A oltre due anni dall’inizio del conflitto, Russia e Ucraina si sono sedute di nuovo allo stesso tavolo per colloqui di pace diretti. L’incontro, avvenuto a Istanbul ieri rappresenta il primo dialogo faccia a faccia tra le parti dal marzo 2022. L’esito più tangibile è stato un accordo per lo scambio reciproco di mille prigionieri di guerra, il maggiore dall’inizio delle ostilità.
Al di là del valore simbolico dell’intesa, restano forti le incertezze sul futuro dei negoziati. Il ministro degli Esteri statunitense, Marco Rubio, ha espresso scetticismo circa possibili sviluppi sostanziali, sottolineando che senza un incontro diretto tra il presidente Trump e il presidente Putin sarà difficile ipotizzare una svolta, soprattutto sul fronte di un eventuale cessate il fuoco.
Trump, in visita ad Abu Dhabi, ha ribadito la propria disponibilità a incontrare Putin, lasciando intendere che l’iniziativa potrebbe concretizzarsi. Le sue dichiarazioni oscillano tra apertura e prudenza: «Ci incontreremo: forse riusciremo a trovare una soluzione, forse no. Ma quantomeno avremo un quadro più chiaro della situazione» ha dichiarato.
I colloqui di venerdì sono durati meno di due ore con la delegazione ucraina guidata dal ministro della Difesa, Rustem Umerov, mentre quella russa da Vladimir Medinsky, consigliere del Cremlino. Umerov ha affermato che si è discusso sia del cessate il fuoco che della liberazione dei prigionieri, concludendo con l’accordo sullo scambio paritario. Anche Medinsky ha confermato i termini dell’intesa, aggiungendo che i due Paesi si sono impegnati a preparare proposte dettagliate per un possibile cessate il fuoco.
Nel frattempo Putin ha respinto l’invito del presidente ucraino Zelensky a un incontro bilaterale ad Ankara, spingendo il leader ucraino a rinunciare alla propria presenza fisica ai colloqui. Zelensky, che accusa Mosca di scarsa sincerità, ha definito la delegazione russa «una comparsa teatrale».
Il presidente turco Erdoğan, mediatore centrale in questa fase, ha ricevuto Zelensky ad Ankara prima che quest’ultimo si dirigesse in Albania per un vertice europeo. La comunità internazionale osserva con attenzione, ma senza illusioni. Il premier britannico Keir Starmer ha ribadito che, a suo avviso, l’ostacolo principale alla pace resta la posizione russa.
Nel frattempo, i combattimenti sul terreno proseguono. Dopo una breve tregua unilaterale russa dall’8 al 10 maggio – coincisa con l’anniversario della fine della Seconda guerra mondiale – le ostilità sono riprese. Nelle ultime ore, Kiev ha denunciato nuovi attacchi condotti da droni russi. Inoltre, l’aeronautica ucraina ha confermato lo schianto di un F-16 di fabbricazione statunitense, il secondo da quando l’Ucraina ha iniziato a riceverli lo scorso anno.
Il bilancio umano del conflitto continua a salire, con decine di migliaia di soldati uccisi da entrambe le parti e un numero non precisato di vittime civili. In questo contesto, ogni apertura diplomatica appare un passo necessario, seppur insufficiente. Lo scambio di prigionieri rappresenta un gesto di distensione, ma i nodi strutturali del conflitto restano irrisolti. E finché non si registrerà un impegno chiaro e condiviso per una tregua duratura, la speranza di una vera pace resterà affidata agli incontri che – per ora – sembrano più tattici che risolutivi.