Commento, il Texas fa bene a difendere la propria sovranità dall’invasione al confine

Di Josh Hammer

L’aggettivo «orwelliano» può essere abusato nel nostro discorso politico. Ma come descrivere altrimenti una situazione in cui il governo federale abdica alla sua responsabilità di proteggere il confine spalancato della nazione e poi, quando uno Stato si fa avanti per aiutare a tamponare l’emorragia, gli viene detto dallo stesso governo federale di fermarsi e che i suoi sforzi per aiutare a proteggere il confine con una nuova barriera di filo spinato saranno annullati?

C’è solo una parola adatta: «orwelliano».

Lunedì la Corte Suprema degli Stati Uniti ha votato 5-4 – con il moderato Presidente della Corte John Roberts e la giudice di centro-destra Amy Coney Barrett che si sono uniti ai colleghi liberali – a favore dell’amministrazione Biden, che aveva chiesto alla Corte di autorizzare i suoi agenti della Border Patrol a tagliare o rimuovere le recinzioni protettive di filo spinato installate dai funzionari del Texas lungo il Rio Grande assediato. La sentenza della Corte è semplicemente sorprendente.

Nell’ordinamento costituzionale federalista americano, sia il governo federale che gli Stati agiscono come attori pienamente sovrani che operano all’interno delle loro sfere di legittima autorità di governo. Il governo federale – che a sua volta è stato creato alla fine del 1780 dagli Stati allora preesistenti – non è assolutamente nella posizione di chiedere agli Stati di minare deliberatamente la propria sovranità. Questo è particolarmente vero quando lo stesso governo federale si rifiuta ostinatamente di garantire l’integrità territoriale della nazione, come è avvenuto durante la disastrosa presidenza di Joe Biden.

Che sia il governo federale che gli Stati possano esercitare il potere come entità pienamente sovrane all’interno dell’ordinamento costituzionale statunitense è un principio di diritto costituzionale.

Come ha scritto il defunto giudice Antonin Scalia nella causa della Corte Suprema del 2012 Arizona contro Stati Uniti, «come sovrano, l’Arizona ha il potere intrinseco di escludere le persone dal suo territorio, soggetto solo a quelle limitazioni espresse nella Costituzione o costituzionalmente imposte dal Congresso» (nel caso attuale del Texas, non esiste alcuna limitazione costituzionale o imposizione del Congresso). Più avanti, nel suo scritto separato sull’Arizona, Scalia ha continuato: «Dopo l’adozione della Costituzione c’era qualche dubbio sul potere del governo federale di controllare l’immigrazione, ma nessun dubbio sul potere degli Stati di farlo». (enfasi aggiunta).

Verso la fine, Scalia si avvicina al suo epilogo: «Ma si è avverato, ed è oggi con noi, lo spettro che l’Arizona e gli Stati che la sostengono avevano previsto: Un governo federale che non vuole far rispettare le leggi sull’immigrazione così come sono state scritte, e che lascia i confini degli Stati senza protezione contro gli immigrati che quelle leggi escluderebbero. La questione è dunque spinosa. Gli Stati sovrani sono alla mercé del rifiuto dell’esecutivo federale di far rispettare le leggi nazionali sull’immigrazione?»

Sembra purtroppo che la risposta sia «sì». Sostituendo «Arizona» con «Texas», oggi non è cambiato nulla.

La reazione del governatore del Texas Greg Abbott è stata rapida e provocatoria. Mercoledì Abbott ha rilasciato una dichiarazione in cui, citando Scalia in Arizona, lamentava come il governo federale «abbia infranto il patto» che esiste tra esso e i vari Stati. Ha formalmente dichiarato una «inva(sione)» ai sensi dell’articolo I, sezione 10, clausola 3 della Costituzione. Tale espressa disposizione costituzionale, che riflette il diritto inalienabile degli Stati sovrani all’autodifesa, è necessariamente suprema rispetto a qualsiasi singola ordinanza della Corte Suprema. Il Texas sta quindi costruendo una nuova recinzione di filo spinato.

Il Texas ha ragione a mantenere la sua posizione. In primo luogo, l’ordinanza della Corte Suprema ha permesso agli agenti della Border Patrol di rimuovere il filo metallico; non ha detto nulla sulla possibilità per i funzionari del Texas di costruirne di nuovo. In secondo luogo, anche se ci fosse uno scontro diretto tra il Texas e la Corte, il fatto che il Texas si basi su un’espressa disposizione costituzionale per dichiarare una «inva(sione)» – e quindi affermare il suo inequivocabile diritto a proteggere i propri confini – ha la precedenza su un editto della Corte Suprema. Infine, a meno che non si accetti erroneamente la premessa illogica (e francamente antiamericana) della supremazia giudiziaria, in base alla quale le sentenze della Corte Suprema rappresentano la «legge del Paese» definitiva e onnicomprensiva, si dovrebbe sostenere la capacità dello Stato del Texas di interpretare autonomamente la Costituzione.

Agire come ha fatto il Texas non significa invocare il dibattito antebellico sulla «nullificazione» e resuscitare il fantasma di John C. Calhoun. L’azione del Texas in questo caso è più vicina all’«interposizione», un concetto costituzionale legittimo spiegato da James Madison in The Federalist No. 46: «Anche se si ammettesse, tuttavia, che il governo federale possa pensare di avere una disposizione uguale a quella dei governi statali a estendere il proprio potere oltre i limiti dovuti, questi ultimi sarebbero comunque avvantaggiati nei mezzi per sconfiggere tali sconfinamenti».

L’invasione di massa che si sta verificando al confine meridionale degli Stati Uniti è illegale, immorale e insostenibile. La sua portata è davvero senza precedenti nella nostra storia e rappresenta una minaccia mortale per la nazione. Dio benedica Greg Abbott e il grande Stato del Texas, che giustamente custodisce la propria sovranità e rettamente si rifiuta di piegarsi all’amministrazione presidenziale più illegale della storia americana.

 

I punti di vista espressi in questo articolo sono le opinioni dell’autore e non riflettono necessariamente i punti di vista di Epoch Times.

Articolo in lingua inglese: Texas Is Correct to Defend Its Sovereignty From the Border Invasion

 
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