Fermare la «coltivazione fetale» umana prima che inizi

Di Wesley J. Smith

La notizia ha scosso il mondo scientifico: degli embrioni di topo sono stati sviluppati con successo a metà del normale periodo di gestazione, utilizzando uteri artificiali. Gli scienziati ne sono estasiati.

Il New York Times ha riportato: «Gli embrioni di topo sembravano perfettamente normali. Tutti i loro organi si stavano sviluppando come previsto, insieme agli arti e ai sistemi circolatorio e nervoso. I loro piccoli cuori pulsavano alla normale velocità di 170 battiti al minuto».

Nel frattempo, gli scienziati coinvolti nella ricerca sull’embrione umano si stanno muovendo rapidamente sulla stessa linea degli sperimentatori dell’utero artificiale del topo. I ricercatori attualmente lavorano secondo una linea guida volontaria, nota come «regola dei 14 giorni» che richiede agli sperimentatori di embrioni di interrompere i loro studi e distruggere i loro embrioni di ricerca dopo due settimane.

Quando è stata emanata, la regola era molto meno significativa di quanto si potesse immaginare poiché gli scienziati non erano comunque in grado di mantenere gli embrioni fuori dal corpo di una donna per più di due settimane. Pertanto, non hanno dovuto concedere granché, quando si sono imposti questa regola: hanno assicurato a un pubblico diffidente che il loro lavoro sarebbe stato strettamente limitato nella portata, senza rinunciare a nulla di concreto che avrebbero potuto effettivamente realizzare.

Ora, però, la sperimentazione è arrivata al punto che presto gli embrioni potranno essere mantenuti per più di 14 giorni. E sorpresa, sorpresa! Gli scienziati vogliono eliminare la regola dei 14 giorni e permettere che la nascente vita umana venga sottoposta ad esperimenti molto più avanti nel sua sviluppo. Questi processi richiederanno quasi sicuramente l’uso di uteri artificiali.

Gran parte di questa futura sperimentazione implicherà l’apprendimento di come manipolare eugeneticamente i bambini. Ecco ciò che giunge dal MIT Technology Report sulle crescenti richieste di eliminare la regola dei 14 giorni: «Gli scienziati sono motivati ​​a far crescere gli embrioni più a lungo per studiare, e potenzialmente manipolare, il processo di sviluppo. […] Nuovi esperimenti “potrebbero accendere dibattiti sull’aborto”, specialmente se i ricercatori sviluppano embrioni umani al punto in cui assumono caratteristiche riconoscibili come una testa, cellule cardiache che battono o l’inizio di arti».

Dovrebbe stimolare il dibattito! Non stiamo parlando di «cellule del cuore che pulsano», ma dei cuori umani degli esseri umani nascenti. E contrariamente alla narrazione dal Technology Report, queste domande etiche non hanno assolutamente nulla a che fare con l’aborto, dal momento che a nessuna donna sarebbe imposto o chiesto di fare qualcosa con il suo corpo. La domanda che questi esperimenti ci costringono così ad affrontare – e a rispondere – è se la vita umana non ancora nata abbia un valore morale intrinseco e, in tal caso, in quale misura.

Alcuni pro-vita sperano che questa tecnologia possa salvare i bambini dall’aborto, ma prima ancora di arrivare a questo problema, è necessario considerare se lo sviluppo di uteri artificiali umani possa essere realizzato in modo etico.

Francamente, risulta difficile vedere come. Il perfezionamento di una macchina del genere comporterebbe la creazione di massa di embrioni umani e la loro ripetuta distruzione negli esperimenti, mentre i ricercatori si sforzano di mantenere gli embrioni per periodi di tempo sempre più lunghi, anzi, alla fine anche nella fase fetale.

Questa sarebbe la sperimentazione umana del tipo più crudo, con feti vivi mantenuti in un ambiente artificiale, non solo allo scopo di far nascere bambini o di imparare a salvare i bambini che rischiano di nascere morti, ma anche perché vengano usati come topi da laboratorio: per esempio, come fonti di organi per il trapianto, una prospettiva già discussa in bioetica nota come «agricoltura fetale».

Siamo davvero disposti ad arrivare a tanto? Potremmo, perché lo abbiamo già fatto.

Alla fine degli anni 60, i ricercatori hanno condotto esperimenti su bambini nati «abortiti» tenuti in vita per la sperimentazione.

Segue la descrizione (un po’ forte) di uno di questi esperimenti, come riportato da Pamela R. Winnick nel suo libro A Jealous God: «In uno studio del 1968 chiamato ‘Artificial Placenta’, da una ragazza di quattordici anni, presumibilmente mediante un aborto terapeutico, è stato ottenuto un feto di ventisei settimane, del peso di più di un chilo. Insieme ad altri quattordici feti, è stato immerso in un liquido contenente ossigeno e tenuto in vita per ben cinque ore».

Winnick ha poi citato lo studio stesso, che affermava: «Per tutte le 5 ore di vita, il feto non ha respirato. Movimenti irregolari di respiro affannoso si sono verificati due volte al minuto nel mezzo dell’esperimento, ma non c’era una respirazione adeguata. Una volta interrotta la profusione [pompaggio di sangue ossigenato, ndr], tuttavia, gli sforzi respiratori ansimanti sono aumentati da 8 a 10 al minuto. […]. Dopo aver interrotto il circuito, il cuore ha rallentato, è diventato irregolare e alla fine si è fermato. […]. Il feto era silenzioso, con movimenti occasionali degli arti molto simili a quelli riportati in altri lavori umani. […] Il feto è morto 21 minuti dopo aver lasciato il circuito».

Dopo che questi macabri esperimenti divennero noti pubblicamente, furono fermati da un Congresso oltraggiato – guidato dal senatore Ted Kennedy, tra tutte le persone – che impedì al National Institutes of Health di finanziare tali esperimenti.

Ma a quei tempi le considerazioni sulla santità della vita avevano una maggiore influenza. Tuttavia, anche l’America di oggi proverebbe la stessa repulsione verso tali esperimenti?

In effetti, il terreno è già pronto per consentire la ripresa degli esperimenti sui feti viventi. Ad esempio, il Vermont ha recentemente emanato uno statuto che afferma: «Un ovulo, un embrione o un feto fecondato non deve avere diritti indipendenti ai sensi della legge del Vermont». Di nuovo, questo non ha niente a che fare con l’aborto. Tale disposizione può solo significare che qualsiasi embrione o feto può essere destinato a qualsiasi uso strumentale senza conseguenze legali.

Il momento per decidere se vogliamo intraprendere questa strada utilitaristica, dovrebbe essere prima di arrivarci effettivamente, non quando la crisi etica ricade su di noi e non c’è tempo per pensare. Per lo meno, abbiamo bisogno di emanare una moratoria legalmente applicabile che impedisca la sperimentazione fetale dal vivo per dare al mondo il tempo di risolvere l’etica del perseguimento di tali tecnologie negli esseri umani attraverso la deliberazione democratica.

Fluttuare semplicemente con la corrente e lasciare che «gli scienziati» decidano la correttezza morale dell’allevamento fetale, non andrà proprio bene.

 

L’autore pluripremiato Wesley J. Smith è presidente del Centro sull’eccezionalismo umano del Discovery Institute.

Le opinioni espresse in quest’articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente quelle di Epoch Times.

 

Articolo in inglese: Stop Human ‘Fetal Farming’ Before It Starts



 
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