «la musica è una pratica occulta dell’aritmetica, dove l’anima non sa di calcolare».

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