Ipazia e il prezzo della libertà intellettuale

di Redazione ETI/Leo Salvatore
25 Ottobre 2025 20:11 Aggiornato: 25 Ottobre 2025 20:45

Nel 1853, il romanziere inglese Charles Kingsley pubblicò il romanzo Hypatia, che prende il nome da un personaggio storico del IV secolo, e narra le sofferenze spirituali di Filamone, un monaco cristiano egiziano che lascia la sua comunità monastica alla ricerca di un’istruzione filosofica. A Alessandria d’Egitto frequenta la scuola fondata dalla studiosa Ipazia, nota per la sua disponibilità a insegnare a studenti di ogni credo religioso. Il romanzo storico di Kingsley contribuì a rendere famoso il nome di Ipazia come simbolo di apertura mentale, coraggio e libertà intellettuale. Ma chi era realmente? E cosa può insegnare la sua vita ai lettori di oggi?

Charles Kingsley. Fæ/ CC BY-SA 4.0

Nata ad Alessandria intorno al 350 da un prolifico matematico, Ipazia crebbe nei circoli elitari della città, allora capitale dell’Egitto, che nel II secolo era parte dell’Impero Romano d’Oriente e Alessandria era uno dei centri intellettuali dell’impero, seconda solo ad Atene. Il padre di Ipazia dirigeva il Mouseion, una prestigiosa comunità intellettuale in cui la giovane ricevette la migliore istruzione possibile. Iniziò la carriera accademica nell’astronomia e nella matematica, scrisse numerosi trattati di algebra e geometria, guadagnandosi la reputazione di inventrice di astrolabi, idrometri e altri strumenti scientifici. Col diffondersi della sua popolarità crebbe anche il numero di studenti, provenienti da ogni ceto sociale. Ipazia era pagana, termine che indicava le credenze tradizionali romane precedenti al cristianesimo ma, a differenza di altri pagani, non adorava alcuna divinità in particolare ed era estremamente tollerante nei confronti delle altre fedi. Mentre ad Atene i suoi colleghi pagani si mostravano ostili nei confronti dei cristiani, lei seguì una strada diversa: gli studenti accorrevano da ogni angolo dell’impero per frequentare le sue lezioni e lei apriva le porte a ognuno di loro.

Come il personaggio immaginario Filamone, questi allievi non erano interessati tanto alle competenze in matematica e geometria, quanto ad apprendere come vivere una buona vita, intuivano che le conoscenze di Ipazia potevano aiutarli a comprendere meglio se stessi e il mondo. La sua reputazione è segno di come riuscisse a proporre agli allievi esempi convincenti per migliorare la loro vita. Infatti, nonostante gli studi e i successi in ambito scientifico, Ipazia è entrata nella Storia soprattutto come filosofa.

Julius Kronberg, Ipazia, 1889. Pubblico dominio.

Seguace del neoplatonismo, Ipazia teneva spesso lezioni sui filosofi greci antichi del IV-V secolo a.C. Platone e Aristotele. Il suo insegnamento mirava a guidare gli studenti all’apátheia, che in greco indica assenza (a) di emozioni (pathos). Secondo i neoplatonici, la liberazione dalle emozioni iniziava attraverso la matematica, che si riteneva avesse una dimensione spirituale. Studiavano aritmetica, geometria, astronomia e musica non solo per uso pratico, ma anche per imparare quello che chiamavano il «linguaggio segreto» dell’universo.

Raffaello Sanzio, particolare de’ La scuola di Atene, personaggio tradizionalmente identificato con Ipazia

Lo studio delle costellazioni, delle intricate relazioni tra le note musicali e delle strutture matematiche sottostanti agli oggetti materiali era considerato il primo passo per intravedere la forza creativa dell’universo, che i neoplatonici chiamavano il Tutto, o l’Uno. Si pensava che una migliore comprensione dell’Uno, considerato perfetto, bello e immutabile, rendesse l’individuo più simile ad esso e rendesse la sua esistenza materiale più illuminata.

Una scena illustrata dell’edizione del 1914 di Hypatia di Charles Kingsley. Pubblico dominio.

I neoplatonici credevano anche che ogni essere umano avesse un’anima, considerata la parte più importante della persona. Durante la vita terrena, l’anima umana era corrotta dagli impulsi corporei, come la fame e il desiderio sessuale, e dalle emozioni come la tristezza e la paura. Il compito del filosofo era quello di allontanarsi il più possibile da tali impulsi e poteva farlo attraverso la ragione, facoltà della mente che distingue gli esseri umani da tutte le altre creature viventi.

È con la ragione che si può capire se un desiderio debba essere soddisfatto. Poiché i neoplatonici credevano che l’anima umana fosse incorporea, ritenevano che gli esseri umani dovessero astenersi da quei desideri che facevano del corpo la parte più importante della persona. Solo i desideri che meglio giovavano all’anima dovevano essere soddisfatti. Ciò non significa che i neoplatonici smettessero di mangiare o bere, ma che consideravano il mangiare, il bere e altre attività fisiche quali requisiti necessari per sostenere l’anima esistente nel corpo, non come cose da fare per se stesse. Plotino (204-270 circa), che gli studiosi considerano fondatore del neoplatonismo, sosteneva che lo scopo di nutrire l’anima attraverso la filosofia fosse «riportare il dio che è in noi al divino nel Tutto».

Testa marmorea attribuita plausibilmente al filosofo Plotino. Pubblico dominio.

Sebbene l’apátheia sia possibile nel corso dell’esistenza mortale, i neoplatonici pensavano che l’apátheia assoluta si potesse raggiungere solo dopo che l’anima lascia il corpo e torna all’Uno. Questo presupposto spesso portava a un atteggiamento severo nei confronti del corpo umano e del mondo materiale in generale. Porfirio (234-305), allievo e biografo di Plotino, scrisse che il suo maestro «sembrava vergognarsi di essere nel corpo», al punto che non riusciva «a sopportare di parlare della sua razza, dei suoi genitori o del suo Paese natale». Come Platone prima di lui, Plotino sembrava spesso sottintendere che il mondo materiale non fosse altro che una prigione da cui fuggire il più presto possibile.

Ipazia probabilmente condivideva questo atteggiamento, ma la sua apertura intellettuale fa pensare che si sentisse molto più a suo agio nel mondo. Sebbene il suo insegnamento mirasse all’apátheia, considerava la filosofia più come uno stile di vita, una ricerca costante e disciplinata della verità, da perseguire non attraverso la contemplazione ascetica, ma in una comunità terrena governata dall’amicizia. I membri dell’accademia di Ipazia dovevano essere umili, instancabilmente curiosi e aperti ad attingere da tutte le fonti: tre qualità che lei stessa possedeva.

Lettera di Sinesio a Ipazia. Le lettere sono conservate nell’originale greco e ristampate per il pubblico nel XVI secolo. Pubblico dominio

Lo studente più importante di Ipazia fu Sinesio di Cirene (373-circa 414), che divenne vescovo cristiano pochi anni prima della morte di Ipazia, avvenuta nel 415. I due si scambiarono corrispondenza per decenni e quando Cirene fu coinvolta nella guerra, Sinesio espresse alla sua maestra il dolore per la violenza che imperversava nelle strade. Scriveva di star «respirando un’aria contaminata dalla decomposizione dei cadaveri». Ma continuava anche a esprimere amore per la sua città natale: «Perché allora soffro?», si chiedeva confuso. Sembrava pensare che solo Ipazia potesse aiutarlo a liberarsi dal dolore e dalla rabbia. In un’altra lettera, dichiarava il sincero apprezzamento per la presenza della filosofa, fonte di forza per tutta la sua vita: «La perdita più grande di tutte, tuttavia, è l’assenza del tuo spirito divino. Avevo sperato che questo mi sarebbe rimasto per sempre, per vincere sia i capricci della fortuna che le svolte malvagie del destino».

Nessuna delle lettere di Ipazia è sopravvissuta ma, in linea con i suoi insegnamenti, probabilmente offrì conforto a Sinesio, richiamando la sua attenzione sulla verità, la bellezza e l’Uno, ovvero sulle cose che per loro contavano di più e che potevano aiutarli a sopportare le inesorabili sofferenze della vita.

Se l’apertura di Ipazia alla pluralità intellettuale le valse il sostegno di studenti e studiosi, le procurò tuttavia anche inimicizie. Scrivendo vent’anni dopo la sua morte, lo storico cristiano Socrate Scolastico raccontò che era spesso coinvolta nella politica: «Grazie alla padronanza di sé e alla disinvoltura che aveva acquisito coltivando la sua mente, non di rado appariva in pubblico alla presenza dei magistrati». I politici le chiedevano consiglio e lei lo dava volentieri, ma non tutti lo apprezzavano. Lo storico osserva che Ipazia cadde «vittima dell’invidia politica che a quel tempo prevaleva», fino a quando quell’invidia la uccise.

Stando ad alcune fonti (esistono diverse versioni dei fatti) nel 414 una folla di ebrei massacrò un gruppo di cristiani, pare come reazione verso Cirillo, vescovo cristiano di Alessandria, descritto come autoritario e violento. Cirillo decise quindi di chiudere le sinagoghe, confiscare tutte le proprietà degli ebrei ed esiliare i responsabili del massacro. Oreste, governatore pagano della città, denunciò Cirillo all’imperatore, chiedendo la sua destituzione, ma una folla cristiana cercò di fermare Oreste tentando di ucciderlo. A sua volta, il governatore torturò pubblicamente Ammonio, un monaco che era stato identificato come istigatore del tentativo di assassinio. In seguito Cirillo cercò di proclamare Ammonio martire, ma scoppiarono altri scontri tra chi ripudiava apertamente la violenza e quelli che pensavano che Oreste fosse stato giustamente punito per essersi opposto ai cristiani. Il conflitto cessò, ma le fazioni non si riconciliarono. Oreste chiese quindi aiuto a Ipazia, nella speranza che potesse trovare una soluzione ragionevole, tuttavia alcuni videro i legami della filosofa con Oreste come un tentativo deliberato di ostacolare il cristianesimo, fu inseguita da una schiera simpatizzante di cristiani e brutalmente giustiziata – fatta a pezzi e bruciata – pubblicamente.

Morte della filosofa Ipazia, tratta da Vite di illustri studiosi di Louis Figuier, 1866. Di pubblico dominio.

Considerando i disordini che sconvolsero Alessandria nel IV secolo, il clima di libero pensiero promosso da Ipazia nella sua scuola era estremamente importante: nonostante le tensioni onnipresenti tra le fazioni religiose in lotta per l’influenza politica, la filosofa scelse di accogliere pagani, ebrei e cristiani. Pur essendo consapevole dei rischi che questo comportava, difese la diversità di opinioni e non sacrificò mai la sua libertà intellettuale. La sua speranza di unire persone di fedi diverse svanì quando la Storia prese una piega violenta. Dopo la sua esecuzione, i vescovi cristiani iniziarono a perseguitare le persone considerate eretiche, mentre negli esponenti neoplatonici nasceva un orgoglio fanatico per le credenze che li distinguevano dai capi cristiani.

Ipazia sapeva bene che le emozioni possono offuscare il giudizio e, nel peggiore dei casi, incitare alla violenza distruttiva. Non molti hanno appreso dal suo insegnamento, che ancora oggi può ispirarci, mentre la Storia continua a svolgersi.