Crisi alimentare, non è tutta colpa dell’Ucraina

Di Daniel Lacalle

Si sta parlando molto di un’incombente crisi alimentare e in primo luogo della carenza di cereali. La ragione principale di questa possibile crisi viene identificata con l’invasione dell’Ucraina. Tuttavia, questo non è il quadro completo.

Molti Paesi in tutto il mondo hanno un forte deficit nella produzione di cereali, che sono essenziali per nutrire il bestiame da allevamento. Il principale colpevole di ciò è l’aumento dell’interventismo governativo, che ha fatto salire i costi di produzione anche mentre i prezzi dell’energia erano relativamente bassi, il tutto anche grazie a un livello insostenibile di restrizioni che hanno reso impossibile per gli agricoltori continuare a piantare e produrre cereali.

Nel 2020, l’Ucraina ha prodotto il 3% del grano mondiale e la Russia l’11%: insieme producono quasi tanto grano quanto l’intera Unione Europea. Ma il vero motivo di questo è che l’Ue ha reso impossibile il produrre grano in modo economicamente sostenibile.

Secondo il sito web dell’Ue, i principali costi (categorie di spesa) per la produzione di cereali sono sementi, fertilizzanti, agrofarmaci e macchinari/infrastrutture. Secondo il rapporto sulle aziende cerealicole dell’Ue, nel 2017 il costo operativo totale medio dell’Ue per i cereali era di 635 euro per ettaro. In termini di colture, l’Ue riconosce che la produzione di mais ha i costi più elevati a tutti i livelli, ad eccezione del costo per la protezione delle colture, che è maggiore per la produzione di grano tenero.

In genere, le aziende di cereali nelle economie con alti livelli di intervento del governo erano già in perdita nel 2019, secondo il Center for Commercial Agriculture della Purdue University: «Le perdite medie per le aziende agricole tipiche di Argentina, Australia, Indiana e Kansas sono state rispettivamente di 46 dollari, 1 dollaro, 94 dollari e 16 dollari per acro. Le aziende tedesche avevano i costi diretti, operativi e generali per ettaro più elevati (rispettivamente 535 dollari, ​​573 dollari e 506 dollari per ettaro)». In quanto tali, quindi, anche le aziende agricole tedesche sono risultate antieconomiche.

La maggior parte delle fattorie medie ha prodotto una perdita anche nei periodi pre-pandemici, mentre il profitto economico più alto guadagnato è stato di 66 euro per acro (163 euro per ettaro) per la tipica fattoria russa.

L’aumento dei costi di produzione è derivato dall’aumento degli oneri amministrativi, dalle pressioni ambientali e dall’aumento delle tasse sugli agricoltori nel bel mezzo di periodi meteorologici difficili, come abbiamo visto in tutta Europa. In Europa, gli agricoltori hanno assistito all’aumento dei salari minimi e all’aumento delle tasse dirette e indirette oltre a un aumento vertiginoso del costo dell’energia guidato dal costo delle emissioni di Co2 che si moltiplicava. E questo anche prima che i prezzi del petrolio e del gas naturale aumentassero a causa della guerra. Il costo medio diretto e indiretto è aumentato anche nei periodi in cui l’inflazione degli input energetici era bassa. Ciò ha fatto sì che i produttori minori reagissero meno rapidamente alle variazioni dei prezzi e molte aziende agricole semplicemente si arrendessero.

In qualsiasi altra circostanza, il crollo parziale dell’offerta da Ucraina e Russia non avrebbe avuto un impatto significativo, come sottolinea l’analista Aaron Smith. Scrive : «Quanto sono comuni shock di mercato di questa portata? Le esportazioni di grano russe e ucraine rappresentavano il 7,3% della produzione globale nel 2020. La produzione di grano è diminuita del 6,3% nel 2010, in parte a causa di una siccità che ha ridotto la produzione russa di 20 milioni di tonnellate. Diminuzioni altrettanto grandi si sono verificate anche nel 1991, 1994, 2003 e 2018».

Si potrebbe prevenire una crisi alimentare globale, ma Paesi come Egitto, Libano, Sudan e altri Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa potrebbero vivere un momento molto difficile poiché l’Ucraina e la Russia rappresentano tra il 60 e il 90% della loro fornitura.

Non va dimenticato che le proteste della «primavera araba» di fine 2010 sono nate anche a causa dell’insopportabile aumento dei prezzi dei generi alimentari. Il rischio di una situazione simile ora non è piccolo.

I governi di tutto il mondo avrebbero dovuto imparare da queste precedenti esperienze e alleggerire gli oneri amministrativi e fiscali sull’agricoltura per consentire al mercato di fornire flessibilità in tempi di problemi di approvvigionamento da una o due nazioni. Invece abbiamo visto più rigidità, più tasse e maggiori restrizioni che hanno limitato la possibilità di allentare i problemi della catena di approvvigionamento.

Ciò non significa che l’agricoltura non abbia bisogno di una regolamentazione per crescere e prosperare. Significa che l’eccessiva regolamentazione e le spinte governative basate sui costi hanno limitato la capacità degli agricoltori di affrontare con successo le sfide esterne. La decisione di rendere obbligatorio un uso maggiore dei biocarburanti – come quella degli Stati Uniti che richiede che almeno il 10 percento di tutta la benzina provenga da etanolo ricavato dal mais – quando milioni di persone potrebbero dover affrontare carenze alimentari, è una di quelle decisioni illogiche.

La guerra in Ucraina o i difficili cambiamenti climatici non causerebbero una carenza alimentare in un ambiente normale di libero scambio e in cui è facile fare affari. Se c’è un rischio di penuria di cibo, esso deriva da anni in cui le possibilità per gli agricoltori sono stati aumentate e i loro costi di produzione sono stati fatti aumentare continuamente con tasse dirette e nascoste, e soprattutto non necessarie.

 

Daniel Lacalle, Ph.D., è capo economista presso l’hedge fund Tressis e autore di «Freedom or Equality», «Escape from the Central Bank Trap» e «Life in the Financial Markets».

Le opinioni espresse in quest’articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente quelle di Epoch Times.

Articolo in inglese: Food Shortages May Come From Excessive Intervention

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