Un primo bilancio del ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca

di Victor Davis Hanson per ET USA
10 Novembre 2025 15:00 Aggiornato: 10 Novembre 2025 15:00

La sinistra e i giornaloni alternano crisi isteriche passando da uno psicodramma all’altro su Donald Trump, mentre il presidente risponde stuzzicandoli con sarcasmo sui social. Ma, al di là delle parole, a contare sono i dati fattuali dei primi nove mesi della sua nuova presidenza, iniziata il 20 gennaio 2025, confrontati con l’anno precedente o con le medie quadriennali dell’amministrazione Biden.

Non si saprà mai con precisione quante persone abbiano varcato illegalmente i confini — o siano rimaste negli Stati Uniti clandestinamente — durante i quattro anni di “frontiere aperte” di Joe Biden. È però certo che si sia trattato di un record: oltre sette milioni di ingressi illegali.
Con Trump, invece, la frontiera è oggi sotto stretto controllo. Prima del suo ritorno alla Casa Bianca, si registravano anche diecimila attraversamenti di clandestini al giorno. In soli nove mesi, circa due milioni di migranti irregolari sono stati espulsi o si sono allontanati volontariamente. Il tasso di attraversamenti illegali oggi è il più basso dal 1970.

Nei primi nove mesi dell’attuale presidenza Trump, il prezzo medio della benzina si è attestato a 3,19 dollari al gallone [pari a circa 1 euro e 18 centesimi al litro, ndr], contro i 3,30 del 2024 e una media quadriennale di 3,46 dollari durante l’amministrazione Biden, quando la produzione petrolifera si manteneva attorno ai 12,3 milioni di barili al giorno. Con Trump è già salita a 13,5 milioni.
Biden aveva inoltre attinto per circa 200 milioni di barili alla riserva strategica di petrolio, lasciandola a quota 394 milioni al termine del suo mandato. Nei primi mesi del 2025, Trump ha invertito la tendenza: la riserva è risalita a 406 milioni di barili e sono stati programmati nuovi acquisti.

Durante gli anni di Biden, la crescita media annua del Pil statunitense è stata del 2,9 per cento. Nel secondo trimestre del 2025, il Pil sotto la guida di Trump è aumentato al 3,8 per cento, e le stime finali per l’anno indicano un incremento attorno al 3 per cento.
L’inflazione, nei primi nove mesi dell’attuale amministrazione, si mantiene attorno al 3 per cento, dopo che nel quadriennio precedente era cresciuta complessivamente del 21,4 per cento, ossia in media del 5,3 per cento l’anno.

Durante la presidenza Biden, le forze armate statunitensi hanno registrato carenze croniche di reclutamento, con un deficit medio annuo di 15 mila unità, con un picco negativo di 41 mila nel 2023.
Dopo l’elezione di Trump e nei mesi successivi, tutti i corpi militari hanno invece raggiunto o superato i propri obiettivi di arruolamento. Anche all’interno della Nato si nota un mutamento: i Paesi che rispettano l’impegno di destinare il 2 per cento del Pil alla difesa sono passati da 23 nel 2024 a 31 nel 2025, e alcuni che si sono spinti fino al 5 per cento.

Trump aveva lasciato la Casa Bianca nel 2021 senza guerre in corso. Durante il suo primo mandato, aveva quasi messo in ginocchio l’economia iraniana, annientato l’Isis, distrutto il gruppo Wagner in Siria e promosso gli Accordi di Abramo.
Con il cambio di amministrazione, il Medio Oriente è invece precipitato in un conflitto a quattro fronti contro Israele. L’Iran, dopo la revoca delle sanzioni imposte da Trump e il tentativo di Biden di ripristinare il cosiddetto “accordo nucleare”, aveva ripreso con le sue ambizioni nucleari.

Negli ultimi quindici anni, Vladimir Putin ha rispettato i confini solo durante il primo mandato di Trump, mentre ha invaso Paesi vicini sotto le amministrazioni Bush, Obama e Biden. Nel 2022, al secondo anno del mandato Biden, Mosca ha attaccato Kiev, scatenando la più grave guerra europea dalla Seconda guerra mondiale.

Il ritiro disordinato da Kabul, ordinato nell’agosto 2021, resta una delle pagine più umilianti della storia militare statunitense: tredici marines uccisi, migliaia di cittadini americani e collaboratori abbandonati, e miliardi di dollari in armamenti lasciati ai talebani.

Con il ritorno di Trump, il Medio Oriente è tornato a una calma relativa. Dopo i bombardamenti contro gli impianti nucleari iraniani, Teheran non sembra più in grado di produrre armi atomiche. Iran, Hezbollah, Hamas e gli Houthi risultano oggi fortemente indeboliti e privi d’influenza.
Nel 2025 non si è registrata alcuna nuova guerra: le tregue mediate da Washington hanno contribuito a placare le tensioni fra India e Pakistan, Cambogia e Thailandia, Egitto ed Etiopia, Serbia e Kosovo, Armenia e Azerbaigian.

I dazi imposti da Trump non hanno provocato, come molti temevano, né la recessione né il crollo della Borsa. Anzi: i listini azionari hanno toccato massimi storici. Gli investimenti stranieri negli Stati Uniti hanno raggiunto il livello più alto di sempre. E, per la prima volta in mezzo secolo, la Cina si trova di fronte a una reazione internazionale guidata dagli Stati Uniti in risposta alle sue scorrettezze commerciali.

Molti dei decreti presidenziali di Trump hanno suscitato le ire della sinistra ma i sondaggi mostrano un vasto consenso popolare, dalla distruzione dei carichi di droga diretti via mare verso gli Stati Uniti, al divieto per gli atleti transgender di gareggiare nelle competizioni femminili, fino alla riforma del sistema universitario e alla fine delle politiche identitarie fondate sul cosiddetto Dei (“diversity, equity and inclusion”).

Ma nonostante tutto questo, i notiziari quotidiani restano concentrati sulle espressioni grevi dei politici, sullo shutdown, sui post provocatori del presidente e sui disordini di piazza. I fatti, tuttavia, delineano un quadro diverso: quello di una nazione che, dopo gli errori autoinflitti del recente passato, sembra avviarsi verso una graduale ripresa.


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