Il regime comunista cinese fa marcia indietro sui veicoli elettrici, finora considerati una priorità strategica. In una bozza che delinea il Quindicesimo Piano quinquennale del Partito comunista cinese, diffusa martedì dall’agenzia di stampa statale Xinhua, i veicoli elettrici risultano assenti nell’elenco dei settori emergenti strategici.
Il documento, preparato durante il conclave annuale del Comitato Centrale del Partito comunista cinese, definisce il programma economico del regime per la seconda metà del decennio. Negli ultimi tre piani quinquennali, i veicoli “a nuova energia”, una categoria che copre auto elettriche a batteria, plug-in hybrid e a celle a combustibile, erano categorizzati come cruciali per la competitività tecnologica della Cina. Questo aveva permesso alle autorità centrali e locali di riversare enormi somme di denaro in sussidi e incentivi fiscali nel settore. E i produttori cinesi, come Byd e Geely, si posizionavano in cima alla catena di approvvigionamento mondiale dei veicoli elettrici.
Il nuovo piano, tuttavia, segna una svolta. Mentre evidenzia la tecnologia quantistica, la biofabbricazione, l’energia a idrogeno e la fusione nucleare come nuovi motori di crescita, i veicoli elettrici non sono più tra le priorità del regime comunista. Le automobili sono menzionate solo di sfuggita, raggruppate con l’edilizia abitativa. Una versione definitiva del Quindicesimo Piano Quinquennale sarà presentata il prossimo marzo all’Assemblea Nazionale del Popolo, il parlamento di gomma cinese, per l’approvazione.
L’anno scorso, secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, la Cina ha prodotto 12 milioni di veicoli elettrici, circa il 70% del totale mondiale. Di questi, circa 11 milioni sono stati venduti a livello nazionale, il resto è stato esportato.
Il settore cinese dei veicoli elettrici è intrappolato in una brutale guerra dei prezzi, diventata particolarmente grave quest’anno. La Byd Seagull – commercializzata anche come Dolphin Surf – è venduta in Cina per poco più di 9.800 dollari; il suo principale rivale, la Wuling Binguo, ha un prezzo di circa 8 mila. Questa spietata corsa al ribasso ha schiacciato i margini aziendali. Ad agosto, Byd, il più grande produttore mondiale di veicoli a nuova energia, ha riportato un calo del 30% nell’utile netto del secondo trimestre rispetto all’anno precedente, colpa anche del marketing eccessivo e dei forti sconti che hanno inciso sulla redditività a breve termine.
Sebbene i tagli ai prezzi abbiano avvantaggiato i consumatori, hanno anche creato quella che gli osservatori definiscono un circolo vizioso: gli acquirenti sono sempre più esitanti all’acquisto, temendo che i prezzi possano scendere ulteriormente, mentre le Case automobilistiche sotto pressione finanziaria sono costrette a scendere a compromessi su qualità, sicurezza o servizi post-vendita.
E gli sforzi per (s)vendere l’eccesso di produzione all’estero hanno scatenato una reazione internazionale. Dopo decenni di dumping cinese, nel maggio 2025, gli Stati Uniti guidati da Donald Trump hanno reagito con dazi del 100% sui veicoli elettrici prodotti in Cina. E l’Ue ha seguito l’esempio lo scorso ottobre, aumentando i dazi sulle auto elettriche cinesi fino al 45,3%.
Intanto, la guerra dei prezzi fra i produttori cinesi è senza esclusione di colpi: le Case ritardano i pagamenti ai fornitori e alle aziende dell’indotto (di fatto trattandole come “banche”) per mesi e mesi, al punto che il regime è dovuto intervenire con un appello alla moderazione nei loro confronti, e chiedendo loro di pagare le fatture entro 60 giorni.




