Negli ultimi anni, il panorama petrolifero dell’Iraq — secondo produttore dell’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio — ha vissuto una profonda trasformazione. Mentre alcune major mondiali riducono la loro presenza, una nuova ondata di compagnie cinesi “indipendenti” investe miliardi di dollari, sfidando il predominio delle grandi aziende statali di Pechino. Attirate da contratti più redditizi, queste imprese minori puntano a raddoppiare la produzione, raggiungendo i 500 mila barili al giorno entro il 2030. Per Baghdad, che cerca ancora di attrarre i colossi occidentali, l’ascesa di questi “attori privati” cinesi segna una svolta, spinta dalla necessità di accelerare i progetti estrattivi, secondo fonti del ministero dell’Energia iracheno.
Deciso ad aumentare la produzione oltre il 50%, superando i 6 milioni di barili giornalieri entro il 2029, l’Iraq ha beneficiato di una maggiore stabilità politica, migliorando l’attrattività per gli investitori. Questo ha aperto la strada a società come Geo-Jade Petroleum, United Energy Group, Zhongman Petroleum e Anton Oilfield Services Group, che nel 2024 si sono aggiudicate metà delle licenze esplorative messe in gara. Il passaggio, introdotto un anno fa, a contratti basati sulla condivisione dei profitti — in sostituzione di quelli a remunerazione fissa — ha favorito l’ingresso di queste realtà, più agili delle grandi compagnie statali cinesi e più propense al rischio rispetto a molti investitori occidentali. Le compagnie “indipendenti” cinesi si distinguono per velocità e capacità esecutiva. Secondo gli esperti, offrono finanziamenti competitivi, impiegano manodopera ed equipaggiamenti cinesi a basso costo e accettano margini di profitto ridotti pur di garantirsi contratti a lungo termine. Operano in aree ad alto rischio rispettando tempi serrati: dove le aziende occidentali impiegano 5-10 anni per sviluppare un giacimento, alle cinesi ne bastano 2-3. L’amministratore delegato di Geo-Jade, Dai Xiaoping, sottolinea che i costi di gestione sono inferiori sia rispetto ai concorrenti occidentali sia alle stesse grandi aziende statali cinesi. Oggi trivellare un pozzo in un grande giacimento iracheno costa tra 4 e 5 milioni di dollari, circa la metà rispetto a 10 anni fa.
Tra i progetti più significativi, a maggio 2025 un consorzio guidato da Geo-Jade ha firmato un accordo da 848 milioni di dollari per rilanciare il giacimento di Tuba, nel sud dell’Iraq, puntando a una produzione di 100 mila barili al giorno e alla costruzione di una raffineria da 200 mila barili. L’obiettivo è riportare il giacimento, in gran parte inattivo, a 40 mila barili entro metà 2027. Geo-Jade, quotata a Shanghai, prevede inoltre di avviare la produzione nel blocco di Naft Khana, vinto nel 2018, con 15 mila barili al giorno entro il 2027, e nel giacimento di Huwaiza, nella provincia di Meysan, con 10 mila barili nella seconda metà dello stesso anno. Il progetto comprende anche un complesso petrolchimico e due centrali elettriche, per un investimento complessivo di diversi miliardi di dollari. Anche Zhenhua Oil — piccola azienda statale che nel 2008 aveva collaborato con Cnpc per sviluppare il giacimento di Ahdab, il primo grande progetto estero dopo la caduta di Saddam Hussein — punta a raddoppiare la produzione fino a 250 mila barili al giorno entro il 2030. Zhongman Petroleum ha annunciato a giugno un investimento di 481 milioni di dollari nei blocchi Medio Eufrate e Baghdad Est Nord, assegnati nel 2024. United Energy Group, quotata a Hong Kong, produce già 120 mila barili nel blocco 9 e ha ottenuto una licenza per esplorare il blocco di Fao. Anton Oilfield Services, passata da gestore di progetti a operatore diretto, svilupperà invece il giacimento di Dhufriya nella provincia di Wasit.
L’espansione cinese, tuttavia, non è priva di rischi. Esperti del settore sollevano dubbi su trasparenza e standard tecnici di queste aziende, spesso criticate per l’uso massiccio di manodopera cinese e per l’assegnazione agli iracheni di ruoli meno qualificati e mal retribuiti. Inoltre, la preferenza per soluzioni a basso costo potrebbe compromettere l’obiettivo strategico di Baghdad di introdurre tecnologie avanzate nei propri giacimenti.
Ma l’Iraq continua ad attrarre anche le major occidentali. TotalEnergies ha annunciato nel 2023 un progetto da 27 miliardi di dollari, mentre Bp sarebbe pronta a investire fino a 25 miliardi per riqualificare quattro giacimenti nella regione curda semi-autonoma.